Il tempo delle ombre
Breve e profondo lamento di chi esce a cercare il sole
Tutto fermo, tutto oscurato.
Ogni tanto mi immagino la Passarela do Samba vuota, la spiaggia di Ipanema vuota, la Central do Brasil vuota, lo Stadio Maracanã vuoto, i “botecos” vuoti e i loro ubriaconi sobri, finanche la barca che porta da Praça Quinze a Niterói vuota come un vascello saccheggiato dai pirati, e non riesco ad andare avanti, perché non si può immaginare vuoto un universo ricolmo fino all’altro ieri di passioni, di colori e di movimenti.
Manco da Rio de Janeiro e dal Brasile dal giugno 2015, nei giorni in cui preparavano le Olimpiadi del 2016, quelle che io guardavo alla televisione per osservare e per individuare le striature dell’asfalto che avevo calpestato per anni. Mi collegavo perfino con le finali del tiro con l’arco, che si svolgevano proprio al Sambódromo, solo perché lo avevo calpestato come un bambino nei Carnevali del 2002 e del 2003 e così, tra una freccia e l’altra, vi intravedevo i miei passi.
Nel 2015 avevo attraversato la “Cidade Maravilhosa” con il gusto dell’uomo di mezza età, che aveva la consapevolezza che quella volta sarebbe stata l’ultima ed è stata l’ultima davvero. Assaporavo ogni angolo della città e dell’intero Brasile come se fosse l’ultimo pezzettino di torta di un pranzo nuziale. Alla fine mancava soltanto il caffè, ma senza ammazzacaffè, perché sono astemio.
Sono andato al bar del Forte di Copacabana, gestito dai militari, e ho preso una fetta di torta, quasi per simboleggiare un congedo. Poi un succo di “abacaxi” e un “cafezinho” a Ipanema. Poi il tramonto in cima allo scoglio dell’Arpoador, guardando il mare e sentendo il vento.
Ecco, adesso non riesco a immaginare che lo scoglio dell’Arpoador se ne stia in compagnia soltanto dei gatti randagi e senza nessun altro che ci salga. Come si fa, ditemi voi, a pensare vuoto un mondo di sua natura ricolmo di ogni respiro di vita? L’epidemia è arrivata a tradimento, portandoci via non soltanto quell’universo di relazioni che avevamo costruito per una vita intera, ma anche oscurando i luoghi della memoria, là dove essi ci appaiono come anneriti sotto una cappa inquietante.
Festeggeremo moltiplicando per due, forse Il Brasile in questi giorni sfiora i tremila morti di covid-19 al giorno, che sono senz’altro di più. Ogni tanto mi chiedo che fine abbiano fatto i luoghi della mia passione antica: il BipBip di Alfredinho, morto nei giorni di Carnevale del 2019, e poi la scuola di samba della “Estação Primeira da Mangueira”, chiusa da troppo tempo, e poi ancora la funivia che sale al Pão de Açúcar e infine il trenino del Corcovado e poi ancora la “Feira Nordestina” di São Cristóvão e il mercato caotico del Saara.
Tutto fermo e tutto oscurato.
Ogni epidemia ha la perversione non soltanto di fermare le azioni degli uomini e di impedirne le relazioni, ma anche di oscurare e di inquinare la memoria di un passato che non ha più nemmeno la forza di farsi presente. Stende ombre.
C’è un’immagine che, più di ogni altra, rappresenta al meglio la sensazione di tristezza e di fatica in questo presente difficile. Nei giorni del Carnevale 2021, che naturalmente non si è svolto, il nuovo sindaco Eduardo Paes è andato alla Passarela do Samba in un clima surreale e incredibile. Paes è da sempre un carnevalesco entusiasta e la città aspettava questo Carnevale dopo i quattro anni bui del precedente Sindaco Marcelo Crivella, un tetro e ottuso fanatico religioso, vescovo strampalato della più importante chiesa evangelica (ma sarebbe meglio dire setta religiosa) dell’America Latina, finalmente sconfitto alle elezioni municipali e poi messo agli arresti con l’accusa di corruzione.
Paes ha indossato i vestiti leggeri del samba e il classico “chapeuzinho” bianco dei sambisti e, da solo, in mezzo alle tribune vuote e sulla pista deserta, ha dato appuntamento al 2022, dove si festeggerà moltiplicando tutto per due, mentre qualcuno invece ha detto “talvez”, forse.
In questo “talvez” c’è il senso del dubbio e dell’incertezza che si è instillato negli spiriti liberi e illuminati. Non a caso in portoghese “talvez” si associa al modo congiuntivo e non indicativo. È espressione d’incertezza, di condizionamento, di eventualità, ma non di sicurezza. È quel filo d’ombra che purtroppo arriva a destinazione.
Con l’epidemia queste ombre calano adagio adagio e si portano via vite innocenti, ma anche spiriti trasparenti. Quando mai un brasiliano nutre dubbi e incertezze sul Carnevale? Quando mai un brasiliano si chiude? Qualcuno dice che, se non fosse stato eletto presidente uno psicopatico come Bolsonaro, le cose sarebbero andate diversamente. Io credo invece che lo stesso spirito oscuro di Bolsonaro e del bolsonarismo si fosse intrufolato di soppiatto già da alcuni anni nei cuori e nelle menti di molti brasiliani. Così l’epidemia ha trovato una strada spianata, facendo vittime nei corpi e negli spiriti.
Riaccendete le luci.
Oggi il mio Brasile vive la sensazione della vita spezzata. L’altro ieri aveva l’opportunità di crescere, finalmente in vista di un riscatto definitivo e invece ha spezzato il sogno della sinistra di governo, uccidendola politicamente. Ieri aveva l’opportunità di rimettersi in piedi per l’ennesima volta e queste tenebre sono ricomparse all’improvviso con un’epidemia infida e fedele alleata di Bolsonaro, del bolsonarismo e delle loro ombre, spezzando ancora tutto.
A ogni modo oggi io, davanti ai sogni di rinascita, la parola “talvez” non la pronuncio.
Allontanate da me questo tempo di ombre. Riaccendete le luci di ogni lampione e di ogni luminaria, riaprite ogni bar e ogni carretto di “churros”, collegate di nuovo la musica di ogni samba, fatemi riascoltare il fruscio del mare e, se possibile, risuscitate ogni istinto di vita libera.
Il Brasile è una terra senza ombre. Senza luci, e quindi senza vita, non si può stare. Ecco perché non ci resta che uscire tutti insieme alla ricerca del sole.
Egidio Cardini insegnante nei licei di Stato, componente la redazione di madrugada