Un corso… alternativo
Anno scolastico 1972-1973. Prima edizione dei cosiddetti «corsi abilitanti all’insegnamento di tedesco per le scuole superiori».
Siamo un gruppo relativamente piccolo, 7-8 insegnanti, tutti piuttosto giovani ma già in servizio presso diverse scuole della città, animati da un forte entusiasmo da neofiti! Le nostre biografie linguistiche sono piuttosto eterogenee: Alexander, per noi Alex, è di madrelingua tedesca, io mistilingue (tedesco/italiano), gli altri di madrelingua italiana e con perfette conoscenze di tedesco.
Le nostre aspettative rispetto al corso erano chiare fin dall’inizio: non tanto cosa devo sapere e saper fare come insegnante di tedesco, ma soprattutto come lo devo fare, tenendo conto della delicatezza di questo compito in una terra come l’Alto Adige. Ma non c’è voluto molto tempo per capire che pretendevamo troppo! E qui inizia il nostro indimenticabile ed emozionante «corso abilitante alternativo», un viaggio didattico-culturale attraverso letteratura, storia, musica, perfino grammatica tedesca: abbiamo organizzato una sorta di «autogestione» (che i docenti «ufficiali» del corso hanno, tacitamente e saggiamente, non ostacolato) alla quale ognuno di noi ha dato, è vero, il proprio contributo di idee e proposte, ma la vera anima di quella esperienza è stato Alex.
E tutto questo senza perdere mai di vista che alla fine ci sarebbe stato un esame scritto e orale, con tanto di voto: cosa che rappresentava il presupposto indispensabile per la nostra auspicata nomina in ruolo.
Ogni giorno qualcuno di noi si calava nel ruolo del docente, cioè gestiva una lezione tipo. Alex, discreto e mite come solo lui sapeva essere, ma anche assolutamente autorevole, coordinava il tutto riuscendo a sopperire anche ad alcune nostre inevitabili ingenuità. Eravamo gruppo nel più autentico significato del termine, solidali, rispettosi l’uno dell’altro, grati di ricevere ma anche di poter dare.
Ogni tanto toccava a lui «fare» lezione e noi stavamo seduti, sparsi qua e là nell’aula, in silenzio quasi religioso per non perdere nulla di quella magia.
Era, per esempio, Alex che interpretava Brecht, soprattutto le poesie, bellissime, quelle solo scritte con parole e quelle su musica di Weill, spesso anche cantate: Alex amava particolarmente, e a ragione, le interpretazioni di Gisela May e le ha fatte conoscere e amare anche a noi. Una immagine costante in questi miei ricordi è Alex che arriva al corso, al mattino, trafelato e spettinato, trascinandosi appresso, oltre a una incredibile quantità di libri, anche giradischi e dischi! Le «spiegazioni» di Alex erano appassionate, riusciva a dare a ogni parola, a ogni nota, significati che andavano ben oltre il testo e la musica.
Significati oltre ogni tempo storico, oltre ogni luogo geografico, universali. Significati anche da lui profondamente ” e tragicamente ” vissuti.
Alex come Brecht, lacerato tra il desiderio profondo di «parlare degli alberi» e l’incapacità di tacere di fronte alle malvagità del mondo, per non diventarne complice.
Di questo dilemma tragico, tuttavia, l’Alex dei nostri «corsi abilitanti» non portava ancora i segnali: era, allora, un Alex allegro e ironico, brillante, rigoroso, generosissimo ed è stata una fortuna e una ricchezza averlo avuto, in quella fase, come compagno di viaggio.
da Fare ancora. Ripensando a Alexander Langer Weitermachen. Nachdenken über Alexander Langer, Curatori G. Carroli e D. Dellai, Edizioni Alpha Beta, Merano, 2011.
Felicita Bettoni Marchesi docente di linguistica alla Libera Università di Bolzano