Lo stupore dell’apprendere
Le cento lingue dei bambini
Il bambino
è fatto di cento.
Il bambino ha
cento lingue
cento mani
cento pensieri
cento modi di pensare
di giocare e di parlare
Sono queste parole di Loris Malaguzzi ad aprire la mostra The Wonder of Learning. The hundred languages of children ospitata lo scorso ottobre al Kinder- und Jugendmuseum di Monaco di Baviera. Sono le sue parole e il suo sorriso, fermato da uno scatto in bianco e nero, a introdurci nel vivo dell’intuizione, dell’idea, della vocazione che proprio con lui ha mosso i primi passi.
L’orientamento pedagogico di «Reggio-Approach»
Tema della mostra è il cosiddetto «Reggio-Approach», il pensiero pedagogico rivolto agli asili nido e alle scuole dell’infanzia nato a Reggio-Emilia tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso a partire dall’impegno dell’insegnante elementare e pedagogista Loris Malaguzzi. Il termine approccio è forse quello che meglio può descrivere questa pedagogia: non si tratta di un metodo, tantomeno di un sistema; parole come «atteggiamento» «orientamento» o «filosofia» calzano decisamente meglio. Un approccio, appunto, che segue una precisa lineaguida: la consapevolezza che il bambino dispone di capacità conoscitive e di mezzi espressivi propri, individuali e diversificati, che chiedono di essere stimolati, assecondati e sviluppati. Il bambino è il soggetto protagonista del processo conoscitivo che, in quest’ottica, non può risultare da una trasmissione passiva ma da una ricerca dinamica e personale. «Un bambino è fatto di cento» dice Malaguzzi, perché cento sono le possibilità che ha di conoscere e di interpretare la realtà. Il compito dell’educatore si traduce nell’accompagnamento del bambino in questo processo, assumendo, come adulto, il ruolo di colui che ascolta, osserva e compartecipa. Il tutto, nella convinzione che il luogo privilegiato per manifestare il desiderio e la gioia della scoperta è il gruppo, nel quale l’avventura del conoscere è condivisa e l’esperienza individuale siàmette in comune.
Queste le premesse di un approccio pedagogico che trova un’eco sempre maggiore sul piano internazionale (molto più che su quello nazionale, purtroppo) da quando, nel 1991, la rivista americana Newsweek ha definito le istituzioni prescolastiche reggiane come le migliori al mondo. E queste le premesse che hanno portato la mostra itinerante «The Wonder of Learning» da ReggioEmilia a Monaco di Baviera, dove, nel corso di un mese, il museo per bambini e ragazzi della città ha rappresentato un polo di primissimo piano per l’aggiornamento e la formazione di insegnanti, educatori e pedagogisti.
…cento sempre cento
modi di ascoltare
di stupire di amare
cento allegrie
per cantare e capire…
Primo spazio: le stanze del dialogo
Il primo grande spazio della mostra si presenta come una variazione sul tema del dialogo: dialogo con i luoghi, dialogo con i materiali, dialogo attraverso la scrittura. Sono tre delle numerose esperienze che il «Reggio-Approach» ha scelto per educare il bambino alla scoperta, intesa prima di tutto come un mettersi-in-relazione, dunque un mettersi in dialogo, in ascolto. «Si possono sentire i suoni di un luogo. Gli alberi, per esempio, possono raccontarci del vento» dice Pietro, 4 anni; «Si può ascoltare anche il futuro, se si chiudono gli occhi e si apre la mente» aggiunge Maria, 5 anni. «Un luogo è qui», «Un luogo è oggi», «Luogo vuol dire Tutti i luoghi del mondo» dicono invece Benedetta, Martino e Dario, di 2, 3 e 4 anni; secondo Matteo, ancora, «Un luogo si può riconoscere dall’aria». Sono intuizioni che disarmano, che toccano e muovono, che parlano di una verità diversa, insolita e inattesa, ma intatta, semplice, cristallina. Nessun insegnante ha spiegato queste cose a un bambino, nessun adulto saprebbe esprimerle meglio. Dalla sorpresa nel leggere queste frasi, si passa all’ammirazione davanti al «multistrumento» che altri bambini, matita e righello alla mano, hanno progettato e montato con l’aiuto di un carpentiere; e ancora, se ci si ferma davantiàalla composizione in metallo di Roberto, astratta ma straordinariamente evocativa, non così lontana da moderne opere minimaliste. Uno sguardo d’insieme a questa prima parte, documentata da pannelli, immagini e filmati, permette di avvertire lo spirito che caratterizza la pedagogia reggiana. Si tratta, per dirlo con Christiane Singer, di «rivelare al bambino l’immensità che lo circonda e che l’abita»; meglio ancora, di lasciar rivelare al bambino il valore di tanta immensità.
…cento mondi
da scoprire
cento mondi
da inventare
cento mondi
da sognare…
Spazio due, spazio tre: raggio di luce, paesaggi digitali
Se nella prima sala dell’esposizione il visitatore ha conosciuto i fondamenti teorici, è solo nei due spazi successivi che può entrare nel vivo dell’approccio di Reggio, facendone a sua volta esperienza. Li chiamano «atelier» e lo sono realmente: due stanze allestite a regola d’arte e a misura di bambino, nelle quali la ricerca muove dall’estetica, la conoscenza dalla bellezza. Da una parte, il variopinto atelier Ray of light (Raggio di luce), pensato per indagare i fenomeni luminosi attraverso giochi di riflessione e proiezione con l’uso di strumenti come specchi, lavagne luminose, vasche d’acqua, vetri colorati; dall’altra, Digital landscapes (Paesaggi digitali), concepito come uno spazio virtuale nel quale materia, tecnologia e immaginazione convergono creando scenari innovativi, quasi mondi paralleli. L’atelier come luogo e l’atelierista come educatore rispondono perfettamente a molte delle prerogative basilari del «Reggio-Approach»: che la bellezza e la cura estetica valgano da stimoli per la creatività e l’immaginazione del bambino; che la capacità poetica sia valorizzata tantoàquanto quella logico-analitica; che sia concesso un libero campo d’azione e d’esperienza; che materiali tradizionali siano messi a contatto con strumenti d’avanguardia; che lo spazio e il suo allestimento siano a loro volta mezzi di educazione; che tutti gli aspetti dell’apprendimento del bambino – cognitivi, emozionali, espressivi e relazionali – interagiscano equilibratamente.
Accontentarsi di uno e cogliere cento
…Gli dicono:
che il gioco e il lavoro
la realtà e la fantasia
la scienza e l’immaginazione
il cielo e la terra
la ragione e il sogno
sono cose che non stanno insieme.
Gli dicono insomma
che il cento non c’è.
Il bambino dice:
invece il cento c’è.
Alla fine della mostra, emerge la ricerca di un’interazione continua, tra persone, mezzi e spazi, di un dialogo inesauribile. È la volontà di non rinunciare a nessuno dei cento linguaggi che il bambino ha, che già conosce. È l’appello a riconoscere il bambino non tanto come fruitore di soli diritti, quanto come detentore di una propria cultura. È questa la qualità del «Reggio-Approach», giocata nella tensione fragilissima tra lo stare a disposizione e il mettersi in ascolto, tra il fissare limiti e il creare spazi, tra il re-cepire contenuti e con-cepire interpretazioni, tra il raggiungere un risultato e l’accompagnare un processo. Insomma, tra l’accontentarsi di uno e il cogliere il cento.
Pietro Tondello studente di filosofia a Monaco di Baviera e collaboratore al museo per l’infanzia della città (Kinder- und Jugendmuseum)