Smarrimenti
Sembra di giocare a mosca-cieca.
Mi levo la benda e mi sento ancora più persa.
Estranea ai luoghi. Incerta al tempo presente, straniera al futuro.
Perdersi.
Per una mappa sbagliata, per una bussola che punta su un’anomalia magnetica, per il buio che cala, per il fitto del bosco, per la nebbia che si addensa, per la tempesta di sabbia che si alza, per un ponte crollato. Persi in una città labirintica, in una zona industriale
tutta uguale. In un aeroporto, tra i binari di una stazione. Come uscirne? Ma prima ancora, perché uscirne?
L’ebbrezza del perdersi…
Vuol dire che il terreno è sconosciuto, che esploriamo uno spazio nuovo. Vuol dire che il mondo è più grande di noi, in qualche modo ci accoglie, ci comprende. Ci supera. La realtà è ancora sorpresa, è l’inaspettato, è l’imponderabile. Se ci si può perdere, allora ha senso mettersi in viaggio. La vera via inizia quando la si perde.
Perdersi è un processo aperto, e che apre al futuro. Ci chiede di aggiornare le mappe, di ritarare le bussole. Di ritrovare i propri passi.
Ma è sottile la linea che separa il perdersi dall’essere perduti.
Chi è perduto non ha più speranza. Brancola nel buio. Si confonde con la nebbia. Rischia di cadere. Sprofonda.
Si è persi nei propri pensieri, che ritornano e ritornano, in un paesaggio di paure e rovine. Si è persi quando nessun suono è riconoscibile e ogni ombra diventa un pericolo. O peggio ancora, quando arriva la bonaccia: nessun vento alza la vela e il sole meridiano, implacabile, avvolge le acque immote. Non c’è movimento, non c’è direzione da poter prendere.
Ci attanaglia improvviso lo smarrimento; ci aggredisce il terrore di essere perduti. Che non ci sia più un varco, che ogni percorso sia sbarrato. Nulla appare riconoscibile: non c’è un posto per noi.
Giriamo a vuoto, in un tondo perpetuo. Per cadere sfiniti, sul suolo duro o sul più comodo dei divani; alla fine non cambia molto.
Il gioco è questo: avere la sapienza del perdersi e chiedere la fortuna
di non sentirsi mai perduti.
Capita di non aver più voglia di perdersi, di non accettare il disorientamento, di non saperne gustare il profumo di novità. Accade quando tutto appare scontato, sempre uguale. Succede quando ci si sente arrivati. Continuamente, inevitabilmente a casa, nel ben noto. Se siamo al centro del nostro mondo, perdiamo il sapore dell’ignoto.
Siamo sul filo.
Compito difficile, il nostro. Non lo si fa da soli. A questo servono i compagni di strada. Sono poi indispensabili gli esploratori, i cartografi del tempo che viene, capaci di disegnare mappe proprio nel mentre tutto si modifica sotto i nostri piedi.
Dedicato a tutti coloro che aiutano chi si sente perduto, ai mulini
che creano il vento nella bonaccia, ai fari che bucano la nebbia, ai
ricostruttori di ponti.