A partire dalle storie
Riflessione su orientamento e servizi
Domande preliminari
Dopo alcuni decenni di esperienza nel lavoro con persone disoccupate o in crisi rispetto alle scelte del lavoro, vorremmo proporre una riflessione che, partendo dalle vicende biografiche di due donne, arrivi a rispondere ad alcuni quesiti: l’orientamento ha una funzione adeguata rispetto alla portata della crisi o è un servizio eccessivamente sbilanciato su esigenze individuali e quindi scarsamente efficace in una dimensione collettiva? È un servizio utile ma eccessivamente oneroso e sostanzialmente sostituibile da un efficace incontro fra domanda e offerta? È così importante l’attenzione all’analisi e lettura delle dinamiche individuali relative alla relazione fra l’individuo e la perdita del lavoro? Infine, in questa riflessione ad ampio spettro sull’orientamento, vorremmo chiederci anche se l’attenzione al tema del piacere sia una determinante che aiuta la relazione fra operatore e utilizzatore del servizio e favorisce l’elaborazione di progetti professionali finalizzati all’attivazione della persona per favorirne il reingresso nel mercato del lavoro.
Partiamo dunque dalle vicende biografiche di Rosa e Mina.
Storia di Rosa, metalmeccanica
Rosa, 53 anni: dopo la giornata di presentazione di un progetto finanziato dalla Regione Lombardia rivolto ai disoccupati del settore metalmeccanico, decide di prendervi parte, insieme ad altri che, come lei, hanno perso il lavoro e la speranza di ritrovarlo; le prime otto giornate prevedono un percorso orientativo di gruppo, seguiranno altre attività di accompagnamento alla ricerca attiva.
Sempre presente agli incontri, spesso portavoce dei timori che serpeggiano nel gruppo, teme che dopo tutta la fatica, potrebbe «non trovare un lavoro decente». Denuncia la fatica di ritrovarsi in «un’aula di scuola», seduta per alcune ore a pensare alla sua storia professionale, coinvolta in un’impegnativa attività di ricerca di qualità e competenze da reinvestire. L’aula diventa per lei un momento per parlare del suo lavoro passato, delle sue paure, è importante soprattutto essere ascoltata. Condivide con i colleghi e le colleghe il senso di fallimento causato dalla perdita del lavoro, manifesta la rabbia di dover subire una situazione di cui non ha colpa e che lei vive sentendosi inadeguata, incapace.
Dà un nome alle emozioni provate, ai pensieri negativi e così, incontro dopo incontro, si sente meno sola, meno incapace. Per lei le giornate del corso diventano un appuntamento importante in cui imparare cose nuove su di sé e sul mondo del lavoro: rivisitare la storia professionale, trovare competenze che non pensava di avere, a poco a poco la appassiona, scopre di saper fare più cose di quelle che pensava. Smette di intervenire continuamente e ascolta di più. Dice che non bisogna sottovalutarsi: la sua autostima è migliorata grazie al valore che ora dà alla sua storia professionale e questo è visibile anche nell’aspetto, tornato curato.
Storia di Mina, da studentessa a operaia
Mina è una giovane donna di 27 anni, è iscritta al sesto anno (laurea triennale). Nel primo incontro di counseling orientativo, programmato dopo il quinto tentativo per superare un esame che ha bloccato il suo percorso, si racconta attraverso un collage. Al centro, ritaglia una scritta che recita: «Troppe cose per la testa: lavoro, famiglia, vita sociale… il cervello va in tilt». A sinistra la fotografia della città in cui abita ora con la madre, a destra la città dove ha frequentato l’università, rappresentando così i due poli della sua scelta: vorrebbe lasciare l’università ma non deludere i genitori che la sostengono anche economicamente e per fare cosa, visto che non ha alcuna idea progettuale. Ansia e fatica sono le parole che accompagnano il suo racconto.
Riattraversiamo insieme la sua storia, la bocciatura al primo anno di liceo, l’ipotesi di cambiare scuola e la decisione di continuare comunque, anche se con grande fatica fino alla maturità scientifica; la scelta del percorso universitario (che definisce un calvario) fondata unicamente su un’esperienza di viaggio entusiasmante e non attenta alla sua propensione allo studio e ai suoi interessi. La narrazione le consente di dare voce alle emozioni, comprese quelle negative che ora nomina: rabbia, colpa, tristezza. Nello spazio protetto della consulenza può maturare la scelta sul suo progetto di vita, anche grazie alla consapevolezza delle capacità e conoscenze acquisite nelle diverse attività in cui si è sempre impegnata durante le vacanze estive. Decide di lasciare l’università, cerca e trova lavoro in un ambito che ama e che privilegia i valori in cui crede: giustizia sociale e cura dell’ambiente.
Due storie positive a confronto
Due storie di donne, apparentemente molto diverse. Quella di Rosa ci racconta del faticoso percorso per ricostruire un’autostima che la perdita del lavoro ha inficiato. Mina, pur nella sua giovane età, sente di aver fallito e deluso i suoi genitori e avverte che i riferimenti sui quali ha costruito le sue scelte non le danno serenità.
I casi di Rosa e di Mina nelle loro differenze sono accomunati da alcuni aspetti che può essere utile considerare. Innanzitutto la funzione del contenitore orientativo, due setting con caratteristiche diverse accomunati da un unico obiettivo: consentire a persone che si sono in vario modo “arenate”, che hanno incontrato difficoltà esogene (il licenziamento) o endogene (una scelta sbagliata che si fatica a rimettere in discussione) che le hanno costrette a una situazione bloccata, di profonda insoddisfazione e che non sembra consentire alcuna prospettiva che consideri al centro la possibilità di scegliere un’attività, un progetto professionale basato sui propri interessi.
