Panikkar e l’ecosofia
Viviamo in un’epoca in cui – ammonisce Raimon Panikkar sin dagli anni ’60/70 – la catastrofe ecologica, la catastrofe economica e la catastrofe psichica, combinate insieme, pendono come una spada di Damocle sulla sopravvivenza stessa dell’umanità, della storia e della Terra. Sono catastrofi che impongono la necessità di una metanoia antropologica dove però «metanoia» non sta per conversione o cambiamento di mentalità ma sta, in senso etimologico, per «superamento del mentale».
Occorre cioè superare – per il filosofo e mistico indo-spagnolo – la pura visione razionale delle cose mediante l’apertura del «terzo occhio», l’occhio spirituale e mistico, che dischiude a una comprensione ulteriore, più profonda e viva della Realtà. Realtà che non possiamo «catturare» con la ragione proprio perché noi ne siamo parte e dunque non possiamo astrarcene per riguardarla come un oggetto che sta al di fuori di noi. Della realtà, insomma, per Panikkar, non si fa esperimento bensì esperienza. E per questo è fondamentale il simbolo che supera la separazione, tipica del pensiero dualistico occidentale, tra soggetto e oggetto. La realtà non si costruisce con la volontà che seziona le cose, come si fa in un laboratorio, ma la si accoglie, si scopre, accade. Un approccio per Panikkar assolutamente necessario, se si vuole dare una risposta adeguata alle tre catastrofi che sfidano il nostro mondo.
Quale risposta alla catastrofe
Il sogno di uno sviluppo illimitato si è insomma rivelato un incubo, ammonisce il filosofo e mistico, che riconosce proprio al dramma ecologico e alla conseguente nuova sensibilità che ne è scaturita il merito di averci aperto gli occhi sull’insostenibilità di questo sviluppo e della situazione in cui versa il pianeta. La crisi del mito del progresso è irreversibile: siamo ormai consapevoli che il sistema è organizzato in modo tale da rendere i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, e che non c’è scampo per la metà della popolazione mondiale che la globalizzazione selvaggia ha condannato ad abbandonare il banchetto della vita. Le soluzioni che il pensiero ecologico, e dovremmo anche dire l’ideologia ecologica, hanno approntato non sono affatto adeguate alla qualità e all’entità della sfida che la crisi climatica e ambientale ci pongono. Esse sono un mero maquillage e una nuova forma di business che sfrutta, magari in guanti bianchi, la natura e il cosmo, assimilati a materia inerte e a semplici cose, spacciate per risorse illimitate. C’è, invece, bisogno di un approccio molto più profondo che attui un vero e proprio salto in avanti di civiltà e che non si limiti a dare una «mano di verde» al nostro agire economico, culturale e sociale, e che muti in profondità i nostri stessi stili di vita, per renderli sobri, armoniosi e compatibili con la vita universale. Una rivoluzione nonviolenta che il filosofo e mistico sintetizza con nettezza affermando che non l’ecologia ma l’ecosofia ci salverà.
La saggezza della terra
Ma che cos’è l’«ecosofia»?
Si tratta di una parola nuova, coniata da questo che è stato anche un grande artista del linguaggio, per esprimere la «saggezza della Terra», che va intesa nel doppio senso del genitivo, soggettivo e oggettivo: è la nostra saggezza sulla Terra ed è la saggezza stessa della Terra, che devo saper ascoltare e interpretare. Ma questo esige – afferma Panikkar – ancora una volta il superamento della ragione e l’apertura del terzo occhio. Dobbiamo sconfessare Descartes, il padre del pensiero moderno, che definiva l’uomo come «maìítre et possesseur de la nature», «padrone e possessore della natura». Noi dovremmo esserne, invece, i fratelli – dice Panikkar, attingendo all’insegnamento dei mistici di ogni tempo e in particolare al Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi – e prenderla per mano. Torniamo all’armonia con la Terra – invoca il grande maestro – torniamo a un atteggiamento capace di trasformare le cose accettandole, e di conoscerle senza far loro violenza. La Terra non ha una razionalità come quella degli uomini, non ha una vitalità simile a quella degli animali e delle piante, ma la terra è viva, invecchia, si riproduce, ricorda, ha ripetutamente affermato Panikkar.
