La vita precaria

di Riva Franco

Denaro e onnipotenza

Qualcosa sfugge

Del rapporto tra denaro e potere si parla spesso, senza toccare il punto della questione. La prima impressione è che il denaro possa davvero tutto. E si reagisce polemicamente, ricordando che non è vero: non compra tutto, non dà la felicità, qualcosa si salva e così via. Posta in questi termini, la contrapposizione è presto fatta: da un lato l’onnipotenza del denaro, che sembra potere tutto; dall’altro lato, e per fortuna, la compensazione di un limite, perché qualcosa gli sfugge. Ma forse non è così semplice.

Contrapporre all’onnipotenza del denaro il limite sarà anche rassicurante: apre alla speranza che non tutto sia travolto dal suo potere, non tutto monetizzabile e scambiabile; che qualcosa e qualcuno riesca a resistergli. Eppure, finché si resta nella pura opposizione si combatte una lotta generosa ad armi impari. Così, quando sembra di aver trovato un argine all’onnipotenza del denaro, forse gli si è già concessa la vittoria.

Se qualcosa gli sfugge davvero, il denaro non potrà essere trattato come un signore incontrastato neppure nel suo esclusivo dominio. Non possiamo più dire che quel che conta veramente è qualcos’altro. Ciò che sfugge al denaro non appartiene (solo) a un elenco di cose che possono o che non possono rientrare nel suo potere. La dissociazione è utile nell’immediato, rassicurante, ma ha scarsa incidenza. A lungo termine è perfino controproducente.

Siamo poi così sicuri che l’oasi protetta di ciò che sfugge al denaro (dono, verità, fede, amore, ecc.) non sia una specie di fiore all’occhiello che non cambia nulla, come succede nelle campagne ecologiste delle multinazionali? L’equivalente di un bel parco cittadino nel cancro urbano. Dobbiamo continuare a contrapporci fintamente al denaro o è meglio smontare il giocattolo, dissacrare l’idolo?

Il mezzo di tutti i mezzi

La potenza e l’impotenza del denaro non abitano quartieri diversi della stessa città, non stanno in luoghi separati. Per il denaro non succede così, che può su qualcosa e non può su qualcos’altro. Non qui o là. Il denaro può tutto e non può niente nello stesso tempo e nello stesso luogo.

Ma perché si assegna al denaro l’attributo divino dell’onnipotenza? L’onnipotenza nasce con il denaro stesso. La sua funzione è di scambiare tutto con tutto. Mezzo di scambio totale, il denaro ha la capacità di convertire ogni cosa con qualsiasi altra. Da questo deriva il suo valore incomparabile, superiore a qualsiasi altra cosa scambiata, compreso l’umano. Mediatore universale, il denaro vale infinitamente di più di ciò che scambia: mentre fissa un valore, lo devia, lo corrompe e lo sposta su sé stesso. Il denaro ha la pretesa di essere l’unico vero valore.

Il denaro tende a totalizzare, a non lasciare fuori nulla, a rendere tutto convertibile in termini monetari. In quanto mediatore di tutto con tutto, il denaro tende all’assoluto, all’onnipotenza: capace cioè di diventare tutto e di sostituirsi a tutto grazie alla conversione totale in valore di scambio.

Il denaro non è un semplice mezzo, ma il mezzo di tutti i mezzi. Non è un oggetto, ma l’oggetto di tutti gli oggetti. Il denaro agisce come conversione e come riconversione continua. La sua possibilità in sé è vuota, perché consiste nell’aprire ogni altra possibilità.

Si comprendono allora alcune classiche definizioni: il denaro è la forma dell’unità e della possibilità di tutte le cose, il prostituto del genere umano, il ruffiano universale, l’onnipotente, il vincolo di tutti i vincoli. Il denaro media fra tutto e piano piano si sostituisce a tutto ciò che scambia.àIl progetto totalizzante del denaro di scambiare tutto con tutto riesce, ma è impossibile. Nel fondo del denaro c’è qualcosa di assurdo, nel suo potere universale si nasconde un’impossibilità. Per un semplice motivo. Niente si può scambiare con qualcos’altro. Una pera resta una pera e non una mela. Il lavoro resta lavoro e non un mucchietto scarso di denaro con cui non si vive. La realtà è incommensurabile. Niente è equivalente. Figuriamoci le persone. Il fatto che pressoché tutto si possa vendere e comprare in virtù del denaro non significa che sia veramente possibile. Per convertire tutto con tutto, il denaro deve tagliare, dimenticare, astrarre, perdere l’unicità, tradurre la qualità in quantità. Diventare indifferente. Il regno del denaro è senza fondamento.

