Mario Lodi, un maestro bambino
La scuola, laboratorio di ricerca
Il nonno di Cipì è volato in cielo su una mongolfiera il 2 marzo scorso, dopo aver dialogato a lungo con i bambini e scritto insieme a loro mille storie. «Io da voi imparo tante cose», diceva, ma essi pensavano che fosse uno scherzo perché la gente crede che i maestri a scuola ci siano per insegnare, non per imparare. Mario invece imparava dai bambini senza stancarsi mai, con gioia e semplicità, giorno dopo giorno, in tutta la sua lunga vita, perché la scuola dev’essere un laboratorio dove si fa ricerca, si studia insieme e si collabora assumendo ciascuno le proprie responsabilità.
Ai miei scolari che gli inviavano i giornalini, chiedeva idee: «Valentina mi invita a scrivere altri racconti con gli animali protagonisti. Lo farei volentieri se avessi un’idea brillante, bella, non copiata dai cartoni animati o da altri libri. Perché non mi aiutate voi a cercare un’idea originale? Che ne dite, proviamo?».
Dal 1976 iniziai a tenere con il maestro una fitta corrispondenza di lettere e giornali scolastici stampati con il ciclostile, sulle orme dei maestriàdel Movimento di Cooperazione Educativa che nel dopoguerra avevano dato vita a incontri, convegni e ai 127 libretti della Biblioteca di lavoro dell’editore Luciano Manzuoli. Lodi leggeva con attenzione i materiali prodotti dai bambini e trovava sempre il tempo per rispondere a tutti. Suggeriva progetti e proposte di lavoro, poneva domande difficili, regalava ricordi, come quelli racchiusi in una lettera datata 15 dicembre 2001: «Cari amici, ho ricevuto Briciole, il vostro bellissimo giornale, e mentre leggevo i pensieri ho ricordato fatti di quand’ero bambino». La descrizione delle foglie colorate di Giacomo gli ha rammentato un gioco: «Vicino alla mia casa c’era un ruscello con l’acqua che scorreva. Al ponticello della ferrovia posavo sull’acqua le foglie colorate come se fossero corridori e poi correvo al ponticello più lontano, dove immaginavo che fosse il traguardo e lì vedevo chi vinceva. Questo gioco lo facevo da solo, ma anche con mio fratello e con gli amici. Ognuno aveva la sua bella foglia colorata e la seguiva durante la corsa incitandola fino alla fine». La pioggia autunnale, che il piccolo Silvano vedeva come un dono, rievocò nella mente del maestro un episodio della prima guerra mondiale: «Durante la ritirata di Caporetto, mio padre camminò per molti giorni sotto una pioggia sottile e continua che infangava le strade e inzuppava gli abiti. Quando in autunno cade la pioggia sottile io penso a lui soldato che fuggiva per non farsi prendere prigioniero e soffriva per il freddo, la fame, la stanchezza e le vesciche ai piedi». A Chiara che pensava lo spazio come un mondo grande, scrisse: «La stessa cosa provavo nelle sere d’estate, quando giocavamo a nascondino nei cortili. A volte dal nascondiglio alzavo lo sguardo verso il cielo e lo vedevo pieno di stelle. Milioni di stelle che mi facevano pensare a un mondo grande, infinito. Anche oggi il cielo stellato mi fa pensare a come siamo piccoli di fronte all’universo e come siamo stupidi a rovinare la bellissima stella sulla quale siamo nati».
Educare i ragazzi ai valori della cittadinanza
Mario mi ha insegnato a osservare i bambini, nel significato etimologico di conservare e custodire l’intreccio delle relazioni all’interno della classe, ad ascoltarli nel rispetto dei tempi naturali di ciascuno, a dialogare durante la conversazione prestando cura alle parole e al silenzio, a valorizzarne le intelligenze e i linguaggi espressivi. A noi maestri e ai genitori sottolineava l’importanza di educare i ragazzi ai valori fondamentali per l’uomo civile moderno: la cooperazione, invece della competizione, la pace invece della guerra, l’amore per gli animali e la difesa dell’ambiente, l’atteggiamento scientifico come conoscenza diretta della realtà. Nel 1995 mi invitò a collaborare con la «Casa delle Arti e del Gioco» di Drizzona, la sua scuola senza banchi fondata nel 1989, con il duplice intento di sviluppare le capacità espressive, creative eàlogiche dei bambini e di formare insegnanti che si dedichino all’educazione democratica fondata sui valori della Costituzione. Negli ultimi anni era preoccupato per il crescente degrado culturale dell’Italia, perciò ci propose di rileggere e riscrivere insieme agli alunni i principi fondamentali della Carta costituzionale al fine di farla conoscere e di viverla tra i banchi di scuola. Dal lavoro di gruppo, di cui ho fatto parte con Gioacchino Maviglia, Aldo Pallotti e Roberto Lanterio, è nato il libro Costituzione. La legge degli italiani riscritta per i bambini, i giovani… per tutti. Una bussola per non smarrire il cammino, soprattutto oggi che nella scuola italiana c’è da rifare daccapo una battaglia culturale per formulare regole di comportamento condivise, trasformare ciascuna classe in una piccola società in cui dall’egocentrismo si passa alla democrazia per migliorare la vita di tutti. Pedagogista, scrittore, intellettuale, Mario Lodi è stato e resterà soprattutto un grande maestro che ha sempre guardato il mondo con lo stupore di un bambino. Lui che è stato un bambino felice e libero, cresciuto negli anni trenta a Piadena, un piccolo paese della pianura Padana, a contatto con la natura e gli animali, con un tempo lento per giocare insieme agli amici in spazi liberi da esplorare mettendo in gioco tutti i cinque sensi. Ce lo racconta nel bellissimo libro Come giocavo, scritto con il suo inconfondibile stile pulito e poetico, appena uscito con alcuni suoi disegni e acquerelli inediti. Un lungo racconto da leggere tutto d’un fiato, per non dimenticare che «il gioco del bambino non ha pause, né vacanze, è un bisogno continuo di fare, conoscere, capire, creare. È un lavoro felice che stimola l’apprendimento, l’organizzazione del pensiero, la socialità».
Luciana Bertinato Vive e lavora come maestra di scuola primaria a Soave (VR). Fa parte del direttivo della Casa delle Arti e del Gioco, associazione fondata da Mario Lodi. Scrive su La vita scolastica e Avvenire.