Voci in esilio
La storia di Elyse ngabire, grande firma del giornalismo politico burundese
Quarant’anni appena compiuti, madre single di tre figli di 5, 9 e 14 anni, e firma di punta del gruppo editoriale nazionale più influente del Burundi, Iwacu. Elyse Ngabire si trova oggi alla Maison des journalistes (MDJ) di Parigi, un’associazione unica al mondo che accoglie i giornalisti richiedenti asilo e rifugiati. Ha ottenuto il riconoscimento del suo diritto d’asilo a tempo di record, un mese appena: non occorreva indagare a lungo per verificare se e quanto la sua vita fosse in pericolo. Risale al settembre 2015 il suo viaggio, sola andata, dall’Africa all’Europa, che ha segnato per sempre la sua vita e la sua carriera.
Elyse Ngabire aveva lavorato duro per costruire il suo mondo, a Bujumbura. Responsabile delle questioni politiche della redazione del settimanale Iwacu, era stata anche la coordinatrice delle trasmissioni realizzate con i quattro ex capi di Stato del Paese alla vigilia delle elezioni presidenziali dell’aprile 2015. Fino a venerdì 28 agosto 2015, quando pubblica un articolo intitolato «Dialogo finito!»: Elyse Ngabire critica le promesse non mantenute del presidente Pierre Nkurunziza, in occasione del suo giuramento per il terzo mandato, assunto contro l’accordo di Arusha e la Costituzione del Burundi. Al contempo, Ngabire indaga sulle origini del vice-presidente della Repubblica. I suoi articoli provocano come d’abitudine polemiche, nell’opinione burundese. Il potere non tollera tanto rumore. Nove agenti dei servizi di sicurezza del governo si presentano a casa sua, per arrestarla. Temendo il peggio (era già stata detenuta nel 2010, poco dopo aver dato alla luce il suo terzo figlio), la penna di Iwacu decide di lasciare il Burundi.
L’amore per la libertà e la passione per il giornalismo
«La mia passione civile è nata nel 1993 – ricorda Elyse Ngabire -, quando avevo 17 anni e il Burundi organizzava le prime elezioni democratiche dopo la dichiarazione d’indipendenza del 1 ° luglio 1962. I miei genitori erano per il cambiamento: votarono per il presidente Melchior Ndadaye. Tre mesi dopo la sua vittoria, Ndadaye fu ucciso insieme ai suoi più stretti collaboratori da una élite militare. Ne fui profondamente turbata. Non avevo ancora l’età per votare, ma seguii tutte le vicende legate a queste elezioni. Da allora, la politica è il mio interesse principale e la difesa della libertà di espressione è la mia battaglia».
È il 1996 quando Elyse capisce di voler diventare giornalista. «Purtroppo, nel mio Paese, non vi erano scuole di giornalismo e mi accontentai di frequentare la facoltà di medicina». Tuttavia la passione per il giornalismo non si spegne. Nel 2000 Ngabire lascia medicina per iscriversi all’università Lumière di Bujumbura, presso la facoltà di scienze della comunicazione. Nel 2008 viene assunta presso il gruppo Iwacu e diventa la responsabile della sezione politica.
«Durante i miei otto anni di professione, ho realizzato diverse interviste che mi hanno segnato e ne ricordo in particolare tre». Elyse Ngabire ripercorre il filo dei ricordi. «La prima intervista fu con l’arcivescovo di Gitega, Simon Ntamwana. Una vasta parte dell’opinione pensava che sostenesse il potere del CNDD-FDD (il partito del presidente Nkurunziza, acronimo di «Consiglio Nazionale di Difesa della Democrazia – Forza per la Difesa della Democrazia», ndr), ma scoprii e rivelai la sua opposizione».
La seconda intervista fu con il presidente della Commissione Territorio e altri beni (CNTB), il vescovo Sérapion Bambonanire: «Era un uomo molto controverso e fortemente contestato da una parte dell’opinione pubblica nazionale. Quando lo incontrai, rivelò la decisione del governo di restituire agli Hutu le terre che erano state tolte loro durante il massacro del 1972. Bambonanire ignorava che tale operazione dovesse passare sotto silenzio. Questa intervista fece scandalo presso la classe politica, obbligandolo a ritrattare le sue stesse parole».
