La scuola, le generazioni e il virus
Tornare all’origine dell’umano.
La scuola è stata colpita dal virus. Un virus che ha colpito le fragilità e le debolezze, i malati cronici, le condizioni di scarsa cura e con poca vitalità.
La scuola, lo sapevamo, non è uguale; anzi: è molto diversa e ne sono state disvelate debolezze, incurie, contraddizioni. Anche inadeguatezza e improprietà. C’è una scuola malata e il virus ha mostrato l’incapacità di respiro di questa scuola: nel momento in cui si è accelerata e si è imposta la necessità della rigenerazione del rapporto tra le generazioni.
Tra scuola e vita, tra adulti e ragazzi, può emergere una nuova profondità nel sentire l’altro; si può toccare il limite nell’esercizio di saperi e poteri, vivere inediti contesti di relazione e di responsabilità. Cercando e provando, nella relazione educativa, le competenze per la vita, per un tempo che somiglia a un esodo. Tempo in cui prevalgono l’incertezza e l’ansia, il cammino e la ricerca, il disorientamento e il rancore, il pluralismo e gli arcipelaghi di senso. La consumazione d’un tempo e il senso dell’aperto riportano in piccoli spazi, soffocano il legame a una promessa.
Nell’esodo è come se si dovesse tornare a ciò che origina l’umano: l’incontro, il valore delle scelte, la capacità di relazione, la forza di un patto.
In esodo si cammina se si riconquista il senso del futuro e della promessa, la diversità fraterna e la dignità di ognuno, la ricostruzione continua di equilibri e legami.
Le nostre comunità e i rapporti tra donne e uomini, tra adulti e ragazzi si trovano ‘all’aperto’, esposti ai movimenti dei ‘fondi oscuri’ che ogni persona porta in sé e che possono scatenarsi nei movimenti dei gruppi e delle convivenze. Ma all’aperto si evidenziano pure le possibili, profonde e forti ritessiture della vita e della sollecitudine da parte di donne e uomini buoni e giusti. Si evidenzia la resistenza delle fedi e delle speranze, delle fedeltà e delle cure reciproche. Anche tra le generazioni. In esodo si può e si deve riscoprire il senso del vivere insieme, e si possono riscoprire e praticare i gesti della veglia reciproca, della reciproca correzione e riconciliazione.
E servono, come l’aria, luoghi riflessivi. Luoghi nei quali si possono trovare rappresentate, anzi si possono incontrare, le sfide e le dinamiche contraddittorie che attraversano le comunità e i territori stessi, le persone e le famiglie, le culture e le istituzioni. Ritrovandovi le ansie e le angosce e anche gli slanci e le responsabilità, i rancori e le freddezze e anche i desideri e le intelligenze generose, che in quelle ambivalenze (svelate) abitano e si muovono.
Quel ‘fondo’ mosso e scosso.
La relazione educativa è, sempre, fiducia e rischio: è esperienza di affidamento e di esposizione, di attesa e di prova. Queste dimensioni sono diventate ‘sensibili’ durate la pandemia.
Sensibili e difficili. Ci si è trovati a essere presenti alla vita degli altri con attenzione e un senso di responsabilità, nuovi: offrire il proprio lavoro, la propria prossimità, è stato scoprirsi e scoprirne il senso e il valore. Vivendo anche movimenti di presa di distanza, di sottrazione. A volte di vera e propria defezione.
Atti di coscienza, stili di vita, orientamenti di futuro… entrano con la forza della loro interrogazione nei patrimoni culturali, nei saperi, e nelle relazioni tra le generazioni. Il ‘fondo’ (così lo chiama Maria Zambrano in L’agonia dell’Europa) mosso e scosso dalla pandemia nelle persone, nei giovanissimi, ci ha svelati portatori di paure, sospetti, rancori e forme distruttive (anche autodistruttive), oltre che di bisogno di credere, slancio fraterno, dedizione e generatività.
Scuola ed educazione sono chiamate con forza a sentire, a ‘mettere in parola’ e narrazione, a offrire lettura e orientamenti di senso e orizzonte a questo ‘fondo’. Potremmo anche parlare della necessità di pulire il futuro delle generazioni giovani attraverso un’opera di ‘sminamento’ delle coscienze, e del pensiero. Quanti adulti non si sono sottratti, quanti ne sono e ne saranno consapevoli?
Una scuola rivelata.
La didattica a distanza ha ‘messo a nudo’ la scuola. A più livelli. In primo luogo ha mostrato quale e quanta scuola si è preoccupata di restare presente e significativa nelle vite e nelle storie dei minori e degli adolescenti. Sentendo responsabilità, cura, attenzione. In secondo luogo la scuola è entrata nei tempi e negli spazi (nelle case) di vita degli allievi: è diventata visibile, si è mostrata e proposta sotto gli occhi di allievi e familiari. A volte restando densamente impermeabile e cieca nella sua autoreferenzialità, a volte proponendosi come luogo di riflessione, ricerca, co-formazione, ‘utilizzando’ discipline e linguaggi per leggere ed elaborare quanto la vita ‘imponeva’. In terzo luogo la distanza ha chiesto attenzione, una a una, per le condizioni e le storie di allieve e allievi, oltre le generiche retoriche inclusive. Ha chiesto alleanze sensibili con famiglie così diverse, diversamente attrezzate, e diversamente provate.
