Sovranisti? No, nazionalisti
È rientrato nella discussione economica e politica il termine «sovranismo». Il termine dovrebbe indicare quelle forze politiche che vorrebbero agire per «riportare» la sovranità nazionale nelle mani del popolo, lottando contro le istanze sovranazionali. Il nemico è variabile di volta in volta e può venire identificato con organi politici sovranazionali (l’Unione Europea per esempio), i trattati di liberalizzazione dei commerci tra paesi, o più in generale i mercati.
In un contesto economico integrato internazionalmente, nel quale merci e capitali viaggiano tra paesi, l’ideologia sovranista è illogica e soprattutto, se attuata, fa perdere sovranità effettiva a un popolo invece di aumentarla. Siamo una delle maggiori economie mondiali, e quindi integrata col resto del mondo. Focalizziamoci su due aspetti spesso branditi come «pistola fumante» del perché un ritorno a vari tipi di sovranità nazionale dovrebbe essere benefico a partire dalla situazione attuale: il ricorso a deficit pubblici maggiori e la sovranità nella politica monetaria.
Il racconto si svolge pressappoco così. «Una democrazia deve rendere conto ai propri cittadini, non ai mercati. Se maggior deficit serve per il benessere generale lo faremo e i mercati se ne faranno una ragione». L’attuale dibattito sulla legge finanziaria può essere ricondotto a questo. Purtroppo generazioni di elettori hanno, nel corso dei decenni, premiato parti politiche che hanno creato un tale ammontare di debito pubblico che ora siamo dipendenti dai mercati per finanziare il nostro welfare. Siamo come un debitore insolvente che continua a chiedere prestiti per ripagare prestiti precedenti. Non possiamo ignorarlo. La favoletta sovranista vuol farci credere che siamo svincolati dal mercato dei capitali mentre è la nostra stessaàsopravvivenza come Stato a dipendere dalla nostra credibilità sui mercati stessi per via di scelte degli ultimi cinque decenni, e dalle decisioni degli investitori di concederci costantemente credito.
Altro caso: «Riappropriamoci della sovranità monetaria, svalutiamo e rendiamo le merci competitive». Funzionava forse quando le merci erano quasi integralmente prodotte in un paese e quindi svalutare del 20% la lira voleva dire rendere del 20% più convenienti le nostre merci all’estero. Ora le merci sono prodotte in vari Stati e ogni Stato aggiunge un pezzetto di valore al prodotto. Supponiamo che delle merci esportate solo il 20% sia valore prodotto in Italia. Una svalutazione del 20% farebbe aumentare il costo di importare i beni intermedi e farebbe diminuire di circa il 5% il prezzo finale a cui vendiamo il prodotto con effetti abbastanza ridotti sull’export. Una diminuzione abbastanza piccola rispetto al maggior costo di importazione.
Sono solo due casi quelli descritti per indicare come dietro al sovranismo non c’è una solida motivazione economica che lo giustifichi oggi. C’è invece una solida motivazione politica di ricerca di un nemico esterno a cui dare la colpa delle nostre inadempienze. L’unica nota positiva di questo dibattito è di aver riportato al centro l’importanza della politica come indirizzo delle scelte, ma aprendo la strada all’ignorare i meccanismi economici nei quali siamo immersi.
A oggi, più sovranismo porterebbe a una diminuzione della sovranità effettiva. Occorrerebbe essere chiari ed evitare di chiamare sovranista chi, di fatto, è un nazionalista ridipinto.