Stoccolma e il mio dio socialdemocratico
Stoccolma, la mia ragione
Se Rio de Janeiro è la mia passione, Stoccolma è la mia ragione. È la città che, più di ogni altra, ho aspettato con la testa e ho interiorizzato con un senso di equilibrato trasporto. Stoccolma mi ha sempre attratto, insieme alla società svedese, come si cattura la stima di ciò che rassicura, senza mai perdere garbo e misura, attenzione e rispetto. Da Stoccolma mi sono sempre atteso rispetto e, come una persona fedele e di parola, questo rispetto Stoccolma mi ha dato.
C’è un’antinomia paradossale e contraddittoria tra il Brasile che ho amato fin dal profondo delle viscere, in un incontro di pelle, di sangue e di carne, e la Svezia che ho sfiorato in un passaggio breve e fuggevole. Si tratta però di un’antinomia in cui due estremi, così apparentemente lontani e diversi, si sono avvicinati e toccati. Tutto ciò è dimostrato dall’attesa gentile e leggermente ansiosa che ha accompagnato la mia partenza per Stoccolma: nulla a che vedere con i sobbalzi turbinosi del mio cuore prima di spiccare il volo verso il Brasile, ma molto in comune con una sensazione di benessere dolce, che mi ha accompagnato nei quattordici viaggi per il Sudamerica come nelle ore trascorse in Svezia.
A Stoccolma sono stato bene e ho goduto delle cose più semplici e quotidiane, oltre che umane: il sole basso, l’aria tersa, l’atmosfera gentile, la notte chiara, il silenzio rispettoso, la gentilezza innata, la sicurezza diffusa ovunque, la tranquillità, la pulizia, la tolleranza.
La confidenza di un dio socialdemocratico
Sono partito per fare l’esperienza che avrei sempre voluto fare: quella della confidenza con un dio socialdemocratico. Perché io sono socialdemocratico nel cuore, nella fede, nella cultura, nel profondo della mia interiorità. Per me la socialdemocrazia è sinonimo di rispetto e di sicurezza, di protezione e di gentilezza, di tutela dei diritti e di attenzione alla vita: cose che la socialdemocrazia ha sempre cercato e sovente garantito.
Lo sguardo tollerante di Stoccolma rappresenta la risposta all’intolleranza raffinata e silenziosa che mi ha sempre lambito. Ho sempre desiderato vivere in un contesto privo di ogni giudizio classificatorio o escludente e in Italia è sempre stato assai difficile conquistare la tolleranza a cui avevo diritto.
Di Stoccolma ho conservato immagini curiose e originali: i gabbiani ovunque, i battellini di passaggio nella miriade di isolotti sparsi sulla costa, il cambio della guardia al Palazzo Reale con questi soldati così poco marziali, che non fanno guerre da duecento anni. Duecento anni di pace e di vita quotidiana senza sussulti, quasi addormentati in un Paese che sembra una Biancaneve vivente.
Divertirsi ed essere bimbi
Mi divertivo a viaggiare in metropolitana, ascoltando gli annunci in quella lingua così cavernosa, a guardare le ragazze biondissime in compagnia di amiche nerissime e ugualmente sorridenti in maniera lieve e ovattata, a scovare silenziosissime e deserte chiese luterane, che mi davano, nello stesso momento, il dubbio di un cristianesimo apparentemente morente o assente e, al contrario, la serenità di una religiosità fortemente interiore, trascendentale, essenziale, razionale.
Mi divertivo a visitare ogni museo con gli occhi di un bambino ed è proprio per questo che ho visitato i musei che, più degli altri, attraggono i bimbi: quello del Giocattolo e quello dei Trasporti.
Gli svedesi hanno una predilezione per i bimbi. Sarà perché hanno capito, più degli altri, che il futuro dei bimbi è nella loro unica e autentica vocazione: il gioco. In Svezia i bimbi sono educati soprattutto a giocare e a esprimere la loro condizione più naturale, in uno scintillio di colori, di fiori, di salti, di rincorse in mezzo ai prati verdissimi e di capriole nella neve farinosa.
