Tutto iniziò con una frasca
Economia di condivisione
Carsharing, surfcoaching, socialeating, crowdfunding, coworking, cobaby… I termini inglesi sono d’obbligo, perché si sta parlando la lingua dell’economia contemporanea e, insieme, della rete web. La sharing economy rappresenta, secondo il Time, una delle «dieci idee che cambieranno il mondo»: si tratta della cosiddetta «economia collaborativa» o, con un termine che in italiano suona più buonista, «economia di condivisione». In questo settore emergente, condividere non significa semplicemente «fare a metà», in una logica gratuita, quanto mettere a disposizione strumenti, spazi, servizi, tecnologie, a un prezzo ridotto o attraverso il baratto. Trovare una persona che, come te, debba andare domani a Milano in auto oppure cercare un letto in una città olandese per qualche giorno di vacanza, sono operazioni rese semplicissime dall’impiego della Rete, che è il veicolo principale di questo oceano di scambi quotidiani.
Quel che oggi è internet, un mezzo comunicativo efficace e chiaro, era nei decenni scorsi una frasca, un ramo (in veneto si direbbe rama) appesa a un cartello sulla strada per i Colli Euganei. Il messaggio era evidente, per chi conoscesse il codice: in questa casa, significava, è possibile bere un bicchiere di vino, con qualche spuncione, o pranzare, con pochi spiccioli. La massaia o il fattore mettevano a disposizione materia prima (a chilometro zero ante litteram) e capacità culinarie per chi volesse fermarsi. Le osterie o trattorie «alla frasca» non di rado si sarebbero poi trasformate in ristorantini tipici.
Cook and driver
Oggi la frasca è sostituita da un dominio. Gnammo, si spiega sul portale, è la prima piattaforma tutta italiana dedicata al SocialEating. «Offre a tutti la possibilità di organizzare pranzi, cene ed eventi a casa propria o in qualsiasi location privata. Sarà così possibile mettere alla prova la propria bravura ai fornelli e conoscere nuovi amici attorno alla tavola di casa. Non serve essere cuochi provetti, basta tanta voglia di mettersi in gioco e di conoscere persone nuove, sia come Gnammer (l’ospite) che come Cook (il cuoco)» (gnammo.com/faq/). Non serve essere professionisti: quel che è importante è il desiderio di mettersi alla prova, facendo sperimentare i propri piatti, e conoscere persone.àEcco: il sharing di questa economia non riguarda solo i beni, ma anche le relazioni. Lo Gnammer godrà di buoni manicaretti, ma conoscerà un Cook e altri golosi come lui. Potrebbe essere decisivo per chi, per esempio, è appena arrivato in una nuova città. Del resto, se ti appresti a viaggiare per alcune decine di chilometri in auto con uno sconosciuto, sarà inevitabile scambiare due parole… È quanto accade a chi si affida a Blablacar: «Viaggi spesso da solo con la tua auto e carburante e pedaggio sono sempre più cari? Risparmia condividendo il tuo veicolo con altri per ridurre le spese, compiendo al tempo stesso un’azione concreta a favore del pianeta. Desideri approfittare delle migliaia di offerte di passaggio a prezzi imbattibili? Quanto meno è meglio che viaggiare da soli a prezzo pieno!» (www. blablacar.it/faq/domanda/sono-ancora-esitante). Questo servizio, più che un’evoluzione raffinata dell’antico autostoppismo, è una modalità allargata delle cooperative di auto che, per esempio, gruppi di insegnanti hanno da sempre costituito per muoversi al mattino verso la sede di insegnamento. La differenza fondamentale è che, grazie al portale web, chiunque può verificare se, e quando, il proprio tragitto verrà coperto da un autista.
