Mamme lontane
Famiglie transnazionali
La base dell’integrazione è la comprensione della condizione in cui viene a trovarsi un soggetto che ha credenze, opinioni, nozioni, che sono in contrasto con l’ambiente in cui opera. Gli esempi di situazioni di integrazione difficile, o fallimentare, sono molteplici. Abbracciano differenti contesti sociali ma tutti sono accomunati da una relazione di ipotetica convivenza delle differenze. Un esempio paradigmatico di integrazione è costituito dalle famiglie transnazionali, che si trovano a subire notevoli mutamenti sia all’interno della famiglia che nel contesto in cui vivono.
Le vedove bianche
Oggi la migrazione è sempre più al femminile. Circa la metà dei migranti a livello mondiale sono donne. Si tratta di un esercito di «vedove bianche» costituito da badanti e collaboratrici domestiche che provvedono alle necessità della famiglia acquisita o d’origine (o a entrambe). Le donne immigrate lasciano nei loro paesi i loro figli, spesso affidati ai padri (o ai nonni, se non addirittura ai vicini). Instaurano così diversi legami familiari: la separazione, di fatto, crea certamente ferite e tensioni emotive. Distacchi solo in parte compensati dalle abbondanti rimesse che vengono fatte alle famiglie rimaste in patria. Si ricorda che lo stipendio medio italiano per queste donne è di circa 4 volte superiore a quello che percepirebbero nel loro paese d’origine. Una ragione molto valida per superare resistenze e limiti affettivi.
Emigrare perché
Cercare un lavoro all’estero può significare il tentativo di finanziare l’avvio di attività economiche in patria. La donna che emigra, quindi, lo fa a sostegno della propria famiglia,àcreando anche una sorta di «destrutturazione familiare» non indolore. Queste nuove famiglie si caratterizzano per una strategia familiare, devono affrontare le povertà nuove e vecchie dei paesi di origine, sperimentando le opportunità offerte da una circolazione globale delle persone che oggi è divenuta più facile e rapida, insieme alla circolazione di investimenti, capitali finanziari, know-how. Queste nuove famiglie possono anche decidere di «inviare» alcuni dei loro figli (anche minori) in altri paesi per cercare lavoro. Si tratta allora di «minori non accompagnati», che giungono nel nostro paese in condizioni difficilissime. La famiglie transnazionali sono vere famiglie, per la continuità dei legami e per l’importanza delle relazioni che continuano ad avere i loro componenti al di là della lontananza fisica. Si conserva quindi un «sentimento d’unione»: non si tratta di migranti soli e «sradicati», ma piuttosto di migranti «connessi» con le loro famiglie e comunità d’origine; famiglie caratterizzate da una «precarietà educativa» e dalla sofferenza di un’inedita «maternità transnazionale», ma in cui i genitori continuano a svolgere un loro ruolo, anche a distanza.
Crisi dei legami familiari
L’evoluzione della famiglia degli immigrati tende a ridimensionare anche lo stereotipo della famiglia immigrata coesa e organizzata secondo modelli tradizionali: in effetti si tratta di un fenomeno che è stato chiamato di «frontering», ossia di allargamento delle frontiere e in cui la convivenza sotto lo stesso tetto, in uno stesso luogo, non è più condizione indispensabile per la condivisione. In queste condizioni, continuare a essere famiglia diventa sempre più difficile col prolungarsi del tempoàe può comportare anche un lento dissolversi dei legami familiari: i coniugi tendono a rifarsi una propria vita di coppia e i figli, non di rado, sono lasciati soli precocemente. In questi casi diventa fondamentale che i genitori possano continuare a svolgere il loro ruolo, anche oltre la loro separazione.
Tensione culturale tra genitori e figli
Anche quando i figli si ricongiungono con uno dei genitori emigrati, si troveranno con nuove difficoltà di integrazione sociale connesse con lo status della famiglia transnazionale: i genitori spesso hanno perso, nel corso degli anni, la loro autorevolezza educativa; si acuiscono così anche le tensioni intergenerazionali; si manifestano anche i diversi tempi di acculturazione nei nuovi contesti sociali tra il genitore e il figlio e si rende più difficile una trasmissione di identità culturale che rischia di non dare alcuna sicurezza alle nuove generazioni. In questi casi, i figli della prima generazione di famiglie transnazionali sono alla ricerca di un’identità sociale completamente da reinventare. Talora ricercano anche forme di integralismo culturale o religioso che rappresenta comunque un legame con quel mondo perso. Oppure l’integrazione è ricercata nelle società nuove, dove migrano attraverso i consumi che più rappresentano il nuovo mondo a cui intendono appartenere e di cui si colgono gli elementi più vistosi e apparenti.
La pigrizia delle istituzioni
Le migrazioni sono e rimangono, anche con le seconde generazioni, un fenomeno familiare e non individuale. E finora poca attenzione è stata posta, sia a livello comunitario sia nei paesi da cui emigrano e in cui giungono, ai bisogni, alle difficoltà e talora ai drammi della dimensione familiare dell’emigrazione, in particolare delle famiglie transnazionali. Le istituzioni non sembrano accorgersi di questo tipo di famiglie e dei loro bisogni di sostegno nel continuare a tenere vivi i legami. Spesso, infatti, si tende a dare importanza più alla dimensione dei singoli individui migranti che a quella familiare. E le famiglie transnazionali sono per lo più «invisibili» alle istituzioni dei paesi di origine come di quelle dei paesi di arrivo. Sono tali proprio per effetto di un modello di «welfare nascosto» in cui le risorse di accudimento vanno dai paesi meno sviluppati verso quelli più ricchi: solo per il nostro paese sono stimate in poco meno di un milione (2005) di persone che migrano per offrire cure e aiuti domiciliari.