L’etica come elemento costitutivo dell’economia nel pensiero di Toniolo

di Sorrentino Domenico

La beatificazione di Giuseppe Toniolo, avvenuta il 29 aprile 2012, è stata uno stimolo a riprendere contatto con la sua figura e il suo pensiero dopo decenni in cui, a parte la piccola schiera di cultori, colui che fu padre dell’impegno socio-politico dei cattolici italiani, dopo essere stato una bandiera del cattolicesimo organizzato, era passato nella zona d’ombra di un ingeneroso quanto affrettato verdetto di superamento. Credo sia stimolante che la riscoperta di un economista del suo calibro avvenga nel pieno di una crisi economica che sta riproponendo al mondo il problema di un disagio sociale che ci obbliga a riflettere sul futuro dell’assetto socio-politico, o politico-economico del mondo.

Al tempo della prima industrializzazione

Ovviamente Toniolo non è uomo di questi giorni. Siamo tra il 1845 e il 1918. Va da sé che dobbiamo storicizzare. Visse però in una fase storica, come quella della prima industrializzazione, in cui alcune grandi tendenze dello scenario economico contemporaneo si delineano e si consolida la scienza economica che si assume il compito di interpretare i processi economici e di proporre soluzioni ai problemi che ne derivano e che storicamente passano sotto il nome di «questione sociale».

Lo scenario del suo tempo si presentava conteso da un capitalismo che rivendicava la piena libertà a discapito di un proletariato sottoposto spesso a uno sfruttamento disumano. Ricordiamo in proposito l’espressione forte della Rerum Novarum, detta da un Papa con tutte le precauzioni del linguaggio papale «una condizione poco men che servile». E, dall’altro lato, ricordiamo la reazione, diremmo «di tipo socialista» che si sarebbe poi sviluppata in rivoluzioni e realizzazioni di segno più propriamente marxista. Toniolo si è trovato di fronte a questo scenario, con il compito storico di introdurre il mondo cattolico alla comprensione degli eventi e soprattutto all’elaborazione di un programma alternativo consono ai principi della morale cristiana e della dottrina sociale della Chiesa.

Mancava nel mondo cattolico dell’epoca la sensibilità sociale, l’attenzione ai reali problemi dell’economia ed era attiva invece una cultura «unàpo’ elemosiniera», assistenziale, che si proponeva di assistere la persona in condizione di bisogno. Ciò era meritevole e necessario, ma Toniolo ebbe il compito di «avvertire» la comunità credente che un autentico spirito cristiano di carità e solidarietà non poteva ridursi a questo e doveva, al contrario, studiare il problema a fondo per dare una risposta che partisse dalle radici. Ecco dunque il discorso che lo caratterizzò nel suo ruolo specifico all’interno del movimento cattolico. Nel compiere questa azione di sensibilizzazione generale, non dimenticò mai di essere un economista.

Era professore di economia politica. Aveva cominciato a Padova e, dopo un breve periodo a Modena, lo sarà per quarant’anni a Pisa. Questa dunque era la sua specificità: viveva ogni giorno interrogandosi sui processi economici, cercando di capirli e di mediarli pedagogicamente ai suoi studenti, cercando di partire da ciò che vedeva e interpretandoli per capire quali fossero le terapie da adottare e le possibili risposte. Non dimenticò mai di essere un economista, consapevole del dovere di raccogliere la sfida di tradurre l’alternativa cristiana in un vero, convincente ed efficace programma. La sua preoccupazione fu quella di dire «non possiamo tenerci sulle generali». Qualche volta noi credenti abbiamo la tentazione di parlare in termini generali di amore, di solidarietà, di giustizia, ma di non fare poi fino in fondo la fatica di declinare questi valori in termini operativi. Toniolo questo lo sapeva e affermava: «Non possiamo esimerci dal compito storico di fare il tentativo di una traduzione». Perché parlare di amore, di giustizia, di solidarietà non produce nulla. Si tratta di dire concretamente cosa significano.

