La filosofia dell’etica ci salverà
Dialogo tra Gian Luca de Gennaro e Arturo Paoli
G.L. De Gennaro: Tu parli dello spirito che anima la tradizione filosofica e teologica dell’Occidente, quello del cogito ergo sum, del «penso dunque sono», e sostieni che è da questo modo sbagliato d’impostare il discorso filosofico che discende l’ideologia del mercato. Ma questa filosofia riuscirà a trovare una strada per recuperare sé stessa? Dobbiamo pur salvare qualcosa di quello che è lo «spirito critico» di questa tradizione di pensiero che è la filosofia dell’Occidente, non credi? Non sei tu a dire che, paradossalmente, sono i filosofi più dei religiosi quelli che oggi sono in grado d’indicare una via d’uscita?
A. Paoli: Questo è effettivamente curioso, perché da tale smarrimento del senso della realtà, i primi a convertirsi (e questa è la nostra speranza, lo voglio sottolineare con forza) e a capire che siamo «noi in quanto pensatori» all’origine di questo travisamento, sono gli intellettuali. La ragione per la quale Husserl e Heidegger cambiano rotta è perché non possono più perdere tempo a formare questi sistemi magnifici che ci danno una visione teoretica dei problemi, ma smarriscono il concreto della realtà. Essere e tempo di Heidegger e l’indirizzo fenomenologico di Husserl credo nascano da questa intenzione di recuperare il senso concreto del fare filosofia. I grandi problemi dell’uomo messi in cifre e assemblati organicamente non risolvono le grandi sofferenze umane.
Secondo me, una delle grandi profezie è quella di Lévinas, che parla di morte della filosofia. È questo il fatto più importante, anche per le conseguenze che avrà nel nostro tempo. Ma parlare di morte della filosofia non significa invitare l’uomo a smettere di pensare, ma esattamente il contrario: fare in modo, cioè, che cominci a pensare in maniera nuova. Insomma, si dovrà smettere di pensare astrattamente e ideologicamente, senza più partire dalle idee e dai sommi princìpi o dalla ricerca degli assoluti. Quando affermo che la nostra speranza nasce dalla filosofia, è perché vedo molti pensatori, anche italiani, che si sforzano di concentrarsi sul comportamento umano: l’uomo concreto con i piedi sulla terra. Questi filosofi si chiedono: «Chi è l’uomo? È forse un individuo?». «Evidentemente no» – è la risposta. Per la filosofia oggi l’uomo è alterità, è comunità. È molto belloàvedere come tali pensatori mettano in luce il fatto che la persona nasce e cresce in un complesso comunitario. Emergono così i temi dell’etica della responsabilità, del volto e dell’amore politico. Da queste domande e da queste indagini concrete nasce una visione nuova: in sostanza il filosofo oggi si sta avvicinando all’etica, che è cosa diversa dalla legge. Il comportamento etico è quello che guida tutte le relazioni del nostro vivere e dell’esistere, quello che ci fa scoprire le nostre vere relazioni e responsabilità. Oggi, grazie a questi nuovi orientamenti della filosofia, ci stiamo accorgendo che l’uomo non è un individuo, una monade isolata tra altre monadi. Stiamo capendo meglio la ragione per cui «noi» siamo stati capaci dell’Olocausto e saremo capaci di crudeltà ancora più grandi. Questi orrori non sono altro che la conseguenza del sentirci sempre come i primi arrivati al mondo; ognuno di noi si sente «l’unico», dimenticandosi di essere, nella lunga catena dell’esistenza, una piccolissima parte, un piccolissimo anello di questo flusso che è la vita. E allora nessuno può considerarsi padrone della propria esistenza e quindi legittimato a fare della sua vita quello che vuole. In fondo, le idee che hanno rovinato la nostra cultura occidentale sono quelle per le quali «io posso decidere quello che