A Stoccolma ho visto tanti bimbi e non ho sentito prediche sulla famiglia. La Chiesa luterana svedese è asciutta e lineare come nient’altro e non stressa mai un popolo che vive di silenzi e di meditazioni laiche.
Standomene seduto su una panchina in riva a un lago, nel quartiere di Alvik, ho osservato intensamente una coppia di una certa età, assorta nella lettura di una rivista (lei) e nello sguardo contemplativo del cielo azzurro tenue (lui). Per involontaria emulazione ho contemplato il cielo anch’io, con gli occhi all’insù e lo sguardo perso tra le anime vichinghe. Ho rivisto le stesse anime tra i legni antichi del Vasamuseet, un immenso cantiere trasformato in un museo, dove uno straordinario galeone del Seicento ha riacquistato la vita perduta per secoli in fondo al mare. Ho rivisto i marinai aspri e temprati dalla fatica, che sono morti in attesa di una risurrezione laica nel Paese che li ha custoditi gelosamente tra i ghiacci di un inverno feroce. Poi sono risuscitati in una Svezia diversa, cresciuta come crescono i Paesi e i popoli che hanno il coraggio di maturare e di rispettarsi, in questa tensione nuovamente laica al bene.
Stoccolma laica e religiosa
Stoccolma è laica e perciò religiosa, perché sa cercare e trovare il senso religioso del rispetto della vita senza lasciarsi soffocare dalle tentazioni soffocanti del clericalismo.
Stare davanti al Riksdag, il Parlamento unicamerale del Paese, dà una sensazione di civile fiducia in un presente vissuto senza drammi, senza chiacchiere inutili sull’identità cristiana, senza patologie difensive di sorta. Stoccolma e la Svezia hanno già trovato il loro equilibrio e celebrano la loro identità nella diversità della gente che le abita, accettando chiunque e adagiandosi in una culla soffice e tenera.
Nel parco di Djurgarden sono entrato in una specie di Svezia in miniatura, tra buoi muschiati del Norrland e casette colorate della Scania, e sono capitato in una celebrazione compassata e sorridente di danze popolari svedesi e mi sono sentito come Pippi Calzelunghe, che ammiravo da bimbo alla TV dei ragazzi.
Poco oltre, al Parco di Tivoli, ho visto adulti divertirsi come bimbi alle giostre e ho pensato che il Dio che abita a Stoccolma è bambino ed è socialdemocratico. Vive di divertimenti semplici e di sicurezze borghesi. È, in fin dei conti, il mio Dio.
A Stoccolma sono stato bene. Ho pranzato vicino al Museo Nobel, gustando un pesantissimo piatto di carne e patate, ma che importa? Guardavo il cielo, ascoltavo i bimbi gridare con una grazia solo scandinava, vedevo ragazze sorridenti e senza l’ossessione di apparire belle. E mi sentivo così socialdemocratico, orgogliosamente socialdemocratico.
L’ultimo giorno sono andato al Castello in cui risiede Sua Maestà il Re Carlo Gustavo XVI, alla periferia ovest della città. Volevo chiedere la mano di Sua Altezza Reale la Principessa sua figlia, la terzogenita. A me piace e quindi avrei voluto provarci. Poi però la timidezza mi ha sopraffatto un’altra volta e allora mi sono accontentato di visitare il palazzo.
Tornando verso la città, ho pensato e ripensato a questo dio socialdemocratico e alla casa che lui possiede a Stoccolma. E ho confermato quella dolcissima sensazione di benessere e di sicurezza. È un dio a cui è possibile bussare in qualsiasi momento perché la sua porta resta sempre aperta, è un dio che non giudica e che tollera, è un dio che si veste da bimbo e fa capriole nei parchi.
Tornato in Italia, una delle prime parole che ho sentito è stata una bestemmia. Mi ha fatto un gran male. Stoccolma è laica e perciò religiosa. Inoltre lassù Dio è socialdemocratico e quindi non hanno bisogno di bestemmiarlo. I socialdemocratici proteggono e, in fin dei conti, adesso possiamo anche azzardarlo: anche l’amore, che è un atto di dedizione pura, è un po’ socialdemocratico.