Una linea di confine

In alcune sue opere troviamo importanti indicazioni programmatiche. Io farò riferimento ad alcune di queste, tra cui il cosiddetto «Programma di Milano» del 1894, nel quale, sotto il titolo di «Programma dei cattolici di fronte al socialismo», declinava alcuni punti progettuali. Un anno prima aveva fatto un lavoro ancora più organico, quando aveva dato all’istituzione da lui fondata, quella dell’unione cattolica per gli studi sociali, un’impronta programmatica stilando una serie di principi ai quali farò in seguito un rapidissimo riferimento. Egli provò inoltre a elaborare un trattato di economia sociale. Gli fu difficile, considerati i suoi innumerevoli impegni universitari, religiosi, familiari… E, infatti, non riuscì a concluderlo; alcuni di questi volumi appariranno postumi e un po’ «rabberciati» dai suoi studenti. Ma l’impostazione, comunque, merita di essere presa in attenta considerazione, come un’impostazione sulla quale si può costruire o almeno si può dibattere.

In premessa, mi preme avvertire che, rispetto a quanto Toniolo scrisse, pensò e propose, il nostro tempo sta riaprendo spazi di attualità e di attenzione sorprendenti. Basti ricordare che nel 1873 egli sottolineava che un capitalismo senza etica e senza regole era destinato a portare non solo al fatto crudele e ripugnante dello sfruttamento umano, ma anche a disastri complessivi della società e della pace. Cosa che sta oggi sotto i nostri occhi. Chi non vede che l’attuale crisi ha tra i soggetti responsabili una finanza mondiale caratterizzata dall’avidità, dalla speculazione, dall’arroganza capace di mettere in ginocchio persino gli stati? L’altro aspetto che apre spazi di attualità è l’intuizione che la soluzione socialista, almeno intesa nelle forme più invasive e autoritarie poggianti sullo statalismo, avrebbe comportato quello che egli nel programma di Milano prefigurava così: «sotto maschera di libertà prepara un più crudele e universale servaggio». Almeno guardando ai regimi del cosiddetto «socialismo reale», credo che mai profezia sia stata più puntuale. Tuttora costituisce interesse un pensatore e un leader che proprio a questi due scenari si oppose fervidamente, nella convinzione che dall’ispirazione evangelica declinata nel Magistero della Chiesa e nella millenaria sapienza ecclesiale, potesse venire non certo una «tecnica economica».

Il fattore umano prevalente

Per dire qual è il punto chiave di tutta l’impalcatura del pensiero del Toniolo, non faccio fatica a trovarlo in una sua prolusione accademica del 1873, quando comincia il suo lavoro da professore e comincia a dire come la pensa. Questa prolusione si intitola «Dell’elemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economiche». In questo testo la specificità, l’interesse, la problematicità, non sono tanto nel fatto che dimensione etica e dimensione economica si leghino tra loro. L’originalità di Toniolo è nell’aver assunto una posizione che introduceva l’elemento etico come fattore intrinseco dell’economia. Che cosa voleva dire? Toniolo voleva analizzare l’homo oeconomicus, partendo da questo presupposto: che l’uomo non è separabile, non è «vivisezionabile». Le dimensioni dell’umano sono tutte dimensioni interagenti, che hanno necessariamente unaàcompenetrazione. Non posso parlare dell’homo oeconomicus se non tengo presente l’homo toutcourt. Perché l’uomo che va a realizzare la legge economica, poniamo quella della domanda e dell’offerta, è sempre un uomo che ragiona, che pensa, che ha una storia, dei sentimenti, delle relazioni, che ha una patria. Cioè che interpreta, alla fine, anche quella legge non in termini meccanici. Una cosa è se la interpreta mettendo dentro la dinamica della legge economica dei sentimenti, delle idealità, un’altra cosa è se la interpreta in senso spiccatamente materialistico, per cui gli sta a cuore soltanto quello che potrà guadagnare in termini di ricchezza materiale.

