Repubblica Centroafricana
Iàconti con la storia
La Repubblica Centrafricana (RCA), diventata indipendente nel 1960, è attualmente un enorme paese sottopopolato. Grande più di due volte l’Italia, conta solo cinque milioni di abitanti. È anche uno dei paesi più poveri: l’indice di sviluppo umano lo colloca al 171° posto su 177, e quello che rileva il tasso di povertà umana lo mette al 98° su 108. Prima della colonizzazione, i vari aggregati umani e culturali autoctoni che l’abitavano, vivevano di un’economia abbastanza prospera, diversificata e aperta agli scambi con l’esterno. Oggi, dopo le violente vicende che hanno caratterizzato la storia del paese (razzie, tratta orientale e occidentale durate più di due secoli con un conseguente drastico spopolamento di intere zone del paese, colonizzazione francese dal 1889 al 1960, tra le più violente e di rapina, neo-colonialismo e parassitismo di Stato), più della metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà, e ciò benché la Repubblica Centrafricana, sia potenzialmente molto ricca e disponga di ingenti risorse naturali, tanto che se ne parla come di uno «scandalo geologico» (diamanti, uranio, oro, rame, alluminio, petrolio ecc., attualmente sfruttati da compagnie straniere in combutta con le élite nazionali). Dal 2012 il paese è inoltre scosso da violenti scontri tra varie fazioni in lotta, che hanno prodotto una situazione drammatica, tuttora in corso. Le cause di questa situazione sono molto complesse e affondano le radici nella sua storia. Ne vediamo alcune.
Alle radici del dramma attuale
Se i due secoli prima dell’indipendenza sono stati caratterizzati da violenze di ogni genere, la storia della RCA, dall’indipendenza in poi, non è stata meno turbolenta e tumultuosa. Solo in pochissimi casi, il passaggio di potere istituzionale è avvenuto tramite elezioni; nella maggior parte dei casi si è assistito a un susseguirsi di colpi di Stato o cambi di governo spesso pilotati dai paesi vicini o dall’ex potenza coloniale, la Francia che, in vista dell’indipendenza, non aveva creato le condizioni perché si formasse né una leadership adeguata a gestire il futuro del paese né un embrione di classe media. Gran parte dei commercianti, in maggioranza musulmani, sono arrivati dal Ciad, da altri paesi della regione o dall’Africa Occidentale. Si sono inseriti nella RCA sia socialmente che economicamente, arricchendosi anche grazie al commercio dei diamanti e ai trasporti, mentre la popolazione autoctona è rimasta confinata nel settore agricolo e artigianale. La persistente percezione dei commercianti come «stranieri», oltre che musulmani, e la recente facile, anche se indebita, assimilazione di questi ultimi con i mercenari ciadiani musulmani spesso chiamati a intervenire con la forza da vari presidenti centrafricani a difesa del loro regime, spiega in parte il fatto che anche questa componente della popolazione sia stata presa di mira nel corso dei conflitti intercomunitari scoppiati a seguito dell’arrivo della Seleka (v. oltre).
Neocolonialismo e parassistismo di Stato
Dall’indipendenza in poi quasi tutti i governanti hanno proseguito la politica di outsourcing che la Francia aveva inaugurato con le società concessionarie, delegando all’esterno una serie di funzioni (economiche, di ordine pubblico, ecc.) in cambio di un ritorno di tipo finanziario. Per decenni i Capi di Stato della RCA hanno concesso lo sfruttamento delle risorse e persino parte della sovranità a compagnie straniere private, ottenendo in cambio cospicue entrate economiche per sé stessi, la loro famiglia, il loro clan o, come nel caso di Bozizé, per la loro chiesa. In un tale sistema di potere, le popolazioni locali – come ai tempi della colonia – non hanno visto migliorare la loro situazione. Costrette a subire spesso la presenza di milizie straniere violente e predatorie, in una realtà che vede l’assenza di servizi pubblici seppur minimi, in diverse zone del paese hanno spesso dato vita ad azioni di rivolta, oltre che di autodifesa, fino alla nascita di movimenti di opposizione armata, contribuendo con ciò ad alimentare il clima di insicurezza e di instabilità interna. In ciò ha fortemente inciso la stessa posizione geografica e geopolitica della RCA, posta al centro di una regione attraversata da conflitti di ogni genere: si pensi ad esempio al Ciad, Sudan, Sud-Sudan e Repubblica Democratica del Congo. Il paese è servito spesso da rifugio o da campo base per rifugiati o ribelli di guerre altrui, che spesso si sono inseriti nelle vicende politiche interne della RCA. Di volta in volta ì vari presidenti centrafricani, per prendere o mantenere il potere, hanno stabilito mutevoli alleanze con vari paesi del continente, in particolare Ciad, R.D. Congo (la ribellione armata di Bemba, ora sotto processo presso la CPI proprio per le violenze compiute dalle sue truppe in RCA), Sud Africa e Libia, attirando così nel paese bande armate che hanno commesso saccheggi, devastazioni, assassini e stupri.
