Il vaticinio dell’obbedienza
Qual è il vaticinio di Socrate? Che ci sarà per i suoi accusatori una retribuzione peggiore della pena a lui imputata. Che questa retribuzione giungerà da quelli che «Socrate tratteneva», tanto più duri quanto più giovani. Il vaticinio di Socrate è la predizione di un giudizio. Esso tuttavia cela un non-detto, una premessa implicita che sfugge all’orecchio distratto e che del vaticinio stesso costituisce il cuore.
Ciò che rimane celato è il movente del giudizio, la causa che spingerà quelli che Socrate tratteneva a esporsi contro i suoi accusatori. Per Socrate, per l’uomo, il tafano e il sapiente di quella «sapienza umana» che lo ha portato alla morte, la causa non può essere che l’obbedienza al dio.
La stessa che Simone Weil avrebbe definito il «sì incondizionato che si pronuncia nel più profondo dell’anima», nella sua parte soprannaturale, quella capace di attenzione pura alla volontà divina. «Per noi essere liberi non è altro che desiderare di obbedire a Dio» aggiunge, rievocando – e reinterpretando – quella socratica «liberazione bellissima e facilissima» che si trova nel preparare sé stessi per essere quanto possibile eccellenti.
Il vaticinio di Socrate è la predizione che ci saranno uomini dopo di lui che come lui obbediranno al dio.
Potrà avverarsi? Lo si deve ammettere, in quanto vaticinio. Confidando fino ad allora nella speranza che ogni predizione non realizzata non sia non avverabile ma solo non ancora avverata. Si tratta di attendere. E forse già in questa attesa giace a sua volta l’obbedienza.
Pietro Tondello
assistente scientifico al museo diocesano di Freising,
studente di storia dell’arte all’università di Monaco di Baviera