La terza intervista fu con il deputato Manassé Nzobonimpa, un ex attivista del CNDD-FDD ed ex compagno di Nkurunziza: «Lo incontrai al di fuori del Paese, dove si era rifugiato a seguito di un disaccordo con Nkurunziza. La mia intervista fu ugualmente uno scoop».
Un curriculum marcato da notizie esclusive e lunghe inchieste. Elyse Ngabire ricorda con una punta d’orgoglio il progetto su cui lavorò per oltre due anni, una rubrica intitolata «Se la mia memoria è buona», dove analizzava le sfide e il contesto sociopolitico del Burundi, attraverso la storia recente e passata del Paese. «Gli articoli ebbero un enorme successo. Alla fine, il mio editore ne ricavò un libro di 149 pagine». In vista delle elezioni presidenziali del 2015, la giornalista fu inoltre nominata coordinatrice di un ciclo di trasmissioni con i quattro ex capi di Stato del Burundi: «Era la prima volta – sottolinea Ngabire – che degli ex presidenti parlavano pubblicamente della loro gestione del potere, dei loro successi e dei loro fallimenti. Questo ciclo ebbe una grande risonanza nella congiuntura elettorale del Burundi».
A Parigi. L’impegno continua
Oggi Elyse Ngabire è iscritta presso l’Università di Parigi a un master di secondo livello sulle società in via di sviluppo. Continua in parallelo a esercitare la professione di giornalista: collabora con L’ì…il de l’exilé, il giornale della MDJ, ed è corrispondente del gruppo editoriale Iwacu. Da qualche settimana, dopo quasi un anno di lontananza, ha potuto ricongiungersi con i suoi tre bambini, cominciando una nuova fase della sua vita: «Parto di nuovo da zero, quando prevedevo invece di intraprendere diversi progetti, professionali e privati, in Burundi. È complicato, ho l’impressione di aver perso tutto: il mio Paese prima di tutto». Una situazione difficile da definire, anche per una giornalista che ha familiarità con le parole: «L’esilio mi ha cambiato sia positivamente che negativamente. Alla MDJ ho incontrato giornalisti che provengono da quasi ovunque nel mondo. Tutti abbiamo un denominatore comune: siamo stati perseguitati, abbiamo lasciato le nostre famiglie alle spalle… perché abbiamo denunciato l’abuso dei poteri dittatoriali nei nostri Paesi. Questo mi ha permesso di capire che i giornalisti assumono rischi enormi in nome della libertà e del rispetto dei principi democratici. Questo è il lato positivo». Tuttavia Ngabire esprime nettamente la sua amarezza: «Come giornalista rifugiata mi dispiace di non poter contare sul sostegno dei colleghi francesi. Avrei desiderato ci aiutassero a integrarci nella professione, mentre invece siamo lasciati a noi stessi. È un peccato che tanti giornalisti esiliati siano costretti a cambiare lavoro, perché è difficile trovare un posto nei media francesi». Come ammette la giornalista, che è bilingue francese-kirundi: «La barriera della lingua è certamente un handicap, ma è complicato anche per i francofoni. Ed è il futuro della professione – considera la giornalista – che è pertanto in pericolo».
Tuttavia, per il futuro, Ngabire non mette in conto una riconversione professionale. Nonostante le difficoltà, ha già ripreso la sua lotta per la democrazia nel suo Paese, partecipando alle attività di sensibilizzazione alla libertà della stampa previste nell’ambito dei programmi educativi della MDJ e continuando a scrivere come giornalista specializzata delle questioni relative al Burundi.
Il pensiero di Ngabire non va più solamente alla sua terra, ma anche a coloro che, come lei – ma probabilmente incontrando molte più difficoltà -, hanno dovuto chiedere asilo: «Tutti i conflitti costringono gran parte delle popolazioni a lasciare i loro Paesi per stabilirsi altrove. Ai cittadini dei Paesi che accolgono i rifugiati – conclude Ngabire – chiedo di trattarci con umanità, perché nessuno sceglie di essere un rifugiato».
Lisa Viola Rossi
giornalista particolarmente attenta ai diritti umani,
componente dell’équipe de la Maison des journalistes di Parigi