In bocca al drago
Il gioco più bello del mondo
Quando si vince, specie quando si vince senza essere i più bravi, la gioia (e la retorica) sorpassano la sorpresa e invadono la povera Italia. Succede sempre, ma mai come in questo 2021§Vincere gli Europei di calcio è sembrato il premio che ripara il dolore e la fatica di un anno abbondante di pandemia. Soprattutto per i giovani e gli adolescenti, che più degli altri hanno subito il peso dell’immobilità e dell’isolamento§Anch’io, come la grande maggioranza degli italiani e delle italiane, ho guardato la finale in tivù. Anch’io, da non tifoso, ho gioito per la vittoria degli azzurri a Wembley, il tempio del football§Il giorno dopo mi è capitato di incontrare qualche amico/a un po’ snob, che si era rigidamente astenuto dagli Europei e mi istruiva contro l’opulenza e il malaffare che dominano il sistema calcio e denunciava il fatto che le partite vittoriose e il relativo polverone mediatico distoglievano la nostra attenzione dai mali dell’Italia e dalle malefatte del governo Draghi§Non riesco a contestare queste e altre critiche – retorico e ridicolo è stato lo stesso Draghi quando ha dichiarato che la vittoria su un campo da calcio ci apre nuove prospettive in Europa – ma guardo la gioia di mio figlio e rivendico il nostro sacrosanto diritto a far festa. Almeno per un giorno.
Quel drago di Mario Draghi
Mario Draghi lo conoscono e lo rispettano tutti. Mario Draghi decide in fretta. Mario Draghi mette in fila tutti, dal Pd alla Lega. Mario Draghi fa le nomine e ci mette chi vuole lui. Mario Draghi sconfigge l’epidemia in quattro e quattr’otto. Mario Draghi fa ripartire l’economia. Mario Draghi ha un grande stile. Mario Draghi non è un politico di terza fila. Mario Draghi conosce il mercato. Mario Draghi fa schizzare il Pil come una pallina da tennis.
Non ricordo nessun Presidente del Consiglio che abbia goduto di un consenso così universale, di un applauso più scrosciante di Mario Draghi. Da parte di tutti i partiti (Fratelli d’Italia a parte, ma non del tutto). Da parte di tutta la stampa: Corriere, la Repubblica, La Stampa, Il Fatto Quotidiano, Il resto del Carlino… Da parte dei tre sindacati, compresa la Cgil, nonostante qualche piccolo mugugno. E naturalmente da parte di Confindustria, senza dubbio la voce più ascoltata da Mario Draghi.
Il nuovo (liberalismo) che avanza
Mario Draghi ha fatto qualcosa di abbastanza buono (la gestione della lotta alla pandemia e la campagna di vaccinazioni) e parecchio di pessimo (la ripartenza senza regole delle grandi opere e delle privatizzazioni e la fine del blocco dei licenziamenti). A ben guardare, in molte cose ha dato seguito alle confuse politiche dei due governi precedenti, mettendoci un maggior decisionismo e una granitica fede nella forza “buona” del mercato.
Con Draghi, però, si inaugura un nuovo e inedito neoliberalismo. Il mercato vuole conquistare nuovi territori di competenza, il privato che aspira a un definitivo primato sul pubblico.
Non a caso, sul mercato e sull’economia c’è nell’aria una certa euforia. Governo e Bankitalia annunciano che in questo 2021 il Pil crescerà fino al 5%. Forse, ma sarà solo un rimbalzo, visto che nel 2020 era sceso del 9% e per recuperare l’altro 4% dovremo aspettare il 2023.
E allora, a cosa si deve il suo successo di pubblico e di critica, perché piace così tanto e quasi a tutti? «Perché non è un politico» (e gli italiani hanno ormai la nausea del ceto politico, vecchio o nuovo che sia), «Perché è un economista, un tecnico» (in realtà Draghi è un finanziere di altissimo bordo, quindi un politico a tutto tondo). «Perché è diverso»: ha una faccia, un modo di vestirsi, di muoversi, di parlare… diverso da tutti i politici italiani. Draghi è diverso. È nuovo. Anche solo per questo, piace.
E piace – deve piacere per forza ai partiti – perché gestisce e gestirà i 200 e più miliardi del Recovery Found. Un potere enorme, un portafoglio che nessuno in Italia ha mai avuto.
Una nuova alluvione
Gkn allo stabilimento di Campi Bisenzio, Whirlpool nello stabilimento di Napoli. Nel primo caso, 422 persone. Nel secondo, 356 persone. Licenziate con un tratto di penna, che nell’era della tecnologia cheap diventa un messaggio whatsapp o una pec.
Sono solo due esempi dell’alluvione che sta per allagare il tessuto sociale dopo la fine del blocco dei licenziamenti decretato a causa dell’epidemia di Covid-19. Un provvedimento tampone, seguito da un “avviso comune” Confcooperative, Cna, Confapi e Confindustria da una parte, sindacati dall’altra, con l’egida del governo, che recita: le parti «si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente e il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro. Auspicano e si impegnano, sulla base di principi condivisi, a una pronta e rapida conclusione della riforma degli ammortizzatori sociali, all’avvio delle politiche attive e dei processi di formazione permanente e continua».
Raccomandazioni, nient’altro che raccomandazioni. È stato il falco Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, a dettare quella parola magica dell’avviso comune. Che significa: i padroni non devono necessariamente ricorrere agli ammortizzatori sociali, ma sono solo invitati a farlo. Così, alcune multinazionali hanno prontamente provveduto a comunicare i licenziamenti con modalità che ricordano le ferriere dell’800.
In autunno, il tradizionale tempo delle alluvioni, i licenziamenti si moltiplicheranno e, sotto il “nuovo boom” dell’economia italiana, cresceranno disoccupazione e povertà.
Pronto, Raffaella?
Con Raffaella Carrà se n’è andato un pezzo d’Italia. Così, dopo la sua morte silenziosa, hanno detto e scritto tutti. Ma, almeno a me, non mancherà tanto la grande artista: la ballerina, la cantante, l’attrice, conduttrice e tutte le altri parti che ha interpretato sul palco e in televisione. Raffaella aveva dei doni speciali, qualcosa di intimo e innato, qualcosa che nemmeno l’enorme successo aveva guastato. La semplicità. La gentilezza. La sincerità. L’assenza di volgarità, quell’attributo che oggi sembra essere indispensabile per apparire e imporsi nei media e social media.
Se vi sembra esagerato il mio inno alla civiltà e alla misura di Raffaella Carrà, se pensate che i palinsesti televisivi di oggi e trent’anni fa non siano poi così differenti, guardate per una mezz’ora un programma condotto da Barbara D’Urso. Così in basso siamo finiti?