Per entrambe il contenitore orientativo ha consentito di esplicitare difficoltà e ansie, di approfondirne le cause e rielaborare la situazione.
Il contenitore ha avuto la funzione di sbloccare il vissuto di impossibilità, di individuare nuove ipotesi percorribili, concrete, ipotizzando di coniugare la propria attività professionale con interessi e attitudini.
I due percorsi orientativi hanno consentito a Rosa e Mina di percorrere un itinerario che le ha condotte a ottenere risposte utili ai propri bisogni. Al bisogno esplicitato da Rosa, «trovare un lavoro decente» e al bisogno implicito di Mina: uscire da una situazione in cui ci sono «troppe cose per la testa», così tante che è difficile fare scelte e uscire da una situazione che la blocca.
Disamina e conclusioni
embrerebbe quindi che l’orientamento sia in grado di fornire risposte efficaci a chi si trova senza lavoro. Si potrebbe confutare la necessità di un servizio orientativo con la tesi che per Rosa sarebbe stato sufficiente un serio servizio di incontro fra domanda e offerta di lavoro e che quindi l’impegno richiesto alla società (il corso frequentato da Rosa era finanziato con fondi regionali) potrebbe risultare addirittura eccessivo.
In realtà la letteratura associa il livello di motivazione della persona al livello delle prestazioni professionali. Maggiore è la motivazione, maggiore diventa la prestazione in termini di disponibilità, capacità di adattamento, voglia di apprendere. Elementi che interessano alle organizzazioni in grado di apprezzare l’apporto individuale nella relazione fra l’individuo e il proprio lavoro.
Si potrebbe obiettare che nel caso di Mina, ancora più che in quello precedente, il tema delle risorse pubbliche sia assolutamente esagerato rispetto all’esigenza di fare chiarezza dando ordine alle troppe cose per la testa. In buona sostanza si tratta di confutare l’idea che l’orientamento individuale sia ancora di più di quello collettivo un lusso esagerato.
Il caso di Mina va affrontato dunque con una visuale diversa, che comprenda le varie tappe del suo percorso intessuto di obblighi e non di scelte basate su interessi, attitudini, obiettivi definiti.
Scelte che risalgono alla decisione di frequentare il liceo scientifico. Un percorso che somiglia a «un calvario» – come lei dice, che la porta alla bocciatura e al terzo anno fuori corso. Quanta sofferenza individuale e probabilmente della famiglia.
Quante energie impegnate in un percorso che poi finisce per bloccarla. Diviene quindi una convenienza della società sottrarre Mina al calvario che la blocca, soprattutto della società italiana che conteggia la più alta percentuale europea di Neet (not in education, employment or training). Mina non è una persona che ha le caratteristiche del Neet dal momento che studia, ma la situazione di elevata criticità potrebbe facilmente spingerla in quella condizione.
Quindi il contenitore orientativo rappresenta un’ipotesi prospettica in grado di fornire una modalità di presa in carico di persone in difficoltà che sia funzionale rispetto alle loro esigenze. Ha un senso evidente rispetto a politiche inclusive volte a rimettere in gioco, ad “attivare” le persone rispetto alla dimensione professionale, favorendone l’inserimento nel mercato del lavoro e la riattivazione dal punto di vista sociale. Ha inoltre senso che in entrambi i casi questo onere sia assunto dalla società, quindi dai servizi pubblici deputati a fornire servizi orientativi: i centri per l’impiego dotati di competenze orientative insieme a enti o associazioni che hanno una specializzazione orientativa.
Appello ai centri per l’impiego
Sicuramente emerge la necessità di assumere il tema dell’orientamento nel dibattito sulle politiche attive del lavoro connesso al piano di potenziamento nazionale dei centri per l’impiego pensando a LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) che forniscano una risposta efficace ai bisogni di Rosa e Mina.
Inoltre, si pone il problema delle competenze orientative: è probabile che molti centri per l’impiego ne siano attualmente sprovvisti, però il piano di potenziamento previsto dalle regioni potrebbe concepire di sviluppare questo filone di competenze valorizzando quanto è attualmente presente nei territori. Pensiamo ad associazioni no profit, enti, società private, singoli professionisti.
Le risposte dell’orientamento
L’orientamento, come abbiamo visto, è in grado di rispondere a bisogni estremamente diversificati, alle persone che si trovano licenziate e alle persone che per vari motivi si sono perse, arenate e corrono il serio rischio di non riuscire a reinserirsi nel mercato del lavoro. Ha dunque una “caratteristica strategica” nel senso che è in grado di fornire risposte ad ampio spettro a utenze che riprodurranno su larga scala i bisogni di Rosa e Mina. Su questi aspetti ANPAL 1 , le regioni e le istituzioni scolastiche sono chiamate a dire come pensano di recepire tale servizio all’interno delle proprie politiche: la famosa sfida della modernizzazione connessa al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) 2 passa anche da qui.
1 ANPAL Servizi S.p.A. è una società in totale controllo pubblico che opera nel campo delle politiche attive del lavoro. https://www.
anpalservizi.it/
2 https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf
Note:
• https://slosrl.wordpress.com/2016/02/18/perdere-il-lavoro-e-ritrovare-la-speranza-politiche-attive-del-lavoro-e-buon-uso-della-crisi/
• https://slosrl.wordpress.com/2012/10/13/disoccupazione-vuol-dire-solitudine-in-italia-si/
Alida Franceschina
counselor professionale
counselor professionale a orientamento psicosocioanalitico e orientatrice
Sergio Bevilacqua
esperto di servizi per il lavoro
gestisce interventi di cambiamento organizzativo