Clic per tutti
A guardar bene, l’autostop è una pratica da hippies. Oggi sono rari, nostalgici sessantenni. È l’era degli hipster con i loro devices elettronici, gli occhiali dalla montatura spessa e la barba curata. La naiveté incosciente del pollice alzato a margine dell’Autosole è sostituita dalla ambigua spontaneità della sharing economy. Ambigua perché se è vero che molte di queste iniziative prendono origine dal desiderio di render comune un bene (lo scambio di appartamenti, o di «divani»; o anche solo la decisione condominiale di acquistare insieme un unico trapano), è altrettanto vero che, sulla scia del che-bello-condividere, stanno nascendo realtà economicamente in crescita e del tutto volte al profitto, o promosse da amministrazioni comunali come forma di «neo welfare». Secondo lo studio pubblicato su www.collaboriamo.org nello scorso dicembre, i settori decisamente emergenti in Italia sono il crowdfunding, cioè la pratica di finanziamento dal basso che mobilita persone e risorse attorno a progetti civici o ancheàprofit (30% delle piattaforme), i trasporti (il 12%), il turismo (10%) e il lavoro, per reperire babysitter, petsitter, insegnanti per le ripetizioni, o per piccoli lavori di faidaté domestico (9%). Ma altri sono gli ambiti in emersione: l’abbigliamento, per lo più usato, per tutti e per i bambini in particolare (Depop, Armadioverde, Babybrum, Sharoola, MysecretdressingRoom); l’alimentazione (BonAppetour, Gnammo, PeopleCooks; o piattaforme che promuovono lo scambio in eccedenza di cibo o di prodotti, come Ifoodshare, Lastmarketplace, Nexdoorhelp); la formazione, come Skillbros e Insegnalo, che consentono di pubblicare a pagamento una propria lezione. O Docsity, per appunti o dispense universitarie, o ancora Oilproject, piattaforma gratuita con migliaia di materiali per la scuola superiore o l’università; l’affitto di beni vari, con moneta reale o virtuale (da Locloc a Useit), lo scambio (per esempio Barattofacile o Cose inutili) o l’acquisto (l’ormai noto Subito); lo sport, come Sportilia, che mette in contatto giocatori di calcio. La lista è lunga e non è esaustiva: è sensato affermare che giorno dopo giorno la Rete andrà a coprire altri ambiti con nuove iniziative, secondo la vorace intraprendenza del mercato.
Domanda e offerta
Scorrendo questa lista e visitando qualche sito, viene confermata la sensazione di ambiguità. La sharing economy è una modalità saggia per far spendere di meno a tutti? È la furba iniziativa di chi, sfruttando l’alta diffusione delle informazioni via web, ottiene molto con il piccolo contributo di tantissimi? È il trionfo di qualsiasi idea, buona o cattiva, purché abbia mercato? È una modalità per far soldi facendo leva sulle lacune del sistema fiscale? Qual è il limite del funzionamentoàdi questo sistema? Cucinare una cena indiana o pubblicare/vendere il romanzo scritto in gioventù sono operazioni praticabili con pochi passaggi on line; ma il semplice fatto di comparire nell’ipermercato virtuale non trasforma il mio prodotto in un ottimo prodotto. Certo: chiunque inizia come dilettante e i consumatori decideranno se tornare a mangiare a casa mia o consigliare agli amici la mia opera. Questo è certamente un elemento di autoregolazione, che però si fonda sull’assunto che le persone siano essenzialmente consumatori. Senza dubbio, poi, la produzione di valore che di fatto viene attuata costringe a rivedere il concetto di «posto di lavoro», in una fase storica in cui la flessibilità e la precarietà sembrano rappresentare i due lati di una medesima medaglia. Ma il limite sta proprio qui: se oggi il lavoro viene schiacciato sul salario, il suo valore cioè si misura soprattutto (o solo) sul guadagno in termini materiali, allora l’iniziativa di economia di collaborazione è un modo smart, brillante e moderno, per far denaro. E lo fa sfruttando quella che non è solo una complicazione linguistica: share è sia «mettere insieme» che «condividere». Nulla di sbagliato, in linea di principio, nella decisione di dar vita a una nuova forma di professionalità, specie se i canali tradizionali sono intasati. Ma non si può vendere la radicale capacità di condividere, né sfruttarla. E forse qui sta il bello della faccenda: la decisione di rinunciare completamente all’uso di quel mezzo potente che è il denaro (e il suo correlato, il guadagno in senso lato) potrebbe essere l’elemento che ci permette di distinguere tra le iniziative volte a sfruttare una domanda di mercato e quelle messe in atto per il piacere di portare ad altri, prima sconosciuti poi persino amici, un «lavoro ben fatto».