Urbanizzare, umanizzare
Città frammentate, periferie diffuse
Recenti stime dimostrano che in Cina, nei prossimi quindici anni, circa duecento milioni di persone migreranno dalle campagne alle città, portando la popolazione urbana al 50% circa del totale nazionale. Si tratterà del più grande fenomeno di migrazione interna della storia, risultato di un percorso che la Cina ha intrapreso dalla fine degli anni settanta. Il modello di sviluppo in atto rispecchia in gran parte quello già realizzato nel resto del mondo industriale durante la seconda metà del novecento. Ma in Cina chi deve gestire questo fenomeno dalla portata enorme non sembra aver fatto tesoro delle esperienze e degli errori commessi dall’Occidente. Le rivolte dei contadini nelle campagne sono all’ordine del giorno, così come lo sventramento di interi quartieri storici per far spazio a moderne torri di vetro e cemento. Allo stesso modo dell’Europa nel secolo scorso, anche in Cina il processo di urbanizzazione forzata sta portando da un lato al collasso del mondo rurale e delle culture contadine, dall’altro a nuove industrie e più case. Come ovunque, intorno allo sviluppo di un territorio si scontrano e si coagulano interessi economici, indirizzi urbanistici, spinte speculative, modelli abitativi, esigenze di controllo sociale, culture e abitudini popolari, vincoli normativi, pratiche amministrative, immagini del futuro, diverse idee di città e di campagna.
La pianificazione in Italia
Per quanto riguarda l’Italia, il rapidissimo sviluppo urbano a partire dai primi anni sessanta ha portato a un proliferare di tante «periferie diffuse», disseminate intorno ai vecchi centri comunali. In trent’anni, è stata costruita una superficie pari a quella del Lazio e delle Marche messe insieme. Sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze dovute alla sregolatezza di questo sviluppo, che non fu elaborato mediante una discussione dei progetti urbanistici tra i cittadini, la politica locale e i consigli comunali. La pianificazione di un territorio o di una città scatena appetiti, e così, invece di essere un veicolo di rinnovamenti strutturali, spesso è diventata un mezzo di conservazione delle istituzioni, dei gruppi sociali e delle forze economiche in gioco. Sul piano umano tutto questo ha avuto delle conseguenze radicali, con la disgregazione al contempo sia dei legami sociali, sia di quella cultura popolare che riflette il carattere di un luogo. Nelle odierne società occidentali il folklore ha preso il posto della cultura popolare, come la commercializzazione di prodotti tipici e l’invenzione di nuove tradizioni, che tendono a trasmettere un messaggio identitario e localistico, hanno rimpiazzato la cultura contadina, che invece era per natura millenaria e universale. Le migrazioni dagli svariati sud del mondo degli ultimi decenni, conseguenza degli sconvolgimenti geopolitici mondiali, hanno portato all’arrivo di milioni di immigrati di diverse culture nel nostro paese, innestandosi in queste trasformazioni e ampliando la percezione di frammentazione.
Il progetto europeo per le città
Per fare fronte al degrado delle aree metropolitane e al senso di insicurezza dei cittadini, dagli anni ottanta esiste a livello europeo una politica per le grandi città. L’indirizzo di tale politica tende al recupero dei centri storici in termini di gentrification, di abbellimento architettonico, cercando da un lato di specializzare e dall’altro di uniformare le funzioni delle città, trasformando così l’economia e la società locale. Ogni città si specializza in base alla propria economia: all’industria, al turismo, alla finanza, alla vita universitaria, al commercio, alla creazione di eventi. Nascono i «poli», come quelli fieristici o universitari, dislocati in zone scarsamente abitate o in fase di riassetto urbano. Ma una riorganizzazione urbana in base a una funzione, come ad esempio il turismo di massa, implica di per sé profondi cambiamenti del tessuto sociale. In questi anni tale politica ha comportato la trasformazione della composizione sociale di interi quartieri in città come Barcellona, Milano, Roma, Bruxelles e tantissime altre, con l’espulsione dei ceti più poveri dai quartieri centrali e la terziarizzazione degli spazi. I centri storici vengono trasformati in salotti stile disney e le periferie mantengono le connotazioni di ghetto o di residenze di lusso costellate da centri commerciali. La saturazione degli spazi a disposizione porta al passaggio da uno sviluppo orizzontale del tessuto urbano a uno sviluppo verticale con il moltiplicarsi di alte torri, volgarmente dette anche «grattacieli».
Inoltre, prende piede, sul modello americano, la tendenza alla costruzione di quartieri ed enclave private, con guardie private, e alla separazione delle funzioni che nella città sono sempre state miste. La città si trasforma inesorabilmente da spazio pubblico, dove l’uomo ha fondato la convivenza, a spazio privato.
Cittadini vs clienti
Sul futuro gravano perciò i tanti problemi accumulati e rimasti irrisolti, come ad esempio il boom demografico, l’inquinamento, la desertificazione, la ridefinizione del rapporto tra città e campagna e il ruolo delle aree rurali. È vero che oggi possediamo e disponiamo di più strumenti rispetto al passato, ma la frustrazione e l’insicurezza della società contemporanea, di fondo, risiedono forse nel fatto che la qualità della vita nelle nostre città, nonostante il benessere diffuso, non sembra migliorare. Non c’è nulla di strano se un’epoca di grandi trasformazioni storiche e tecnologiche ridisegna il paesaggio urbano e rurale, costruendo nuovi tipi di costruzioni, è sempre accaduto nel corso dei secoli. Tutto sta nel come gestire l’urbanizzazione, perciò c’è molto di strano se chi dovrebbe guidare i processi legati a queste trasformazioni non tiene conto delle esperienze accumulate e se non utilizza il sapere di cui dispone.
In una società in cui il consumo immediato ha la meglio sulla progettualità a lungo termine e l’urbanistica diventa manageriale ingegneria sociale, la casa diventa un prodotto di consumo come altri, allo stesso modo dell’auto dei sogni scelta sul catalogo. La dipendenza del campo dell’architettura e dell’urbanismo rispetto alla sfera economica è ormai pienamente compiuta, e la conseguenza di una simile gestione dello spazio pubblico sta nel cambio di status degli abitanti, che, inquadrati in città sempre più privatizzate, smettono di essere cittadini per diventare i clienti di un’azienda.
La debolezza della politica e dell’amministrazione pubblica, vuoi la sudditanza, si riflette a livello locale con la mancanza di una moderna ottica ambientale e di una visione complessiva dei problemi della città e di chi la abita, sempre più legate alla qualità della vita, a una riconversione energetica verso fonti rinnovabili nei quartieri, al riciclaggio dei rifiuti urbani, all’integrazione sociale e multiculturale con relativo passaggio a un nuovo tipo d’identità collettiva.