Interviste a colleghi e studenti

di Ricciardi Veronica

Scuola e politica negli anni ’70 erano intimamente collegate ma Langer, nonostante la sua notissima militanza in Lotta Continua, si impegnava a non fare mai attività che potevano essere confuse con il proselitismo; il suo rapporto con studenti e docenti era un rapporto di tipo personale, educativo, formativo, era un rapporto prima di tutto di tipo umano anche se, ovviamente, aveva poi risvolti di riflessione culturale e di impegno politico, ma un impegno politico di responsabilità e di coscienza. In quegli anni essere politicamente impegnati era assolutamente normale, in ogni categoria sociale, anche se l’impegno politico di Langer emergeva fra gli altri e lo rendeva un costante punto di riferimento per tutti.
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Alexander Langer, rendendosi conto della situazione della scuola italiana, che era per nulla attrezzata per reggere l’impatto con le grandi masse di allievi che stavano arrivando, è sempre stato a fianco degli studenti e li ha sempre incoraggiati nelle loro battaglie. Da tutte le testimonianze raccolte emerge infatti che Alexander Langer era sempre pronto a manifestare al fianco degli studenti, a essere per loro una sorta di «compagno più grande», ad assecondarli, seguirli e proteggerli nelle loro contestazioni: «Nelle manifestazioni era sempre presente, ed era anche sempre dalla parte della vittima, mi ricordo in una manifestazione, stavamo verso il centro di Roma, fu colpito un poliziotto, e il primo istinto di Alex fu quello di andare ad aiutare il poliziotto immediatamente; eppure, allora specialmente, negli anni ’70, i poliziotti venivano visti come nemici. Ma Alex insegnava che il primo atto va fatto nei confronti comunque della vittima, sempre, e questa posizione, penso, lo ha portato poi alla sua tragica conclusione di vita» (Dario De Luca).
Per questo Dario De Luca riconosce proprio nella dialettica fra il sé e l’altro il grande nucleo del suo insegnamento: «Conoscere l’altro e conoscere sé stesso: in questo rapporto la costruzione della mente diventa sempre più ampia, sempre più elastica, sempre più profonda; i problemi dovevano essere affrontati con una capacità di soluzione che derivava dal saper vedere ogni risvolto del problema stesso, senza affidarsi a uno schema risolutivo precostituito. Il suo insegnamento probabilmente riuscì ad avere grande peso proprio per questo motivo, cioè non offriva schemi ideologici, non offriva soluzioni precotte, sia pure soltanto nello schema, ma cercava di dare soprattutto il metodo per affrontare il problema, indipendentemente dalle soluzioni, e la via d’uscita diventava, quindi, la capacità di accostarsi e di assumere l’identità dell’altro, in sostanza mettersi dal punto di vista opposto al proprio per poter affrontare qualsiasi problema. Questo è stato il suo insegnamento, per questo poi Alex ebbe un grande seguito, e una grande disponibilità a stare con gli altri, per noi, anche per noi colleghi, fu un punto di riferimento forte» (Dario De Luca).
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Alexander Langer aveva uno stile di insegnamento poco tradizionale, decisamente dialogico, mai autoritario ed era un docente completamente al servizio degli allievi, sempre pronto a seguire le loro inclinazioni, senza mai interferire: «Lui, sì, ci assecondava, ma non ci ha mai detto o suggerito cosa dovessimo fare… come al solito lui «fiancheggiava», nel senso che se tu eri intenzionato a fare qualcosa, lui ti stava a sentire, al limite cercava di non farti fare proprio la cosa più sconsiderata, però non ti diceva mai che non la dovevi fare,… che così non si fa,… no, non lo diceva mai; se devo «rimproverargli» una cosa è questa, che non era mai lui a farti decidere una cosa perché lui era convinto che fosse quella giusta, no, lui non te la faceva fare mai per forza, o per lo meno io non mi sono mai trovato in una situazione di questo genere. Anche quando si decidevano le assemblee, lui veniva, partecipava, ma non era mai lui che la organizzava, forse questo era anche un suo modo di «andare con i piedi di piombo». Probabilmente perché veniva da fuori e magari non voleva sembrare il capopopolo… poi ci stava, poi stava là nelle iniziative, alle assemblee stava lì, ma non ha mai detto «Fate un’assemblea per…»! Non si è mai posto in questo modo, e forse in questo faceva bene. Si muoveva «tra le pieghe»: ecco questo suo comportamento «aperto», a volte risultava «ambiguo»» (Raffaele Capoano).