Nel denaro il massimo del potere coincide con il massimo dell’impotenza. Il denaro può scambiare tutto con tutto, ma non può farlo veramente perché c’è un fondo di resistenza al suo interno. Il potere del denaro deriva dalla conversione totale di ogni qualità – di ogni determinazione, di ogni essere – in una quantità che, alla fine, troverà soltanto nel denaro stesso l’unico oggetto perfettamente adeguato alla logica dello scambio. Non siamo forse abituati a giudicare la qualità di un prodotto, reale o finanziario che sia, semplicemente in virtù del prezzo alto?

Il meccanismo innescato dal denaro parte dalle cose, ma si rivolge infine al denaro stesso. Il denaro dimentica due volte: prima si scorda della qualità delle cose e delle persone per permettere la conversione in denaro (l’economia), poi si scorda anche della quantità (la finanza). Alla fine rimane soltanto la quantità della pura quantità, una possibilità senza nessuna possibilità. Il potere del denaro aumenta insieme alla sua distruzione. È un re senza regno, anche se domina su tutto, un dio che può creare soltanto al contrario: non l’essere, ma il nulla.

La vita precaria

Vi è stata una stagione in cui gli alchimisti cercavano la pietra filosofale, ossia quell’elemento capace di trasformare in oro ogni cosa. L’impulso all’onnipotenza tenta oggi una magia diversa, quella di fare oro con l’oro, il denaro con il denaro stesso. L’essenza del denaro è la negazione di ogni realtà. Il nichilismo abita il denaro. La ricerca del denaro fine a sé stessa, l’accumulo per l’accumulo è fallimentare perché la sua stessa struttura impedisce ogni soddisfazione e ogni godimento. Il denaro vieta di segnare il passo, di sostare nel punto. Si rovescia di continuo, è inaffidabile, si nutre nella smentita: il segno meno deve essere smentito dal segno più, quello più dal segno meno. E il mondo intero vive con angoscia nell’attesa quotidiana dell’oracolo di un segno meno che diventa più, di un più che diventa meno. Ma è tutto falso. Al denaro non importa nulla se la Borsa sale o scende. Importa soltanto che salga e che scenda di continuo, di smentirsi in continuazione. Il regno del denaro è l’impero della smentita perpetua, dell’oscillazione continua.

Il denaro spinge la vita di tutti sul baratro dell’insoddisfazione: panico per un segno negativo che sprofonda nel buio più buio, invidia e rabbia per un segno positivo che non è abbastanza positivo. Non è questione di ordini di grandezza.àIl denaro vive distruggendo, smentendo, rovesciando. Rende insicuri quando il segno è negativo, non soddisfa nemmeno quando diventa finalmente positivo. Ci sarà sempre un di più.

Il denaro vive nella smentita, non esiste senza una contraddizione che si rigira sempre su sé stessa, che si morde continuamente la coda. Il denaro non può e non vuole soddisfare, non offre sicurezza neppure nell’abbondanza: il negativo che è anche positivo, il positivo che rimane negativo. Il denaro è mobilità, scambio, anche dentro sé stesso. Non può offrire sicurezza perché vive nella smentita (che è la propria identità).

Il denaro esiste per rendere insoddisfatti dell’esistenza. L’enorme potere del denaro deriva dalla capacità di proporsi come dio, nascondendo che è fallito in partenza anche quando riesce. Molte delle cose che vengono dette, molte delle politiche, sono perciò menzogna e violenza. Vite distrutte intenzionalmente, coerentemente. Perché il denaro è una fede feroce nella precarietà dell’esistenza.

Alcuni spunti di questa riflessione vengono da: Franco Riva, Come il fuoco. Uomo e denaro, Cittadella, Assisi, 2011.

Franco Riva
docente Università Cattolica del Sacro Cuore
facoltà di lettere e filosofia,
componente la redazione di Madrugada