Perché non possiamo vivere all’infinito?

di Buccoliero Elena

Nell’età che si vorrebbe spensierata la morte è presente come evento, rischio, paura. Nel corso del progetto più che decennale C’è posta per Re, con il quale l’insegnante di religione Renata Cavallari della scuola primaria “C. Govoni” offre ai bambini la disponibilità a una corrispondenza personale, il tema ritorna a volte in modo episodico, altre come leit motiv di una lunga conversazione dopo un lutto familiare.
Ci sono bambini che prendono coscienza della morte per la perdita di un animale domestico. Filippo, 7 anni, è triste («Ciao Renata adesso non sono di felice umore perché la mia cagnolina è venuta a mancare»), Antonia, 9 anni, cerca di distrarsi («Lo sai che è morto il mio cane? Mia madre ha pianto tutta la sera… Ora parliamo di cose belle: mio fratello si è preso una piantina a cui vuole tanto bene!!»), la coetanea Guia vorrebbe dare sollievo («Venerdì è morto il cane della fidanzata di mio papà. Vorrei regalare alla fidanzata di mio papà qualcosa, cosa mi consigli per consolarla?»).
Nella vita familiare si affrontano periodi di malattia. Saltando i messaggi sulle influenze, i denti che cadono, i piccoli incidenti durante l’attività sportiva… arriviamo al rapporto che si instaura con l’ospedale e con la medicina quando la vita è a rischio. C’è la nonna di Dario in ospedale perché non respira, il papà di Matteo con una vertebra schiacciata, la mamma di Giovanni ricoverata da 10 giorni, la nonna di Gloria che è stata investita.
Tutto quello che si presenta nella vita dei grandi si riverbera in quella dei piccoli, viene rimuginato, rielaborato, produce pensieri e domande. Caterina, 10 anni, ha avuto paura per la mamma ricoverata e l’ha accompagnata meglio che ha potuto («Ci metto tutte le mie forze, ce la posso fare») e la sua pazienza è stata premiata: «La mamma è guarita definitivamente e io sono molto contenta».
I malanni sono misteriosi e i bambini hanno bisogno di spiegazioni, ripetono le parole degli adulti per darsi coraggio. Giorgio, 8 anni: «Sono un po’ preoccupato per mio zio perché ha avuto un infarto grosso. Gli è scoppiata una vena che porta il sangue al cuore».
Cresce il desiderio di essere partecipi per aggiustare quello che non va. «Come si fa a fare mangiare di più un nonno che è in ospedale da 4 mesi?», si domanda Clara, in prima elementare. Anna, 10 anni, insiste con Dio ed è un po’ stanca: «Sono tante sere che prego per la nonna che è in ospedale ma non esce mai. Quanto tempo ci vuole?». Gisella vorrebbe essere presente ma non può: «La mia nonna di Cagliari si è operata sabato e mi ha detto che è andato tutto bene, però io non sono tranquilla e vorrei andare a trovarla, ma non posso».
Oltre la distanza si intuisce un senso di protezione dei genitori nei confronti dei bambini. Francesco, 10 anni, vorrebbe visitare lo zio in ospedale dopo l’infarto ma il papà non vuole; dopo le dimissioni si tiene aggiornato e informa l’insegnante: «Lo zio ha smesso di fumare, di guidare, deve seguire una dieta precisa e fare attività fisica».
Al polo opposto c’è l’esperienza di Mirco, che a 10 anni si ritrova presente alle ultime ore di vita della nonna: «Domenica sera quando le ho fatto una domanda chiudeva sempre gli occhi, poi alle 4 del mattino hanno provato a rianimarla ma non ce l’hanno fatta e così è andata in cielo».