I fallimenti della comunità internazionale
Numerosissime iniziative di cosiddetta «pacificazione», missioni speciali dell’ONU e di varie organizzazioni internazionali, interventi militari multilaterali e bilaterali si sono via via succeduti negli ultimi vent’anni – alle volte sovrapponendosi – senza per questo produrre esiti positivi. Ciò si spiega in parte per il fatto che, a fronte di problemi strutturali che richiederebbero interventi di lunga durata, in grado di articolare azioni umanitarie, politiche di sviluppo e un’efficace iniziativa diplomatica, le numerose ONG e agenzie internazionali hanno operato (a eccezione dell’italiana COOPI e di poche altre) nel momento dell’emergenza, concentrando le loro azioni nella capitale, ritirandosi non appena possibile, per poi intervenire nuovamente in una situazione ulteriormente deteriorata. In particolare, si è spesso omesso di prendere in considerazione il fatto che la gestione centralizzata del potere e la concentrazione nella capitale degli interventi e delle risorse, hanno lasciato molte zone prive della presenza dello Stato e dei suoi servizi. Ciò ha permesso a bande di ribelli, a banditi e bracconieri, di spadroneggiare e di creare un clima di insicurezza che ha reso quasi impossibili gli spostamenti e i flussi commerciali.
Un paese «armato»
L’assenza dello stato e lo scarso popolamento di molte aree del paese hanno permesso a varie formazioni militari di insediarsi in esse, come nel caso della Lord’s Resistance Army (LRA), infiltratasi dall’Uganda. In queste aree si sono formati gruppi di autodifesa che, se da un lato rappresentano un mezzo di protezione della popolazione, dall’altro hanno con il potere centrale una relazione conflittuale che li porta a ribellarsi a esso o ad aggregarsi ad altri movimenti di rivolta. È il caso dei ribelli della Seleka («alleanza»), che nel marzo 2013 hanno preso il potere occupando la capitale Bangui e deponendo il generale Bozizé. Si tratta di una coalizione di vari gruppi, in maggioranza musulmani, venuti in parte dalle zone frontaliere del Ciad e del Darfur, che hanno coinvolto anche gruppi di autodifesa e ribelli del NordEst della RCA – una delle zone più dimenticate del paese -, oltre che frange del malcontento sociale diffuso. Questi gruppi armati hanno commesso atrocità tali da suscitare una violenta reazione e addirittura la dissoluzione della coalizione da parte del suo leader, Michel Djotodia.
Una guerra politica e sociale, non religiosa
Dai media il conflitto in RCA è stato interpretato come un conflitto tra musulmani (Seleka) e cristiani loro antagonisti (antiBalaka). La situazione è ben più complessa. Gli anti-Balaka – un insieme eterogeneo di milizie sorte da tempo al nord per difendere i villaggi dalle continue incursioni di banditi – si sono mobilitati per combattere anche la Seleka quando l’esercito regolare si è disintegrato. Agli inizi si è trattato di un movimento di armati locali, in maggioranza animisti e cristiani, che volevano scacciare gli «stranieri», autori di saccheggi e distruzioni. Tra questi sono però ben presto stati inclusi anche i commercianti, in prevalenza musulmani, benché immigrati da generazioni e pacificamente integrati nella società centrafricana, e gli allevatori nomadi, anch’essi musulmani. Perseguitati dagli anti-Balaka, moltissimi sono stati costretti a lasciare la RCA, provocando un impatto disastroso sui mercati e quindi sulla disponibilità di merci. Oggi, a fronte di una situazione particolarmente drammatica per la popolazione, la comunità internazionale fa pressione perché si organizzino al più presto delle elezioni, senza tener in debito conto un fatto: si chiede che esse vengano gestite da un potere centrale che di fatto non ha mai veramente governato né controllato il paese, senza tuttavia affrontare le questioni strutturali e senza che il disarmo delle varie milizie armate, obiettivo perseguito da anni, sia effettivamente realizzato.
Maria Teresa Cobelli
vive in Togo, esperta e frequentatrice
del continente africano