voglio» e quindi, per riflesso, «posso usare la mia proprietà come voglio» per il semplice fatto che è mia. Nasce da questo assunto la crisi e la proclamazione del fallimento totale, assoluto, radicale del cristianesimo in Occidente. Non solo non siamo guidati da princìpi cristiani, anche se abbiamo il Crocifisso nelle scuole e nei tribunali, ma la nostra società è prettamente e rigorosamente atea e pagana, perché il mercato è l’espressione più esatta dell’ateismo. Capisci? È questo l’aspetto sul quale i cristiani si sarebbero dovuti concentrare. Smascherare l’unico vero idolo del nostro secolo: il mercato. Ed è chiaro che il mercato sia un idolo, perché non tiene conto nella maniera più assoluta dei sacrifici e della distruzione umana. La cosa drammatica è che noi, che viviamo in questa parte dell’Occidente cristiano, non abbiamo la benché minima percezione di tale idolatria dilagante e onnipervasiva. Andiamo allegramente al supermercato e non sappiamo più distinguere i nostri bisogni reali da quelli che ci vengono imposti dalla propaganda pubblicitariaàe dalla televisione. L’industria pubblicitaria ci ha inculcato questi bisogni in maniera subdola e ce li ripropone ogni giorno in modo più pressante.
G.L. De Gennaro: È arrivato il tempo di dare un contributo decisivo per segnare un solco tra l’umanità che noi vogliamo rappresentare e questa idolatria che ormai traballa ed è in crisi. C’è bisogno di un duplice lavoro, a mio avviso: da una parte un’analisi sempre più precisa dei motivi dell’insostenibilità di ciò che predica il «dio denaro» e, dall’altra, il coraggio di una parola profetica che inviti a rompere con i simboli proposti dall’idolo. Insomma, alla filosofia è ora di affiancare la profezia. Perché solo la profezia può dare forza al pensiero filosofico.
A. Paoli: Basterebbe accorgersi dell’assurdità del nostro vivere quotidiano, del meccanismo consumistico e del suo funzionamento, che ci induce a pensare di non poter più vivere senza soddisfare certi bisogni. Io che ho vissuto tanti anni mi rendo conto di quanto siano poche le cose necessarie per la vita umana, capisco che questo sistema di pensiero ti priva della felicità di vivere perché ti toglie l’autonomia. Ogni giorno l’uomo perde un po’ di autonomia e di libertà, perché è drammaticamente indotto a consumare di più. E sembra davvero che la tragedia non debba avere fine. Bisogna insistere sulla coscienza, ricordando che l’uomo, consumando per sé stesso, diventa sempre più responsabile della morte di altri perchéàli condanna a non avere il necessario per vivere. Oggi, ricordiamocelo sempre, l’economia uccide molte più persone delle armi: ed è per questo che dobbiamo iniziare a riflettere. Non possiamo più permetterci di essere superficiali.
Ciascuno di noi pacificamente, vorrei dire gaudiosamente, entra nei supermercati, guarda gli oggetti, soddisfa le proprie voglie e si lascia trascinare da quei ritornelli così infantili: «Guarda che bello questo nuovo telefonino, ieri non c’era», oppure «Ma guarda che bello, che comodo, che pratico!». E ancora: «Che meraviglia questo arnese che ci permette, premendo questo tasto, di raggiungere in un minuto quello che i nostri nonni raggiungevano in due giorni». Sono davvero queste le espressioni del vuoto e della superficialità, le espressioni della mentalità comune, una mentalità sapientemente e astutamente costruita e indotta. È necessario reagire.
Gian Luca de Gennaro e Arturo Paoli
Conversazione tratta da G.L. De Gennaro-A. Paoli, Il dio denaro, L’Altrapagina, Città di Castello, pagg. 23-27.
Gian Luca De Gennaro
collaboratore di Ore Undici e
de l’altrapagina
Arturo Paoli
Piccolo fratello del Vangelo,
ha vissuto per molti anni in Brasile