Si sono così rivelate con chiarezza le relazioni interne ai collegi dei docenti e ai consigli di classe: il loro essere realmente ‘équipe’ di adulti professionisti impegnati in un progetto formativo; la condivisone di una cultura della scuola; la cura e l’interesse per lo scambio, il confronto, il richiamo collaborativo reciproco.
Al di là di ritardi, parzialità e defezioni (molto diffuse), la percezione di moltissime famiglie è stata quella di trovarsi di fronte a iniziative responsabili, anche lodevoli, di singoli docenti e solo raramente di équipes di docenti. O di intere scuole. Solo alcune scuole ‘a distanza’ sono diventate reti riflessive, di supporto reciproco, di cura, tra ragazzi e tra famiglie. Luoghi comunicativi e di presenza reciproca, di richiamo e attenzione a chi era più distante e ai margini (tecnologici e sociali).
Reti comunicative, reti di memorie, reti di cura delle preoccupazioni per il futuro. Una scuola media poco distante da Bergamo ha attivato una rete di ‘vicinanze’ telefoniche quotidiane ad anziani soli e famiglie fragili del paese. Mentre ‘anticipava’ lo studio degli anni della Ricostruzione in Italia ed Europa, lo studio delle epidemie nell’età moderna, la questione ecologica e i diritti intergenerazionali.
Ridisegnare la conoscenza.
Certamente, a distanza e nella pandemia l’esperienza della conoscenza si è (si deve) ridisegnare e non solo perché il conoscere come (solo) operare una presa di controllo conoscitivo e tecnico sul mondo è passato nel fuoco della crisi risultando demitizzato. Riemergendo come luogo di confronto con il limite e come luogo di posizionamento in responsabilità.
Conoscere è domanda e coglimento, coltivazione del senso, del riguardo, del mistero, conoscere è umiltà di un pensiero che osa cercare, e lo fa senza presunzione e rigidità. Conoscere (nella fatica, nel riguardo cui la distanza conduce, nella prova…) soprattutto è (ri)diventato co-naissance, esperienza di co-nascita, tra adulti e minori, e tra loro e la realtà, il mondo.
Potremmo sottoscrivere quanto sostiene l’allievo di Paul Ricoeur, Philippe Secretan: «Il senso è la relazione di co-nascita/conoscenza (co-naissance) attraverso la quale il mondo diventa umano e l’essere umano familiare con il mondo». Per via formativa e co-formativa, che è via pratica di esercizio di convivialità, si apprende l’umano, e la nonviolenza. La riflessione e la testimonianza crescono e si rinforzano reciprocamente, in una esposizione e in un dono reciproco tra donne e uomini, tra generazioni. Anche grazie alla riflessione che non è introspezione, né appropriazione dell’oggetto.
Trovare l’attenzione e promettere la vita buona e giusta.
Se è così insegnare, allora al suo cuore si colloca l’attenzione weiliana. Attenzione che è, da un lato, rispetto e riconoscimento, riguardo per ciò che nasce ed è atteso e ciò che geme e, dall’altro, è cura, presenza sollecita, indicazione e invio esigente.
Insegnanti, donne e uomini adulti, devono certo declinare le loro competenze disciplinari e didattiche (non farne il loro rifugio, il loro riparo), e devono mostrare facendolo la loro cura del futuro di altri (cui parteciperanno solo per un tratto), la promessa che serbano, anche nei ‘patrimoni’ che consegnano, per chi cresce e si avvia. Promessa di una vita buona e giusta, che vale la pena, impegno per un a-venire, lascito tra generazioni.
È chiaro che la relazione tra generazioni che a scuola si stabilisce, e che si è dovuta ridisegnare, non riguarda solo le tecniche informatiche e comunicative! Queste possono ben rappresentare un efficace rifugio nel didatticismo, e una soglia duramente ed ‘efficacemente’ selettiva, e deresponsabilizzante. Ritrovare nelle tecnologie, nelle loro potenzialità e nei loro limiti una via per ‘tenersi in contatto’, per affinare attenzioni e linguaggi, le può fare invece ‘riscoprire’ criticamente. Ma è la presenza che va ricercata: la scuola telematica non è scuola (come non lo è l’università…).
La scuola, scrive l’ottimo Fulvio De Giorgi, si costruisce attorno a ‘diritti pedagogici’: quello all’attivazione, all’osservazione, alla partecipazione; quello alla maturazione, alla ri-motivazione, alla valorizzazione delle potenzialità e al sostegno interattivo nelle difficoltà; quello alla capacità cooperativa, al senso critico, all’esperienza di dialogo e di ricerca; quello all’esercizio di responsabilità, di servizio, di progettazione.
Occorrerà ri-praticare tutto questo, in presenza responsabile, e in distanza; con esposizioni condivise e sensate. Nei luoghi diversi d’una scuola più diffusa nella comunità e nei suoi tempi, nei suoi vissuti concreti, collegati al mondo.
Le modalità virtuali potranno restare come integrative anche nei mesi a venire.
Ma servirà una rinnovata, o nuova, alleanza tra adulti.
Ivo Lizzola docente di pedagogia presso il dipartimento di scienze umane e sociali, università di Bergamo e formatore in ambito scolastico ed educativo