Indipendente di sinistra e libero religioso
Presenza nascosta e vitale nella storia del pensiero e dell’azione di una sinistra minoritaria piuttosto lontana dalla tradizione marxista (ma con un’insistenza perfino più forte di quella dei marxisti sulla necessità del socialismo, pena la barbarie), presenza nascosta e vitale nella storia del pensiero religioso italiano, di recente la figura di Aldo Capitini (Perugia 1899-1968) è uscita dall’ombra in cui la cultura ufficiale l’ha a lungo costretta e ha dimostrato l’attualità delle sue indicazioni, positive e attive dentro una società (un mondo) di confuso presente e di incerto futuro. Sono crollati i miti e i poteri del secolo di cui Capitini ha visto e subìto due guerre mondiali, turbandosi per Verdun e il Piave, per Auschwitz e Hiroshima, ma non erano ancora crollate, quando morì, le grandi speranze del secondo dopoguerra, decolonizzazione e democrazia. Era il ’68 e uno dei suoi ultimi scritti fu di fiducia nei giovani e nelle loro lotte, purché assembleari e nonviolente.
Capitini ha ragionato sul suo presente in modi che lo oltrepassassero, e che per questo parlano forse con più chiarezza a noi oggi che non ai suoi contemporanei, a noi ieri. Filosofo e ‘persuaso’, non ha mai disgiunto i doveri della riflessione da quelli dell’azione che necessariamente doveva conseguirne, e si è fatto militante dei valori a partire dalla constatazione del dolore del mondo e dei limiti dell’umana condizione. Non a caso si fece propugnatore e animatore, dopo il 1945, di due iniziative esemplari: i Cos, centri di orientamento sociale che proponevano un modello di democrazia diretta, dal basso, comunitaria, e che ebbero vita in molte città dell’Italia centrale con assemblee di piazza prima del consolidamento delle nuove forze politiche postresistenziali, e i Cor, centri di orientamento religioso di assiduo ma limitato incontro di fedi e convinzioni al confronto con i problemi ultimi e fondamentali.
Tutto il suo lavoro ha avuto due fronti, mai disgiunti tra loro – si pensi alle Marce della pace e al loro significato, nei primi anni sessanta, sia direttamente politico sia radicalmente religioso – che rispondevano a una comune esigenza di modificazione della realtà. Il pesce grande mangerà sempre il piccolo, ci saranno sempre guerre e violenze, e ci sarà sempre la malattia, ci sarà la morte, ma a una realtà di questo tipo bisogna ribellarsi, una realtà di questo tipo non va accettata, e occorre dunque lavorare per un’altra realtà. Di solidarietà tra le creature – uomini, animali, piante -, di ‘compresenza’ dei morti e dei viventi, di posto e riscatto degli umili, di apertura e di continua e pressante ‘aggiunta’ religiosa all’intervento nella concretezza della storia: stare nel presente ben saldi ma operando per abbatterne le barriere fisiche e metafisiche, per proseguire l’opera della creazione, per affermare una realtà liberata. Radicata fortemente nel tempo e nel luogo, nelle condizioni oggettive della storia, questa visione le sovrasta in quanto operante per un altro tempo, costruzione di una religione attiva che superi la chiusura delle religioni esistenti.
Del pensiero di Capitini colpivano l’estrema chiarezza e concretezza nella visione dei problemi del suo tempo, colpiva la lucidità del giudizio ma insieme la radicale apertura verso un altro tempo e un oltre, lo stare nell’oggi apprezzandone il bello e rifiutandone l’ingiusto, cercando i modi di rendere più vicina, vivendola da subito – nell’incessante precisione dell’azione, fini e mezzi mai disgiunti secondo l’appassionata lezione gandhiana e nonviolenta – la dimensione religiosa: l’apertura.
Goffredo Fofi saggista, attivista, giornalista,
critico cinematografico, letterario e teatrale,
direttore della rivista mensile Lo straniero