Per vivere bene
Durante questi tredici anni di galera, in ogni momento trascorso in cella sentivo nel mio cuore un pesante senso di vergogna verso mia madre e mio padre. Ma la loro sofferenza non è un caso unico, oggi vedo entrare in carcere molti giovani, spesso per reati legati alla droga, e vedo anche ragazzi che andavano in giro con un coltello in tasca e che, alla fine, litigando con qualche coetaneo, l’hanno usato. E la maggior parte di loro proviene da famiglie «normali» come la mia. E mi rattrista vedere come, fuori di qui, tra le persone libere si sia creato un clima di rabbia e di intolleranza.
Dopo tutti questi anni, ho imparato una cosa semplicissima: che per vivere bene non devo fare agli altri quello che non vorrei fosse fatto a me. E tutti i detenuti dovrebbero imparare a osservare questa regola. Ma in realtà io spero che anche là fuori le persone non si dimentichino di mettersi nei «panni dell’altro», anche quando si parla di delinquenti. Perché così come è successo ai miei genitori di ritrovarsi con un figlio in carcere, e come succede a quelle centinaia di madri e di sorelle che alla mattina vengono alla porta del carcere per incontrare i loro figli e fratelli, può succedere a tutti di avere un giorno a che fare con la giustizia. E allora, certo, tutti pensano al carcere come a un luogo di punizione, ma devono anche avere il coraggio di pretendere che il carcere della loro città sia un luogo in cui le persone vengano trattate con quella umanità che vorrebbero trovare nel caso dovessero entrarvi, un giorno, loro stessi.
Elton Kalica
detenuto, redattore di Ristretti orizzonti