Per Toniolo, insomma, l’elemento etico è un fattore intrinseco delle leggi economiche. La legge economica non è una legge meccanica, è una legge che l’uomo è chiamato a realizzare in base a ciò che egli è, in base a ciò che sente e vive, in base alle norme che fa proprie. La legge economica è una legge che viene diversamente applicata. Su questa base il Toniolo cominciò, da professore, la sua lunga navigazione che lo portò ad applicare questa intuizione di fondo ai diversi momenti dell’attività economica, e cioè al momento della produzione, al momento della distribuzione, ecc., facendo un discorso che, tuttavia, poggiava sempre sul presupposto che l’uomo è il centro dell’attività economica e che ne deve essere anche il fine. Non è dunque il lavoro astrattamente considerato, non è l’economia astrattamente considerata che devono essere presi in considerazione, ma l’uomo che lavora. È l’uomo che ha capito che la ricchezza che gli è data deve essere amministrata anche in termini di attenzione agli altri, perché se non lo fa, oltre a compiere un’azione moralmente ingiusta, compie anche un’azione economicamente ingiusta. A lungo andare e nel lungo periodo, infatti, l’egoismo economico porta a un disastro, come possiamo verificare in tanti aspetti della nostra convivenza. Toniolo, in breve, sostiene che l’aspetto morale ha una dimensione economica che deve essere verificata sul piano dell’azione concreta.

L’ordine costitutivo dell’economia

In un documento del 1893, Toniolo si sofferma sui vari pilastri di un’economia sana e mette come primo presupposto il principio, importantissimo dal suo punto di vista, che «l’ordine costitutivo dell’economia è più importante dell’ordine operativo, o meglio lo fonda». I valori non vengono prima delle leggi economiche, ma essi devono individuarsi «dentro le leggi economiche», i valori devono essere intesi come l’anima delle leggi economiche.

Cosa intende Toniolo quando parla di «ordine costitutivo»? Egli sostiene che gli elementi cheàsono alla base della società sono anche alla base del processo economico. Essi si devono basare dunque sulla persona umana. Questo è «il punto dei punti». La persona umana è la realtà intorno alla quale gira tutto, anche il valore della società. Che valore avrebbe la società se non fosse l’espressione di individualità che hanno ciascuna una loro dignità, che hanno ciascuna un proprio valore? Noi siamo, insieme, ciò che ciascuno di noi è singolarmente. Al centro, non soltanto della vita morale, ma anche dell’attività economica, deve porsi il «principio persona» e il modello economico varierà a seconda dell’applicazione di tale principio.

Come si vede, nel discorso del 1873, Toniolo mostrava come l’elemento etico, nella sua realtà globale, non fosse soltanto un elemento normativo, ma un elemento che riguardava tutti gli elementi che compongono la persona, l’ethòs, e cioè la nostra relazione con il territorio, con le tradizioni…, quella realtà insomma che mette insieme le persone, che le fa vivere, che dà la gioia di vivere, che fornisce un presupposto per vivere. Può tutto questo essere indifferente alla politica economica e all’economia politica, se si vuole realmente realizzare un sano ordine della ricchezza, e non fare della ricchezza qualcosa di preponderante, di prepotente che finisce per ritorcersi anche contro sé stessa? Io credo che in

questa distinzione fondamentale ci sia il cuore del pensiero del Toniolo. Dopo aver fatto tutta una serie di considerazioni sui vari momenti, le varie dimensioni, i vari ordini, i vari principi, lui torna al punto e dice: Mi raccomando, l’ordine costitutivo è sempre più importante dell’ordine operativo. Quando voi avrete distrutto la persona, per cui la persona umana non sa più chi è, avrete costruito un mondo in cui non sappiamo più chi è l’uomo (una volta avevamo il problema di sapere chi era Dio, ora abbiamo il problema di sapere chi è l’uomo). Quando avrete «sfasciato» la famiglia, cioè l’insieme di relazioni necessarie in cui la persona si può costituire, quando avrete «sfasciato» le relazioni tra le persone dentro la loro storia, la loro tradizione, la loro affettività, alla fine, quale economia andrete a realizzare, quali saranno i processi che si affermeranno? Avrete un’economia che, alla pari degli stati totalitari di un tempo, pretenderà di fare il bello e il cattivo tempo rispetto a un insieme di persone «atomizzate», disgregate e individualizzate, rispetto cioè a persone che non saranno più considerate vere «persone».

mons. Domenico Sorrentino
vescovo di Assisi,
postulatore della causa di beatificazione
di Giuseppe Toniolo]