Rompere il muro della paura

di Turus Guido

La poetica dei Pink Floyd

La lotta di Roger Waters (Pink Floyd) contro la guerra, contro la riduzione in schiavitù dell’uomo, contro l’imbarbarimento dei mass media, contro la finanza, contro il mancato rispetto dell’uomo pienamente inteso, costituiscono non la possibilità di sfruttare l’immagine (commerciale) del «buono» ma una vera e propria scelta poetica.

L’alienazione dell’uomo moderno, chiuso e abbandonato, nelle sue paure e alle sue angosce, conduce il musicista britannico, fin dal 1973 (The dark side of the moon), ad analizzare con sempre più attenzione la società contemporanea fino ad arrivare a costruire una poetica centrata sul significato dell’essere uomo e su tutto ciò che la contrasta e l’annichilisce.

Gli album a seguire sono tappe di un percorso in cui scandagliare ciò che conduce all’isolamento dell’uomo, alla sua trasformazione in consumatore, merce, puro oggetto controllato dai poteri finanziari, politici e mediatici. Un’ umanità che potrà essere ridotta a un branco di pecore minacciate da cani rabbiosi e porci mossi dai propri privati interessi (Animals, 1977). Un’umanità che per saziare sé stessa si affida al gioco d’azzardo, alla televisione, al sesso, all’imposizione di modelli educativi castranti e distruttivi. Persone chiuse sempre più in sé stesse, incapaci di guardare all’altro se non con paura, uomini sempre più controllati e distaccati che non hanno altri obiettivi se non il controllo dell’umanità e il proprio arricchimento.

The Wall (1979) concretizza questa visione del mondo, approfondendone aspetti e conseguenze, in un’opera il cui protagonista è una rock star: Pink.

L’opera si apre quando, a un passo dal precipizio umano, la rock star, chiusa nella propria camera d’albergo, poche ore prima di uno spettacolo, in preda alle droghe vive un complesso flash back su tutta la propria vita. La rock star (inconsciamente) ricorda il padre morto durante la seconda guerra mondiale, il sistema educativo incapace di dare senso critico e maturità alle persone ma capace di imporre solo regole comportamentali, una società incapace di avere cura dei bambini se non «soffocandoli», un sistema sociale dove il divertimento si sostituisce alla propria realizzazione umana. Ognuno di questi ricordi rappresenta un mattone, mattoni che vanno a costruire un muroàtra sé stessi e gli altri. Sempre più controllati, sempre più incapaci d’affetto, sempre più dediti alla banalità, ci chiudiamo in noi stessi.

Ubriachi di noi stessi, lo spettacolo deve continuare

Pink, fisicamente chiuso nella camera d’albergo, non può che fagocitare la propria umanità fino all’intervento di un medico che, obbedendo all’impresario musicale del gruppo, interviene sulla catatonica star.

Per riportarla alla realtà? Per aiutarla a ritrovare la strada? No, perché di lì a poco Pink dovrà salire sul palco, lo spettacolo deve continuare, the show must go on, la macchina del business non può fermarsi. È così che vediamo Pink montare nell’auto che lo condurrà allo spettacolo e lentamente trasformarsi fino ad assumere le sembianze con cui scenderà dall’auto: quelle del gendarme fascista.

Comincia così lo spettacolo in cui la rock star urla insulti e minacce a un pubblico destinato a divenire un’impersonale massa di fan-seguaci. Pink si erge a dittatore, urlando al megafono di inseguire e picchiare l’altro, il diverso: la persona di colore, l’omosessuale… l’uomo. You better run all day, è meglio se corri, scappa.

Per spingersi, infine, ancora oltre: giustifica tutto ciò nell’ideale di una nuova Gran Bretagna rinnovata nella pulizia etnica, nel rifiuto basato sulla paura.

La produzione artistica di Waters continuerà aggredendo con sempre più forza tutto ciò che deturpa l’uomo, rinchiudendolo all’interno delle proprie paure e rendendolo schiavo.

L’uomo chiuso dal suo muro sarà allora capace di accettare qualsiasi menzogna, anzi sarà proprio il muro a divenire schermo su cui proiettare timori sempre nuovi. Chiusi nelle nostre paure saremo capaci di divertirci, bevendo una birra, di fronte a una televisione che trasmette scene di guerra. Impauriti, succubi, accetteremo guerre raccontate come partite di football, accetteremo di credere a una narrazione del mondo che risponde solo ai dollari e agli scellini. Impauriti, chiusi in noi stessi, ci spegneremo di fronte ai monitor televisivi i cui giochi a premi tuteleranno gli interessi privati di pochi potenti. Ubriachi di noia e pigrizia, diventeremo insensibili: incapaci di indignarci. Terrorizzati dai poveri, chiederemo violenza alla polizia contro chi non rispetta l’ordine, aspetteremo pacificamente l’olocausto atomico. Il nascondiglio della nostra paura e della nostra debolezza sarà la guerra, la tortura, il razzismo.

Una fessura nel muro della paura: indignarsi

La poetica di Waters però si conclude con la concreta e possibile speranza di un rinnovamento. Ascoltando gli album di Waters risulta chiaro come il britannico non si chiuda, e inviti a non chiudersi, in un vano pessimismo, oscurato da un facile fatalismo catastrofico.

L’arma, la vera difesa dalla paura, è la capacità di indignarsi, di non cadere nella piacevole insensibilità, e Waters per farlo chiama in causa, nel fiducioso tentativo di smuoverci dalla noia, Margaret Thatcher, Ronald Reagan, Breznev, Bush, Tony Blair, Galtieri e ancora l’Afghanistan, l’Iraq, le Falkland, la Seconda guerra mondiale, la questione israeliano-palestinese, i minatori del Galles licenziati, chiedendoci di riappropriarci di ciò che ci rende umani, di guardare, ascoltare, capire l’altro. Di non cadere nella tentazione di chiuderci nelle lusinghe della paura, pena la caduta in un regime totalitario in cui sacrificare i più deboli per gli interessi e i divertimenti di pochi.

La paura è ciò che rendendoci controllabili spalanca le porte ai costruttori di muri, che ci daranno solo l’illusione di vivere.

Guido Turus
coordinatore del progetto bioresistenze
bioresistenze.wordpress.com
componente la redazione di madrugada