Egli non amava l’impostazione tradizionale e convenzionale dell’insegnamento scolastico e gli aspetti burocratici come le verifiche, le interrogazioni e i compiti in classe: «Questo aspetto, chiamiamolo burocratico […] sicuramente ad Alex non piaceva, quindi lui forse metteva i voti a seconda di come i ragazzi parlavano in classe, a seconda di che cosa lui sentiva da loro, ma non credo attraverso interrogazioni strutturate. E poi certamente lui era anche molto indulgente con gli studenti che non studiavano, probabilmente perché gli interessava soprattutto che questi ragazzi ascoltassero, capissero e cercassero di elaborare quello che lui diceva nelle lezioni, alle quali gli studenti partecipavano volentieri; lui non faceva la lezione ex cathedra e i ragazzi non stavano lì ad ascoltare e basta, lui cercava di farli parlare, di farli partecipare» (Giuliana Cuciniello).
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Dario De Luca ricorda poi Alexander Langer durante il collegio dei docenti: «Nel collegio dei docenti noi ci incontravamo per discutere i problemi dei programmi didattici, dei tentativi di sperimentazione didattica che riuscivamo a introdurre e Alex si dimostrava sempre pronto alla battaglia per il rinnovamento dei contenuti, in maniera molto forte, chiedeva, pretendeva anche un impegno di lavoro attento e approfondito, anche se poi era molto aperto e molto tollerante; sulla programmazione didattica era molto elastico, e questo io la condividevo, nel senso che uno studente può essere formato senza offrire obbligatoriamente una preselezione dei contenuti. L’idea era che lavorando su qualsiasi contenuto, anche su contenuti paradossalmente reazionari, si poteva raggiungere la visione, umanistica in questo caso, di rinnovamento profondo.
Lavorando in questo modo la sua ideologia finiva con il negare e annullare qualsiasi ideologia, arrivando ad accettare altri contenuti e altri punti di vista, non strumentalmente e formalmente; non era sofistica (faccio finta di mettermi dal tuo punto di vista oppure mi colloco nella tua posizione per vedere i punti deboli della tua posizione e smantellarla), no, assumere il punto di vista dell’altro significava assumerne i contenuti e, attraverso l’analisi dei contenuti, arrivare a una soluzione di superamento del contrasto, perché poi l’obiettivo finale era il superamento della divisione e della separazione, ricostruendo l’uomo nella sua integrità.
L’accettazione dell’altro per quello che è, con tutte le sue caratteristiche, lo portava, didatticamente, ad avere una tolleranza massima nei confronti dei ragazzi, riuscendo poi a far emergere comunque ogni elemento positivo e a far acquisire coscienza ai ragazzi dell’elemento positivo che avevano raggiunto. La sua non era mai una valutazione formale, un «non sai la lezione del giorno e io ti metto 4», no, era un continuo processo per fare arrivare gli studenti ad acquisire consapevolezza profonda della dimensione umana […]. Non aveva assolutamente vocazione selettiva, appoggiava qualsiasi iniziativa tendente alla riqualificazione dell’attività didattica, era contro il burocratismo, contro i registri, per esempio sui libri di testo, faceva battaglia per non adottarli, per lasciare libertà di lavoro al docente» (Dario De Luca).
Tutte le persone intervistate conservano un ricordo bello e importante di lui, un grande rammarico per la sua morte, un po’ di malinconia per non aver appreso da lui tutto quello che si poteva apprendere.

Estratto da Veronica Riccardi, Costruire la cultura della convivenza.
Alexander Langer educatore, Franco Angeli, Milano, 2016.
Veronica Riccardi cattedra di pedagogia interculturale, università degli studi Roma Tre.