Una nuova età della vita
àAnziani (solo) potenzialmente attivi
Fra le molteplici trasformazioni sociali che attraversano il nostro tempo ce n’è una che passa abbastanza inosservata, perché trattasi di una rivoluzione silenziosa, che senza sosta, anno dopo anno, progredisce in modo ineluttabile, determinando un cambiamento profondo della società. Intendo parlare dell’invecchiamento della popolazione.
Oggi non solo nel nostro paese e nell’Occidente sviluppato e benestante, ma nel mondo intero questo processo avanza inesorabilmente. È apparso recentemente un rapporto mondiale ONU sulla vecchiaia che offre dati impressionanti a riguardo, lanciando un grido d’allarme particolarmente a sostegno dei paesi più poveri – dove questa tendenza non fa che aggiungere problema a problema – ma anche stimolando tutti i paesi e la comunità internazionale a mettere all’ordine del giorno la questione e affrontarla senza perdere tempo. Un solo dato relativo all’Italia, per aver presente di cosa parliamo: la speranza di vita è ormai attorno a 80 anni e gli anziani oltre i 65 anni (questo è ormai il riferimento statistico-sociale) che attualmente rappresentano il 20% della popolazione, sono destinati a salire al 25% nel 2030 e al 30% nel 2040.
Fra i tanti problemi che scaturiscono da questa situazione mi limiterei, in questo articolo, ad affrontarne uno solo: quello degli anziani che, andati in pensione, si trovano in buone condizioni di salute e di capacità. Questi anziani oltre i 65 anni sono in Italia circa 10 milioni; di questi si calcola che il 15-20% abbia problemi seri di salute (invalidità, non autosufficienza, Alzheimer, Parkinson, malattie croniche e degenerative, ecc.), ma l’altro 80-85% è in buona salute ed è in grado di avere una normale vita sociale, intellettuale, relazionale, per 15 o 20 anni. Si tratta, solo per l’Italia, di 8 milioni di persone.
Queste persone, nel loro assieme, non hanno più alcun ruolo sociale e spesso la loro maggiore attività è quella di fare il nonno e di dedicare un po’ di tempo al volontariato. Ma come non vedere l’assoluta marginalità e il drastico sottoutilizzo di cui tante persone – sino a ieri considerate e stimate per il loro lavoro – soffrono, perché messe da parte al momento della pensione? Da un giorno all’altro persone fino a ieri pienamente attive diventano «inutili» e tali vengono considerate. Ancheàil cosiddetto «invecchiamento attivo» non sembra molto di più di un patetico invito a trovare qualcosa da far fare a queste persone, senza più ruolo e funzioni.
La situazione sociale a riguardo è profondamente cambiata nel breve volgere di qualche decennio, mentre noi continuiamo a pensare come una volta. I pensionati di ieri erano pochi, non vivevano a lungo e si considerava giusto che chi aveva lavorato potesse godere un meritato riposo (anche perché il lavoro una volta era più pesante). Oggi gli anziani sono tanti, vivono a lungo in buone condizioni e l’atteggiamento nei loro confronti è mutato profondamente: si tende a pensare che siano un carico pesante sulle spalle della collettività, che stanno bene e si dedicano alla bella vita, con viaggi all’estero e hobby vari.
È la prima volta nella storia del mondo che ci troviamo ad avere un’intera classe sociale, potenzialmente attiva, che non ha nessun ruolo e riconoscimento sociale. Si è formata in questi tempi, anno dopo anno, quella che possiamo definire una nuova età della vita.
È un’importante occasione di riflessione, non solo sugli anziani, ma su come funziona la nostra società. Occorre rivedere la rigida separazione tra le diverse età della vita, la centralità che ha assunto il lavoro salariato a discapito di altre dimensioni, come è possibile valorizzare altre attività retribuite o no, utili alla collettività e promotrici di socialità.
Essere nonno della famiglia e della società
Quando si chiede a un anziano come passa il tempo, spesso risponde «faccio il nonno». Allo stesso modo con cui si svolge questa attività in famiglia, perché non pensare, per analogia, a una funzione analoga degli anziani verso la società? Il nonno non è il padre cui spettano i compiti di responsabilità e gestione diretta, ma svolge un compito più soft, più di cura, più di attenzione e di concordia, indispensabile per una vita buona e pacifica. Gli anziani con la loro esperienza, con la loro professionalità, il loro saper fare possono costituire un’enorme forza etica e sociale nella comunità, liberi tra l’altro ” godendo della pensione ” di dover pensare al guadagno. Ci vorrà tempo naturalmente per dar vita a iniziative, forme diàintervento, rapporti comunitari che possano interpretare adeguatamente questa esigenza.
A riguardo è importante anche un cambiamento di mentalità; abbandoniamo l’idea che l’anziano «ha dato» e ora è giusto che riceva. È un’idea totalmente sbagliata, perché nella società tutti, a tutte le età, danno e ricevono e spesso è molto più quello che abbiamo ricevuto che quello che abbiamo dato. Se penso alla mia famiglia quella di ieri e quella di oggi, ai molti e grandi amici che ho avuto, alle bellissime esperienze che ho fatto nel lavoro, non posso che ringraziare dei grandi doni che ho avuto. Se dovessi fare dei conti, mi troverei sicuramente in debito.
Ognuno di noi ha certamente avuto dalla vita e poi è assolutamente inconcepibile pensare che ciàsia un periodo della vita in cui una persona non debba più dare o fare, ma solo ricevere e pensare a sé stesso. E del resto se gli anziani oggi sono poco considerati, non sarà anche per questo? Perché pensano di dedicarsi ai fatti loro e sono visti come un peso inutile? Cosa devono pensare i giovani degli anziani se vedono che sono inutili?
Siamo a un passaggio d’epoca, a una vera e propria svolta che riguarda tanto il modo di vita personale che quello della società. Come sempre i cambiamenti creano disagi, ma anche prospettive, sogni, avventure, orizzonti verso cui tendere.
Sandro Antoniazzi
già segretario generale della Cisl Lombardia
ed ex presidente del Pio Albergo Trivulzio