Preservare il suolo
di Casa Matilde
Quando una comunità “eredita” una collina
Dal 2008 Matilde Casa è sindaco di Lauriano, un paese della provincia torinese con 1500 abitanti. Durante il suo primo mandato, affiancata da una giunta totalmente al femminile, il sindaco Casa cerca soluzioni al problema del consumo di suolo, tema già presente nel programma elettorale. Conseguentemente, nel 2013 il Consiglio comunale di Lauriano approva un piano regolatore in cui per la prima volta si diminuisce la superficie delle aree edificabili. Qualche tempo dopo, uno dei proprietari dei terreni resi inedificabili denuncia sindaco, tecnico e segretario comunale. Aveva in animo di far costruire alcune villette su una collinetta e si sente danneggiato. Inizia così il percorso giudiziario, che si concluderà nel 2016 con la completa assoluzione del sindaco e dei collaboratori «perché il fatto non sussiste». Dopo un primo periodo faticoso, fatto di solitudine e di attacchi, tra il 2013 e il 2016 lo scenario intorno a Matilde Casa muta. La Regione Piemonte comincia a inquietarsi per il consumo di suolo e organizza un seminario a cui il sindaco interviene. A ruota, il coordinatore dell’associazione radicale piemontese pubblica un articolo e promuove una petizione online a suo sostegno. Poco dopo, Beppe Rovera del Tg3 Piemonte realizza un servizio su Lauriano che viene ripreso dal Tg1. Sergio Rizzo scrive un articolo di appoggio al sindaco sul Corriere della Sera, seguito da Aldo Cazzullo su Sette e da Luca Mercalli su Donna moderna. Da lì in avanti, sarà tutto un susseguirsi di richieste di intervista, anche su reti televisive nazionali, e di manifestazioni di sostegno. Nel 2016, Legambiente le conferisce il riconoscimento di “ambientalista dell’anno”. Con Paolo Pileri, nel 2018 il sindaco pubblica il libro Il suolo sopra tutto. Nel testo, Matilde Casa scrive: «Vedere negli anni la campagna – una volta coltivata – disseminata di capannoni sorti disordinatamente (talvolta anche abbandonati dopo poco tempo dall’essere stati costruiti) non raggruppati in zone omogenee ma dislocati senza alcuna logica e criterio, osservare lo sviluppo delle città a partire dalla fine degli anni Settanta volto tutto a discapito di un’economia di tipo agricolo o quantomeno incapace di armonizzarsi con la realtà rurale ponendo un freno alle colate di cemento, rappresentano motivazioni che hanno sicuramente influenzato le scelte di indirizzo della mia amministrazione una volta diventata sindaco. A maggior ragione perché ho avuto modo di constatare direttamente e concretamente come molte amministrazioni comunali utilizzassero tali politiche dissennate nella migliore delle ipotesi per poter fare cassa attraverso gli oneri di urbanizzazione, nella peggiore per inqualificabili interessi personali. E poi, vorrei aggiungere, la formazione e il lavoro in ambito agricolo ti insegnano a fare i conti, in modo per così dire naturale, con la necessità di equilibrare il rapporto tra uomo e ambiente» 1 . Sindaco Casa, cosa l’ha spinta a sostenere una decisione chiaramente controcorrente? «In realtà io non credevo fosse una decisione controcorrente. Col tempo, durante gli anni della mia amministrazione, mi sono poi sentita dire spesso che ciò che stavo facendo “non l’aveva mai fatto nessuno”. Nessuno in Piemonte aveva ancora deciso di consumare meno plastica mettendo casette dell’acqua, nessun piccolo comune aveva abbattuto un ecomostro di tre piani, nessuno aveva composto ancora una giunta di sole donne. Pensavo che fosse ora di fare qualcosa che, proprio perché non l’aveva ancora fatto nessuno, potesse invertire la rotta. E diminuire le superfici edificabili era necessario perché il suolo non è infinito, perché non abbiamo più bisogno di costruire (un terzo delle case del mio paese sono vuote), perché non possiamo più togliere superfici all’agricoltura, perché dobbiamo salvaguardare il paesaggio. Tra i grandi compiti e doveri i sindaci hanno quello di salvaguardare l’interesse pubblico, a volte anche sfidando lo status quo e cercando di guardare avanti per lo sviluppo di un territorio. A questo proposito, io credo che si sia giunti ora a un punto in cui è necessario ripensare al modello di sviluppo da un punto di vista economico, sociale e anche urbanistico». Quale concetto di interesse pubblico la motiva? «Creare condizioni di vita migliori per i miei concittadini. È questo il vero unico interesse pubblico alla base del mio operato. L’ente pubblico, a seconda del livello e delle competenze, deve fare in modo che le imprese