Modificatori della coscienza
L’effetto addiction lecito e sconosciuto
Piante e sostanze capaci di modificare lo stato di coscienza dell’uomo sono impiegate sin dalla notte dei tempi. Prodotti psicotropi quali marijuana, coca, oppio, allucinogeni hanno trovato impiego voluttuario o sacro in molte popolazioni e sono stati ben studiati dalla farmaco-etnologia. Alcuni di questi prodotti sono ancora impiegati per un uso farmacologico, altri sono serviti come modelli molecolari per nuovi farmaci di sintesi o per lo studio dei meccanismi di azione fisiologica o patologica del cervello.
Parallelo tra sostanze e interazione ambientale
In tempi più recenti la ricerca sulle sostanze psicotrope ha anche portato alla comprensione di molte modalità fisiologiche determinate dalla interazione tra uomo e situazioni di contesto capaci di determinare in alcune menti un’alterazione di comportamento fortemente deviante o anche di semplice asservimento. Basti pensare alla cieca obbedienza ad alcune sette pseudo-religiose, alla esaltazione violenta che porta a comportamenti socialmente inaccettabili (stragi di civili inermi da parte di soldati, oppure stragi di individui ritenuti responsabili di idee «degenerate», ecc.). Azioni che spesso sono determinate in menti che socialmente definiamo «malate», ma che hanno alla base una non accettazione di una diversità che diviene per loro motivo di insopportabile tensione interiore: uno stato allucinatorio determinato dall’ambiente in individui predisposti in modo latente all’alienazione sociale. Si è anche scoperto che meccanismi ripetitivi, abbinati a stati di carenza alimentare (digiuno sacrale), portano alcune menti all’allucinazione con visioni mistiche e comportamenti estatici.
La stessa estasi, o allucinazione mistica, è oggi spiegata psico-antropologicamente con due processi, uno praticato dall’ambiente e l’altro indotto da sostanze. L’aspetto particolare di questi processi è determinato dal fatto che non possono avvenire in tutti gli individui, ma solo in individui mentalmente predisposti per caratteristiche individuali o per processo di acculturazione: l’indio vede il suo Dio perché è predisposto culturalmente a vederlo, l’uso dell’allucinogeno agevola questo passaggio. Il bianco ateo ha visioni o oniriche o di terrore, tipiche situazioni che sono impronta culturale della sua società di appartenenza.
Il «bullone» della depressione
Negli ultimi tempi l’uso di massa di farmaci psicotropi per aumento di malattie psicosomatiche e adattative all’ambiente (stress, depressione, alienazione, ecc.) ha determinato da parte degli studiosi alcune riflessioni sul rapporto tra farmaco psicotropo e persona. Ci si è accorti che il numero di prescrizioni e la quantità di farmaci psicotropi venduti superava di gran lunga la normale incidenza percentuale di malati mentali declarati. Il significato di tutto questo viene attribuito a due ragioni: l’aumento di malessere psicosociale e l’uso superficiale di questi farmaci.
Potremmo dire, forzando appena un po’ la riflessione, che vi è stato un aumento del rapporto tra domanda e offerta (più malessere, più impiego di farmaci) con una logica di «addiction» (assunzione da abuso) tipica delle droghe voluttuarie: in pratica un’assunzione da abuso socialmente lecita*.
Somministrare un farmaco particolarmente attivo nell’ambito comportamentale, per effetti diretti e indiretti, esige un monitoraggio attento del paziente. Questo a sua volta esige un alto tempo-uomo, ovvero il tempo medico/paziente (leggi umanizzazione della terapia). Oggi questo tempo nella sanità è socialmente temporizzato (15 min a visita circa). Paradossalmente a un’alienazione da tempo del paziente (stress, asocialità, inadeguatezza) si risponde tecnologicamente con una alienazione «da macchina» in cui il tempo è l’elemento discriminante. Con questi presupposti di metodo il farmaco diviene un «bullone» mercificabile, costruito e venduto come qualsiasi prodotto, esaltandone i pregi e nascondendone i difetti. Il farmaco psicotropo non diviene più un valore antropologico di disegno costruttivo di benessere di quel paziente, ma un «bullone» anonimo, valido per tutte le costruzioni, indipendentemente dal disegno sanitario individuale (processo questo sempre esistito, ma che solo recentemente con la società dei consumi si è molto acuito).
