L’inizio e la fine di un secolo. Ripartire da Sarajevo

di Comitato di Redazione

Questa notte è arrivato il vento, forte da scoperchiare i tetti. Altri venti soffiano, venti di guerra: in Africa, in Asia, mentre Sarajevo esce da due guerre.
Ho chiesto a Giuseppe Stoppiglia una memoria dalla Bosnia e mi ha scritto L’Oriente non c’è più: abbiamo dimenticato Sarajevo, ricordando la città all’incrocio di religioni ed etnie, la scuola di Pero Sudar, la sfida ultima della solidarietà responsabile.
Era naturale continuare la scrittura su Sarajevo nel monografico che aprirò.
Heymat prende a prestito il titolo L’Europa muore o rinasce a Sarajevo da Alexander Langer e ci racconta della crisi politica, la vittoria dei partiti che dividono, l’insinuarsi dell’islam fondamentalista, e la disoccupazione che sale.
Il vescovo ausiliare di Sarajevo, mons. Pero Sudar, in La Chiesa cattolica in Sarajevo, denuncia l’esodo dei cattolici dal paese e la situazione politica bloccata.
Luca Bonacini l’ho preso al volo, appena in tempo, mentre lasciava Sarajevo per Buenos Aires, e mi ha scritto Gente di Sarajevo: persone che hanno vissuto la guerra, ma oggi vogliono pensare alle odierne priorità.
Vikica Vujica, arrivata a Sarajevo dopo la guerra, l’ho rintracciata al telefono che saliva verso la scuola del vescovo; mi ha scritto in Sarajevo dopo la guerra: conseguenze e prospettive la spartizione del territorio per etnie, ma anche di segnali positivi, che alimentano la multiculturalità e la tolleranza.
Fulvio Gervasoni, di passaggio in Italia, mi scrive Dai luoghi della memoria, lui che ha conosciuto Sarajevo durante la guerra, l’ha frequentata negli anni successivi assieme ai giovani per la solidarietà.
Don Gianni Gambin, che ha vissuto le prime ore della guerra, mi manda una lettera via fax, Orizzonti e fratture e si sofferma sugli accordi di Dayton, una Carta che non ha dato risposta ai problemi.
Per la politica, Francesco Monini scrive una riflessione equilibrata sull’articolo 18.
Pausa all’angolo dei libri. Potete entrare, in silenzio.
Non traccio piste. Che resti alta la curiosità dei bibliofili.
All’uscita, incrocerai il diario minimo di Francesco sulla brevità non veloce, attenta all’ascolto, sull’avidità dei ricchi, e del becchino che poi tutti squadra con la livella.
Alessandro Bruni, che sta tornando da un gruppo di famiglie, scrive L’accoglienza come questione morale perché all’infanzia abbandonata non può fare fronte lo Stato, ma le famiglie tutte sono coinvolte per una ricostruzione della società.
Nicolò ha messo sul tavolo il mappamondo e mi segna con il dito la Tanzania, due nomi (Tanganyika e Zanzibar) messi assieme dentro un’unica lingua, proiettati verso un futuro che avanza a fatica.
Segue la cronaca incerta del cronista non accreditato.
E le splendide foto di Chiara Mirelli a raccontare la vita e la morte, la festa e il dramma, la memoria e il vento della Bosnia ed Erzegovina.