investano o rimangano nel territorio, e deve fare in modo che le giuste risorse siano spese per la salute e per aiutare chi è più in difficoltà. Ma le condizioni di vita non sono solo il lavoro e la salute, anche se sono importantissime. Condizioni di vita migliori sono date anche da un ambiente preservato, non soffocato dal cemento e in cui il paesaggio, il bel paesaggio, sia parte integrante della vita di tutti e ci renda in qualche modo migliore l’esistenza, sia da un punto di vista qualitativo (rivalutando il concetto di bellezza), sia da un punto di vista economico (con nuove possibilità di lavoro legate al territorio). Un cerchio virtuoso di amministrazione». Cosa potrebbe aiutare gli amministratori locali a tornare a gestire il territorio con la propria gente, senza dover sottostare a scelte speculative private? «Innanzitutto è necessario che gli amministratori, oltre alle competenze indispensabili per svolgere un ruolo così delicato, conoscano la natura. Lo sostiene Paolo Pileri, docente del Politecnico di Milano e profondo conoscitore della materia – a cui io personalmente devo molto – in un articolo scritto per Città Bene Comune. Gli amministratori poi devono avere la possibilità di muoversi all’interno di percorsi che portino a scelte condivise e ponderate, per non ritrovarsi con un carico di responsabilità troppo gravose. I sindaci sono la categoria di amministratori con il maggior numero di incombenze diverse e che troppo spesso pagano di persona per scelte complesse. Il Comune di Lauriano ha per primo attivamente partecipato e finanziato la creazione di un’associazione fondiaria come ne esistono in Francia dagli anni ’70, per il recupero delle terre collinari abbandonate e per favorire la ricomposizione fondiaria. Questo progetto sta mostrando i primi frutti, portando nuovamente lavoro nelle nostre colline abbandonate da anni. Da queste piccole esperienze possono nascere posti di lavoro e possibilità di sviluppo. Anche alcuni vincoli all’interno di bandi rappresentano sicuramente una strada che può aiutare, ma perché questo venga recepito e scritto nero su bianco deve essere una priorità condivisa. E la condivisione viene dalla consapevolezza generale di questa importante tematica. La società, i cittadini, devono essere consci di tale priorità ed è compito anche di noi amministratori tracciare le linee e la direzione». Delle manifestazioni di sostegno ricevute, cosa l’ha aiutata di più negli anni del procedimento giudiziario? «Credo che sicuramente l’eco mediatica mi abbia fatto sentire meno sola, oltre ad avermi fattivamente aiutato nella soluzione positiva del processo, assieme ovviamente alla bravura dell’avvocato e dei consulenti incaricati. L’articolo di Sergio Rizzo comparso in prima pagina sul Corriere della Sera, nel quale mi dava il suo pieno e totale appoggio, ha dato il via a una serie di azioni che mi hanno aiutata. Fra queste, la lusinghiera richiesta di Paolo Pileri di scrivere un libro con lui sulla mia vicenda. È stata un’esperienza interessante e grazie a lui ho potuto anche conoscere e approfondire temi legati all’urbanistica che mi hanno fatto ancora meglio comprendere la necessità di azioni come la mia». Quali cambiamenti concreti nel suo territorio sono conseguenti alla sua vicenda? «Pochi giorni fa, dopo una copiosa nevicata, tornando a casa sono passata proprio accanto al terreno, una dolce collinetta, che con il nostro piano regolatore del 2013 abbiamo mantenuto a prato. Era pieno di bambini che andavano sulla slitta. In alcuni casi credo che il vero cambiamento sia la preservazione. Ho pensato che le maggiori azioni che la mia amministrazione ha condotto sono state più per sottrazione che per aggiunta. Abbiamo fatto in modo che la gente consumasse meno plastica con la costruzione della casetta dell’acqua, abbiamo abbattuto un ecomostro, abbiamo diminuito i terreni edificabili. Con la creazione poi di un’associazione fondiaria che ha lo scopo di rivitalizzare la collina ormai abbandonata abbiamo risvegliato l’interesse di giovani che dalla città hanno deciso di venire a vivere nel nostro piccolo comune occupandosi di territorio. Una cosa inimmaginabile fino a poco tempo fa. Alcuni giorni fa, una di queste giovani coppie che ora vivono a Lauriano ha dato alla luce un bambino. Più concreto di così…».1 Matilde Casa e Paolo Pileri, Il suolo sopra tutto. Cercasi “terreno comune”: dialogo tra un sindaco e un urbanista, prefazione di Luca Mercalli, Altreconomia, Milano 2018, pp. 30-31.
Matilde Casa
agronoma e sindaco di Lauriano (Torino)