Intercultura, intracultura, dialogo
Sembra quasi di sentire le voci degli indios d’America e dell’Himalaya, o dei Masai Mara, e dei popoli tradizionali che hanno conservato una profonda empatia con la natura. Non si tratta di naturalismo romantico, nostalgico e antistorico, bensì della profonda consapevolezza che nella complessità del mondo postmoderno nessuna cultura possiede tutta intera la verità e le soluzioni per rispondere alle grandi sfide dell’oggi. Ci sarebbe bisogno – diceva Panikkar – di una tavola rotonda planetaria, dove tutti i popoli si ritrovino e comincino a parlarsi per decidere insieme il destino comune. Non a caso, Raimon Panikkar è stato l’ideatore, insieme con Ivan Illich, e poi il massimo interprete, dell’intercultura, di quel dialogo cioè tra le culture (e le religioni) che, sulle rovine del multiculturalismo, rimane la sola possibilità di favorire lo sviluppo dei popoli e di opporsi alla dittatura della globalizzazione liberista, quella ispirata dalla «specie di Davos» come la chiama Susan George, che brandendo come una gigantesca clava il pensiero unico tecno-scientifico dell’Occidente, sta portando al genocidio culturale di intere popolazioni umane, animali e vegetali.
La terra: nostro corpo, nostro sé
Bisogna fare pace con la Terra – sostiene il filosofo indospagnolo – perché nessun tentativo di ripristino ecologico del mondo riuscirà finché non arriveremo a considerare la Terra come nostro corpo e il corpo come il nostro sé. Ma «nostro» non va inteso come possesso, perché né la Terra né il corpo né il sé si identificano con il mio ego. Il problema ecologico, insomma, è strettamente teologico e politico, e viceversa; e uno dei nostri doveri più importanti è di stringere un patto di alleanza con la Terra, che non è un oggetto né di conoscenza né di cupidigia. Ed è precisamente per questo motivo che Panikkar considerava la scissione dell’atomo un «aborto cosmico». Perché con la scissione atomica noi uccidiamo e tiriamo fuori dal ventre della materia quelle particelle di energia supplementare di cui in verità non avremmo bisogno. Attenzione però a non fraintendere il pensiero del mistico indospagnolo. In lui non c’è alcuno sguardo idilliaco o idealistico di totale passività, e neppure una idea statica della vita come se non fossero necessari i metabolismi positivi e negativi. La catena dell’essere è qualcosa di vivente, vi è scambio e vi è morte. L’animale non uccide, mangia. Ma vi è anche risurrezione. La pace con la Terra, insomma, esclude la sua sottomissione, e richiede invece collaborazione e nuova consapevolezza. Quello appunto che Panikkar chiama «ecosofia», che implica il recupero dell’animismo, che è recupero dell’esperienza della vita in continuità con la natura.
Essere in armonia con l’intero universo
Ogni cosa è vivente. Tutto ciò che è temporale è vivente per il semplice fatto di essere temporale. Il tempo non è solo e neppure primariamente un parametro quantitativo o scientifico, è la vita stessa dell’universo. Dove la vita individuale è simbiosi di ciascuna entità con l’Albero della Vita. In ogni frammento si racchiude una scintilla di libertà e di vita, come sembra stiano ipotizzando anche gli scienziati contemporanei, che non considerano più la materia come un puro ammasso inerte. Il senso dell’esistenza consiste, allora, nel partecipare il più pienamente possibile alla vita dell’universo, per renderla più bella, più giusta, più armoniosa. E questo è anche il senso profondo – annotava Panikkar nel suo libro sulla «politica» – di un’autentica politica, che non può essere che l’arte dell’impossibile, e cioè della liberazione integrale della vita. Il grande mistico ne era così convinto che l’ha voluto ricordare anche nell’esergo del suo ultimo libro «The Rhythm of the Being», che suona: «Possano le mie parole essere in armonia con l’intero Universo, contribuire alla sua Giustizia, accrescere la sua Bellezza, ed essere pronunciate in Libertà così che la Pace possa diventare più vicina al nostro Mondo. Amen».
Verso la trinità radicale: Dio, uomo, cosmo
Di più. L’empatia tra uomo e cosmo, che costituisce la tramatura dell’«ecosofia», esprime e rivela la più generale armonia che lega Dio mondo e cosmo in una relazione costitutiva e irriducibile, che Panikkar ha chiamato «Trinità Radicale». Non c’è un Dio separato, signore e dominatore del mondo, come non c’è un cosmo puro oggetto passivo e inerte che possa vivere per sé, e non c’è un uomo che possa vivere senza un Dio sopra di lui e un cosmo intorno e sotto di lui. Ma, ed è la nuova spiritualità che va nascendo in questo nostro tempo che il filosofo definisce post-storico, Dio, uomo e cosmo vivono e respirano insieme. Panikkar conia a riguardo il termine «ontonomia», per dire questa relazione costitutiva e irriducibile delle tre «parti» della medesima e indivisa realtà.
Ma l’«ecosofia», intesa come alternativa antropologica e politica alla catastrofe di proporzioni storiche a cui stiamo andando incontro, esige un radicale cambiamento del mito dominante della scienza e la revisione altrettanto radicale della tecnoscienza, che stanno cosificando l’uomo e il mondo.
Raffaele Luise
vaticanista,
giornale radio Rai