Violenza e poesia
Il «taoismo» di Takeshi Kitano
Takeshi Kitano è uno dei grandi registi cult del cinema internazionale. La sua popolarità in Giappone non conosce uguali. Nel campo dello spettacolo si può dire che abbia fatto di tutto: attore e regista di film e di fiction televisive, cronista sportivo, conduttore di giochi a premi, di programmi educativi, di talk-show, opinionista di quotidiani e settimanali, romanziere e poeta. Protagonista quasi sempre dei suoi stessi film, ha creato il genere della «buffoneria tragica», in cui coniuga come pochi violenza estrema e poesia. Le sue storie, pullulanti di yakuza e poliziotti, esplorano, in uno stile travolgente, la realtà criminale ed esplodono in una violenza ai limiti del credibile che rasenta la parodia e il clownesco.
Nel 2005 Kitano ha presentato al Festival del cinema di Venezia il film Takeshis’, in cui mette in scena una parodia feroce di tutti i suoi lavori e si prende gioco delle critiche (positive) scritte su di lui. Un film che è, per citare Paolo Balmas, «una pernacchia globale agli spettatori del cosiddetto cinema d’autore di cui lo stesso Kitano farebbe parte». Tutto in Takeshis’ viene bollato di non-senso. Unico suo film a non essere desacralizzato è Dolls (Bambole, Burattini), un film straordinario, entrato ormai a pieno titolo nella storia del grande cinema, che ha per tema l’amore impossibile.
Amore ed espiazione
Dolls è l’intreccio di tre storie d’amore, che finiscono tutte tragicamente. La principale, che funziona anche da collante delle altre due, narra del legame tra due giovani di condizioni sociali modeste che si spezza perché lui, una cenerentola al maschile, si innamora della figlia del suo datore di lavoro. Abbandonata, lei tenta il suicidio. Viene salvata, ma perde la ragione. Lui lo viene a sapere soltanto poche ore prima del matrimonio. Ne rimane sconvolto. È così importante il successo? si chiede. Pianta tutto e scappa. Ritrova la sua prima fidanzata in un ospedale psichiatrico, ma non viene riconosciuto. Non è più che una bellissima rossa farfalla morta. Scappano. Regredita allo stato infantile, lei lo segue come un automa. Diventano due vagabondi legati insieme da una lunga corda. Camminano uniti, ma estranei l’una all’altro, in un interminabile pellegrinaggio espiatorio, dentro un paesaggio sconvolgente che varia con il variare delle quattro stagioni, che segnano la durata del racconto. Una marcia muta ed estenuante li riporta al luogo dove avevano celebrato il loro fidanzamento. Il luogo dell’inizio. È la scintilla che risveglia in lei la coscienza. Gli sorride alla fine e scoppiano in un pianto liberatore. Ma sono costretti a riprendere la strada perché cacciati dal locale in cui avevano trovato rifugio. Camminano lesti, adesso, tra colline invase dalla neve. Non sanno che la loro sorte si compirà di lì a poco, quando saranno vittime di un incidente mortale. L’amore, non colto all’inizio, non può essere ricostruito. Quando i due protagonisti lo stanno per riafferrare, muoiono. Il loro destino è più forte di qualsiasi espiazione. Ma è possibile un qualsiasi amore?
Amore e successo
Protagonista della seconda storia è un anziano yakuza. Nella vita ha ottenuto tutto quello che ha voluto con l’uso spietato della forza. Ha ucciso per interesse anche il fratello. Fattosi vecchio e potente, capisce che è venuto il momento di «usare la testa». Gli torna alla memoria di quand’era un giovane manovale e aveva una donna che ogni sabato gli portava il pranzo dandogli appuntamento a una panchina del parco cittadino. La lasciò quando capì che gli sarebbe stata di intralcio alla sua carriera nella malavita. Le promette però che un giorno si sarebbero rivisti e allora sarebbe stata sorpresa del suo successo. «Ti aspetterò qui ogni sabato – dice lei – ti porterò il pranzo».
È sabato. Si fa portare in quel luogo. Sono passati tanti anni. Ma lei è lì, fedele. La donna della panchina, la chiamano ormai. Ritorna il sabato successivo. Pranza con lei, ma senza rivelarsi. Quando si allontana, viene ucciso. È una delle scene più belle del film. Si vede il sicario che gli spara e subito dopo una foglia rossa d’acero che cade in un torrente. Sul ponte che lo attraversa si trascinano i due «vagabondi legati».
La terza storia è la storia di un ammiratore di una bellissima cantante rock di successo, regolarmente respinto da lei. Quando si rende conto che la potrà possedere solo in sogno, si acceca. Da cieco la potrà finalmente «vedere» ogni volta che lo desidera. La incontrerà un giorno in riva al mare, anche lei deformata nel volto da un incidente d’auto. Sarà lui, anzi, la sola persona cui lei consentirà di avvicinarla proprio perché cieco.
Il tema del cieco che vede meglio, che meglio coglie la realtà, della persona che sostiene di vedere, è un classico della letteratura orientale ed è ricorrente nell’opera di Kitano. È addirittura l’argomento di un altro suo film famoso, Zatoiki, nel quale un samurai cieco sgomina una banda di malviventi che terrorizza un villaggio e vince ai dadi senza fallire una sola volta. Secondo la filosofia zen non è l’arciere a centrare il bersaglio, ma il bersaglio ad attirare a sé la freccia. Ma perché questo avvenga, bisogna che l’arciere si scrolli tutto di dosso e resti vuoto per «accogliere» l’unico gesto giusto che fa centro. Il tirocinio per arrivare a questoàcapovolgimento nella visione delle cose è meravigliosamente raccontato nel famoso piccolo libro di Eugen Herrigel, Lo zen e il tiro con l’arco.
L’amore impossibile
Le tre vicende narrate dal film si svolgono lungo le stesse strade, si incrociano senza che uno sappia dell’altro, ignorandosi reciprocamente, così come avviene quasi sempre nella vita.
Tutti i protagonisti sono schiavi senza saperlo di un loro destino, come marionette (dolls) mosse da mani sconosciute, che parlano con le parole e la voce di un altro. Ciascuno deve recitare fedelmente la parte che gli è assegnata fino alla fine. Solo all’interno del copione è possibile esprimere se stessi. Anche l’amore fa parte del copione. E il copione è costituito dalla rete delle convenzioni sociali. Chi trasgredirà a questa regola, chi cercherà di far valere la propria visione della vita e deciderà di testa sua, nella commedia non avrà più una parte e pagherà con la vita. È destinato a morire. Ci si salva indossando i costumi della recita. Restando personaggi, senza tentare di agire da persone. Ciò vale in particolare per l’amore, che diviene così irraggiungibile. I rapporti ispirati a un amore semplice e trasparente non hanno spazio nella società d’oggi.
In questo film, sapientemente strutturato, il meno aderente al genere che Kitano si è costruito, il ritmo viene rallentato, i dialoghi sono quasi inesistenti, il racconto viene affidato a una narrazione apparentemente opaca, ma internamente lacerata, dominata da una nota dolente che si contrappone alla bellezza sconvolgente del paesaggio e al rigore formale delle inquadrature.