Un progetto europeo per l’inclusione degli alunni rom nelle classi multiculturali

di Gobbo Francesca

Il 30 novembre scorso si è ufficialmente concluso il progetto europeo denominato INSETRom, sviluppato da otto partner in differenti nazioni dell’Unione per promuovere l’effettiva uguaglianza di opportunità educative per gli alunni rom e per incrementare la partecipazione delle famiglie alla vita scolastica dei loro figli1.

Il progetto INSETRom partiva dal riconoscimento della disuguaglianza, discriminazione, esclusione violenta fino al genocidio, che hanno segnato la storia dei rom.

Tuttora l’ingiustizia segna le condizioni di vita, le opportunità di lavoro e di inserimento sociale, le esperienze educative di quelle popolazioni nei diversi paesi europei.

Una nuova ipotesi di lavoro

INSETRom intendeva rispondere2 a tali situazioni di esclusione sociale ed educativa, e in particolare a quest’ultima, ipotizzando che le ragioni dei fallimentari o insoddisfacenti risultati scolastici degli alunni rom, come pure della loro difficile inclusione nella vita delle classi, non fossero come sempre da ricondurre nella «cultura rom» e nella persistente resistenza, diffidenza (troppo spesso giustificate) messe in atto dalle famiglie rom nei confronti della scolarizzazione. Indicava piuttosto che tali ragioni fossero da individuare sia nella cultura della scuola (ovvero nelle regole e modalità organizzative dell’istituzione scolastica) sia nelle competenze e aspettative delle insegnanti. Come ho recentemente sottolineato (Gobbo 2009a, p. 348), «si tratta di una ipotesi di lavoro e di intervento significativa» che, a partire dalla ricerca antropologico-educativa americana, ha storicamente prodotto «il passaggio da una spiegazione che riconduceva il «problema» all’ambiente socio-culturale di provenienza degli alunni, secondo la teoria dello svantaggio e/o della deprivazione culturale, a un’altra che metteva invece in rilievo l’importanza, spesso determinante, dell’ambiente scolastico, teorizzato come ambiente culturale e organizzativo»3.

Per questo, prima di iniziare il percorso di formazione INSETRom, era sembrato indispensabile, da un lato, rilevare l’esperienza pedagogica, la conoscenza delle culture rom, e l’esigenza di saperne di più, tra le insegnanti disponibili a parteciparvi, e, dall’altro, comprendere come famiglie e bambini rom percepissero l’esperienza di apprendimento e che cosa si aspettassero di eventualmente differente. Nelle interviste qualitative condotte a Torino e a Firenze4 le insegnanti avevano indicato la loro limitata competenza dei modi culturali e della lingua rom, il desiderio (o l’esigenza) di apprenderli e dunque di impegnarsi nel percorso di formazione in servizio loro proposto. La maggioranza delle insegnanti di Torino ha frequentato tutti gli otto moduli per un totale di 32 ore, e sedici di loro, in otto diverse scuole, ha poi attuato dodici sperimentazioni (v. Gobbo, Peano 2009).

Luoghi comuni su cultura e storia dei rom

Focus group condotti al termine della formazione hanno sottolineato l’apprezzamento di tale esperienza sia per le sue ricadute «pratiche» (un senso di maggiore padronanza dei temi culturali, suggerimenti didattici pertinenti e materiali interessanti ed efficaci per la sperimentazione in classe, per esempio), sia per la consapevolezza acquisita che occorre sempre confrontarsi criticamente con le prospettive teoriche sottese alle «buone pratiche» (Gobbo 2009b). Proprio su questo punto vorrei soffermarmi, poiché troppo spesso, tra le insegnanti, il progetto di diventare competenti su storia e cultura rom si fonda sulla credenza che (1) vi sia una cultura rom, immaginata come largamente omogenea e ben delimitata nella sua diversità, (2) le cui vicende storiche sarebbero distinte dalla storia degli statinazione di cui i rom sono parte, o come cittadini o come immigrati o rifugiati.

Alla prima credenza, che favorisce il formarsi e il persistere di stereotipi e pregiudizi negativi e positivi (per esempio, la celebrazione romantica della «libertà» come caratteristica peculiare della vita dei rom), il percorso di formazione a Torino ha risposto innanzitutto invitando le insegnanti a «vedere» le loro identità personali e professionali come situate storicamente, socialmente e culturalmente (v. modulo 1, www.iaie.org/insetrom). In altre parole, a «vederle» come frutto di un processo di inculturazione iniziale e permanente non diverso, in quanto processo di insegnamento e apprendimento di elementi e modi culturali, da quello di cui ogni altro soggetto, e dunque anche il bambino o la bambina rom, fa esperienza dapprima in famiglia e nell’ambiente immediatamente circostante e, successivamente, incontrando (purché l’incontro sia possibile o ammissibile) altre persone diversamente inculturate. In particolare, basandoci sui risultati di una recente ricerca antropologica italiana che fa giustizia di molte valutazioni stereotipate sui rom ed evidenzia la diversità interna e le diverse risposte alla scolarizzazione dei diversi gruppi (v. Piasere 2007), si è voluto mettere in rilievo che la mancata conoscenza di tali differenze, della loro storia antecedente l’arrivo in Italia (soprattutto nel caso dei rifugiati), e delle strategie messe in atto da adulti e bambini per mantenere un senso della loro diversità e conservare la distinzione tra rom e non rom, può impedire a chi insegna di cogliere la complessità del quadro relazionale ed educativo. Ne deriva il rischio di continuare a concepire «il sapere come una serie di unità distinte da apprendere secondo un processo cumulativo e lineare, piuttosto che come una opportunità di metterlo in discussione da una prospettiva nuova e critica» (Gobbo 2009b, p. 529).