Un esempio eclatante è l’abuso di metilfenidato (Ritalin) in bambini iperattivi: una risposta non priva di rischi a un malessere sociale che andrebbe corretto sul piano psicologico prima che conàuna apodittica risposta farmacologica. Questa molecola ha effetti collaterali importanti, opera un controllo efficiente, è bene accetta ai genitori, agli insegnanti, al sistema sociale (costa meno il trattamento con il farmaco rispetto a sedute psicoterapiche a bambino e genitori). Per questo è «socialmente» pericoloso, determinando un effetto «addiction» lecito, ma di cui non si sanno ancora compiutamente gli effetti a lungo termine sul piccolo paziente.
La macchina sanitaria del paziente
Tuttavia, con il tempo, la sensibilità verso la sanità sociale e la spinta operata dai pazienti-consumatori hanno portato a maggiore accortezza, non solo sull’esito finale, ma anche sull’impostazione metodologica della sperimentazione per limitarne non solo i rischi farmacologici, ma i rischi nel lungo periodo e i rischi dovuti alla socializzazione del farmaco che così sfugge al controllo dei medici e non viene percepito nella sua complessità dal pubblico.
Questa realtà strumentale, nella sua complessità di azione, sia collettiva che individuale, non viene sempre ben gestita dall’insieme dei medici determinando apodittiche affermazioni di competenza e sciatta pratica professionale quotidiana di taluni. Sia chiaro, non è un affondo sull’intera classe medica, ma l’evidenza di una deriva in parte sollecitata dal pubblico che «vuole il farmaco» come diritto sociale e dall’altra da un sistema «macchina» che gliela vuole fornire al di là di ogni logica che abbia l’uomo come elemento centrale. È un dato di fatto: al centro dell’interesse del medico ci sono talvolta più gli aspetti scientifici della malattia e meno quelli connessi alla reale esperienza del paziente.
Il paziente, per ragioni dovute alla società dei consumi, si avvia a divenire entità che alimenta laàmacchina sanitaria; per questo deve avere malattie standardizzate corrispondenti a uno schema che fornisca la possibilità al sistema di essere più efficiente. Il codice a colori del pronto soccorso è emblematico di un percorso ineluttabile di efficienza ed efficacia da un lato e di spersonalizzazione dall’altro. Il pericolo non nasce dalla «macchina» del sistema sanitario, ma dalla frequente deriva da alienazione dell’uomo della sanità che finisce col vivere la sua vita professionale senza una reale spinta vocativa e dalla frequente alienazione dell’uomo paziente che si ritiene egoisticamente latore di soli diritti individuali.
Alessandro Bruni
* Mentre l’uso di molte droghe da strada è in lieve diminuzione negli Stati Uniti, l’abuso di farmaci prescritti da medici è in aumento. Nel 2007 2,5 milioni di americani hanno abusato di farmaci prescritti per la prima volta, paragonato ai 2,1 milioni che hanno fatto uso di marijuana per la prima volta. Tra gli adolescenti, i farmaci prescritti sono le droghe più comunemente usate dopo la marijuana, e quasi la metà dei giovani che abusano dei farmaci prescritti sta assumendo antidolorifici. Perché così tanti giovani si rivolgono a questi farmaci per avere lo sballo? Secondo un sondaggio, quasi il 50% degli adolescenti crede che assumerli presenti meno rischi che assumere droghe illegali. Quello che la maggior parte di questi giovani non conosce è il rischio a cui va incontro utilizzando queste droghe potentissime che alterano la mente. L’uso a lungo termine di antidolorifici può portare dipendenza anche alle persone a cui sono stati prescritti per alleviare una condizione fisica, che alla fine cadono nella trappola dell’abuso e dell’assuefazione. In alcuni casi, i pericoli degli antidolorifici non vengono a galla finché non è troppo tardi. Nel 2007, per esempio, l’abuso dell’antidolorifico Fentanyl ha ucciso più di 1.000 persone. Si è scoperto che è dalle trenta alle cinquanta volte più potente dell’eroina.
Alessandro Bruni
già preside alla facoltà di farmacia
università degli studi di Ferrara,
componente la redazione di Madrugada