Può la misericordia essere una categoria economica?
La straordinaria forza innovatrice e di inclusione del mercato, ma contemporaneamente la sua inevitabile attitudine a creare disuguaglianza e a produrre solitudine e infelicità, sono entrambe il risultato dell’invenzione dell’economia moderna.
Ciò avviene perché la misericordia (o fraternità) intesa come capacità di accoglienza dell’altro al di fuori di una logica di puro scambio, non trova spazio né legittimità nel modo con cui quotidianamente intendiamo e pratichiamo i rapporti economici, in ciò che chiamiamo mercato; più nello specifico, il «mercato capitalistico», cioè solo uno dei modi con cui questo strumento di relazione economica può essere declinato.
In alternativa al «mercato capitalistico», il riferimento d’obbligo è all’economia civile, cioè a quell’insieme di esperienze ma anche di teorie economiche che si basano sul primato del principio di reciprocità e di quello della gratuità. Secondo Luigino Bruni (tra gli ispiratori con Zamagni dell’enciclica Caritas in Veritate) tali categorie possono e debbono trovare spazio entro la sfera del mercato dando vita a esperienze (espressione di minoranze profetiche) che vadano a contaminare la logica del profitto come unico movente dell’agire economico (fra i vari testi di questo autore particolarmente significativo, in proposito, è La ferita dell’altro, 2007).
I mercati finanziari, portando alle sue estreme conseguenze la logica del profitto, hanno prodotto il disastro economico e sociale che è quotidianamente sotto i nostri occhi.
Si è puntato, e purtroppo con successo, all’obiettivo di «creare valore per l’azionista», e a breve termine. È la teoria dello «shareholder’s value» (l’importanza dell’azionista) che rappresenta l’architrave ideologico del capitalismo contemporaneo nella sua versione neoliberista. Secondo tale teoria, compito primario dell’azienda non è creare occupazione e redditi per tutti i «portatori di interesse» (stakeholders) che contribuiscono all’attività di impresa (azionisti, managers, dipendenti, comunità locale, ecc..) bensì esclusivamente «creare valore per l’azionista» (shareholder). Ciò ha determinato un innalzamento della propensione al rischio degli intermediari finanziari, costretti, dalla ricerca esasperata dei risultati, ad assumere rischi via via crescenti, con le conseguenze che tutti conosciamo.
A questo punto l’attuale crisi, come sottolinea Zamagni, è di tipo «entropico». L’energia propulsiva del capitalismo è in via di esaurimento, poiché si sta vivendo una profonda crisi di senso. Non servono rattoppi al sistema ma categorie nuove che rimettano in moto e soprattutto legittimino il procedere della macchina.
Categorie come la «misericordia» non sono tanto una possibilità quanto una necessità per restituire senso all’agire economico.
Ma cosa deve ancora succedere ai nostri sistemi economici perché queste tematiche diventino un serio argomento di discussione?
Alberto Berrini
laureato in discipline economiche
all’università Bocconi di Milano,
consulente Fiba-Cisl nazionale