Quanto alla seconda credenza, le presentazioni delle proprie ricerche da parte di giovani storici come Benedetto Fassanelli5 e Luca Bravi6 avevano chiarito che «confrontarsi con la storia dei rom significa confrontarsi con la storia delle relazioni tra rom e non rom (e il carico di violenza che l’ha accompagnata), e prendere coscienza che quella storia che chiamiamo «nostra» è profondamente intrecciata con la «loro»… e modellata da stereotipi e pregiudizi che sembrano coagularsi… intorno alla figura della «zingara rapitrice»» (Gobbo 2009a, p. 354)7.

Conclusioni e proposte

Come attestano le ormai numerose ricerche antropologiche di alto livello8, e i rapporti europei (v. EUMC 2006), se l’educazione continua a rappresentare una via importante per promuovere e realizzare una reale eguaglianza di opportunità e risorse tra le minoranze e nella maggioranza, un tale cambiamento non potrà soltanto risultare dall’inserimento problematico della «cultura rom» (v. Rus 2009) nel curricolo e nelle attività educative delle classi multiculturali. Occorrono invece svolte sistematiche che introducano strategie e iniziative interculturali capaci di riconoscere le diversità e al tempo stesso evitare l’elaborazione e la diffusione di una pedagogia per i rom e i sinti.

Si tratta di un obiettivo che può essere raggiunto grazie a:

ricerche storiche, antropologiche e antropologicoeducative sempre più approfondite, le quali permettano a insegnanti e amministratori locali di apprendere e discutere le premesse teoriche su cui si fonda ciascun progetto di inclusione;
una riflessione coraggiosa e disincantata sull’influenza che le vicende storiche, politiche e antropologiche hanno su non rom e rom, e sulle retoriche che ne derivano, le quali spesso giungono a sostituire (e a reificare) una realtà quotidiana molto più complicata e sfaccettata di quanto a volte ci piacerebbe;
una consapevolezza critica delle premesse educative, culturali e politiche che guidano le azioni di insegnanti, associazioni e amministratori locali, come pure «dell’impatto problematico o negativo che idee e iniziative non esaminate possono avere in situazioni complesse caratterizzate, fra le altre cose,da differenze di potere e autorità» (Gobbo 2009b, p. 532).

Concludo, infine, precisando che la scelta di un approccio interculturale per INSETRom non era tanto legata al fatto che il progetto si occupasse di alunni e famiglie rom e sinte e delle loro relazioni con gli insegnanti, cui dava «le agognate conoscenze e competenze», quanto perché «si impegnava a realizzare una riflessione sulla complessità culturale dei diversi inter-locutori» (Gobbo 2009a, p. 352).

Francesca Gobbo, Università degli Studi Torino

Fonti

Il testo del progetto, le fasi e i contenuti della sua realizzazione, insieme ai materiali (interviste, moduli del percorso di formazione, indicazioni bibliografiche e metodologiche, ecc.) e ai risultati sono disponibili nel sito www.iaie.org/insetrom, mentre una parte consistente della sperimentazione condotta da chi scrive come partner italiano è reperibile nel sito www.insetrom.unito.it.
INSETRom è tra i venti progetti scelti da una giuria indipendente per testimoniare l’investimento dell’Unione Europea verso le popolazioni rom, e insieme agli altri progetti sarà presentato in occasione della mostra-convegno della Commissione Europea su «EU Projects in favour of the ROMA Community», che si terrà a Bruxelles il 10 e l’11 marzo 2010.
Su questo punto, v. Gobbo 2000, Gobbo a cura di 1996, 2003, 2007, 2008.
La molteplicità, e diversità, di interventi educativi e socializzanti elaborati da scuole e amministrazioni locali, e realizzati in collaborazione con le associazioni di volontariato o del terzo settore, mi aveva spinto a svolgere l’indagine iniziale e il successivo percorso di formazione in due differenti ambiti urbani e scolastici, ovvero Torino e Firenze. In questa occasione, per ragioni di spazio, soltanto l’indagine e la formazione a Torino sono presentate.
V. Fassanelli 2004, 2007, 2008a, 2008b, 2008c.
V. Bravi 2007a, 2008, 2009, Bravi, Sigona 2006.
Sulla «zingara rapitrice» v. la presentazione di Sabrina Tosi Cambini nel modulo INSETRom su «stereotipi e pregiudizi» in Karagiorgi, Symeou, Gobbo a cura di, INSETRom: un percorso per l’inclusione di alunni rom nelle classi multiculturali italiane. Questioni, indicazioni e materiali per la formazione degli insegnanti in servizio, European University, Nicosia 2009 (di prossima uscita) e naturalmente il testo della medesima antropologa, Tosi Cambini 2008.
Per una prima ricognizione, v. Piasere 2007, Gobbo a cura di 2007, 2008, dove sono reperibili ulteriori indicazioni bibliografiche.