La morte è un dato appreso anche dai media e ferisce i bambini più sensibili (Luciano, età sconosciuta, nel 2014 prega per i naufraghi del Mare Nostrum e per i morti per ISIS) ma ha un’incidenza ben più significativa quando riguarda una persona a cui i bambini vogliono bene. Alcuni biglietti annunciano il fatto in sé («Renata, sai mio nonno è morto lunedì. Ciao»), molti di più esprimono emozioni. Ritorna il desiderio di portare il sorriso, come in Debora, 7 anni: «Da quando mi è morta la nonna sono tutti tristi e sono triste pure io. Cosa posso fare per farli diventare di nuovo felici e con la gioia?». Elena, 10 anni, ci ripensa qualche tempo dopo e ci fa sentire come la sua famiglia sia ampia per i legami di affetto: «In estate, una sera il nonno ci ha chiamati e ci ha detto che Gina, la sua fidanzata, era morta. Mi sono sentita malissimo e ancora mi manca».
Alessio, 10 anni, chiede un consiglio per cancellare il dolore: «Mi manca la mia nonna su in cielo. Ieri sera mi sono messo a piangere. Non so cosa fare per non pensarla. Se mi dai una mano ti ringrazierò». Una coetanea, Barbara, vorrebbe «dimenticare il nonno ma non del tutto» e possiamo pensarla così: vorrebbe conservare il ricordo smorzando la sofferenza.
La mancanza diventa concreta in momenti particolari, come scrive Lucia, 10 anni: «Sono un po’ triste perché a Natale c’era sempre il nonno con me». Marcella, stessa età, pensa a quello che ha perduto: «Mi è morto un prozio, giocava sempre con me, vorrei che non fosse mai morto». La mancanza si fa prepotente per questa bambina che, racconta, «ho pianto tutta la notte; che faccio?». A 9 anni Ilenia ha il vissuto opposto: «Lo zio di mio papà è morto, ho voglia di piangere ma non ci riesco».
Anita, classe quarta, scrive all’insegnante: «Il momento che dovevo piangere è arrivato a scuola, mi sono resa conto che mi manca molto». Parla della morte di uno zio, e alla maestra che le ha dato un consiglio si rivolge ancora: «Voglio chiedere a papà se mi dà la fotografia dello zio. La metto in camera mia, così alla notte mi sembra di averlo vicino e proverò a sognare com’era quando era ancora qui». Invece Katia, 10 anni, parla di un lutto elaborato: «Ci siamo rimasti male, adesso è passata fortunatamente e siamo più forti».
Muore la madre di un’alunna di quinta e diverse bambine ne scrivono. Sono preoccupate per l’amica («Pensi che lei stia male o ormai lo ha superato?») e anche per loro stesse («La mia amica mi ha raccontato come è morta la mamma e mi sono molto impressionata, non so come fare. Ho anche una zia che sta male. Cosa faccio?»).
È particolare la mancanza avvertita da Laura, 9 anni, relativa a n fratello morto prima della sua nascita. «Mi manca sempre di più anche se non l’ho conosciuto. M’immagino come sarebbe, come giocheremmo insieme. Ma quando penso a lui divento triste. Il Signore certe volte è cattivo? Porta via le persone, anche le più piccole come mio fratello. Mi manca. Mi aiuti a togliere questo difetto?».
Sarebbe bello parlare con Laura, capire se il difetto è la morte, la sofferenza di chi resta o il bisogno di porsi domande. Domande grandi davvero, che appartengono a tanti bambini. Marina, 7 anni: «Ho paura che la morte colpisca troppo presto i miei genitori, come posso fare?». Lorenzo, 10 anni, sembra l’unico a rendersi conto che un giorno la sua vita finirà: «Vorrei tanto che il destino mi venisse detto da Dio e non vorrei morire giovane ma vorrei morire di vecchiaia». In un biglietto non firmato si esprime il desiderio di «parlare con un’altra anima». Colin, 10 anni, scrive: «Spesso di notte sogno mio nonno che è morto e vorrei comunicare con lui» e Primo, 9 anni: «Perché non possiamo vivere all’infinito? Perché Dio ha creato anche le cose pericolose come le malattie?».
(Ascoltiamo anche Mattia, per sdrammatizzare: «Gesù prima di morire si era fidanzato?»).

Elena Buccoliero sociologa (con la collaborazione dell’insegnante Renata Cavallari e degli alunni della scuola primaria dell’Istituto Comprensivo “C. Govoni” di Ferrara)