Il senso dei sensi
Negli ultimi anni è tutto un parlare della pervasività di internet, della sua indubbia utilità e dei suoi pericoli, non solo per la sua invasione nella nostra sfera privata, della nostra dipendenza per i risvolti di pubblico servizio (dai biglietti del treno, alle notizie, alla dichiarazione dei redditi, ai compiti a casa dei nostri figli). Ormai se abbiamo bisogno di una qualsiasi informazione, il gesto naturale, prima ancora di cercare di ricordare o dedurre qualcosa, è quello di accendere il computer. Dal gioco alla ricerca di persone, di conoscenze generiche o di saperi specifici, internet ci assorbe totalmente. È un bene o è un male? A gioco lungo, questa facility è per l’individuo un segno della sua libertà di essere nel sistema o lo rende un dipendente?
Tra quantità e qualità del sapere, sommersi
Ogni cosa ha un prezzo. Lo strumento internet, anche quando gratuito, si fa pagare. Ci aiuta, ma al contempo ci ruba qualcosa. Ci si chiede: ma poi noi saremo migliori? Impareremo di più? E se così, di quale sapere stiamo parlando? Sicuramente internet ha distrutto il sapere enciclopedico cartaceo. Ormai nessuno parla della Treccani o dell’Enciclopedia Britannica come strumenti indispensabili per la conoscenza. Quindi diremo che, in termini di quantità di saperi, internet è imbattibile. Ma la qualità? La qualità, intesa come ordine delle cose, di priorità gerarchica dei saperi, gli fa indubbiamente difetto.
Come si sa in internet si trova tutto e il contrario di tutto. Tuttavia questo aspetto non è precipuo di internet. Oggi qualsiasi giornale, qualsiasi prodotto editoriale, qualsiasi canale informativo è così. Anche nei lavori di medicina, ad esempio, troviamo articoli che documentano esperimenti che si contraddicono, tanto da non riuscire a capire cosa è vero da cosa è falso. La prudenza di ogni buon medico aggiornato, che realizza la sua professione con vocazione, lo induce ad aspettare che ogni dato, ogni esito, abbia una sedimentazione, una emergenza di qualità che permetta di distinguere il vero dal falso.
Tutto questo non è certo colpa di internet. L’uomo moderno, e quello tecnologico in particolare, ha abbandonato Prometeo, non gli interessa più strappare al dio creatore un brandello di sapere e collocarlo in un sistema ordinato da trasmettere ai suoi simili. Il nuovo nume è Dioniso, scomposto rutilante, senza gerarchia, senza priorità, un immenso melting pot di sapere, conoscenze, tentazioni, anonimato apparente, condizionamento persuasivo nell’esaltazione di un’individualità senza relazione, o meglio, con una relazione virtuale: un uomo cieco a un computer che vede per lui, che lo fa godere, che lo fa deprimere, che gli permette di vivere virtualmente quanto non osa realizzare nella relazione con gli altri, sogni onirici di potenza, di lati oscuri in cui ciascuno nell’apparente anonimato dà sfogo a frustrazioni, a illusioni.
Una scelta possibile? Non chiederlo a Dioniso
È questo l’uomo di domani? Sì, è già questo. Anche se non ne abbiamo consapevolezza. Molti si oppongono e cercano di demonizzare, analizzare, soppesare, valutare internet con lo stesso metro con cui per millenni si sono valutate le cose e il metodo dell’apprendere. Con il risultato di pontificare che internet manca di senso. È l’atteggiamento di chi valuta e giudica le cose dall’esterno, come isolato monaco medioevale, custode dei saperi, elargitore per grazia ricevuta del sapere ordinato, finalizzato allo scopo di una filiera produttiva tesa come una freccia. Inutile cercare il senso in internet. Dioniso non cerca il senso, né ha la pretesa di darlo. Dioniso dice «eccomi, ho per te ogni cosa di cui tu hai bisogno, ma non chiedermi di scegliere per te, sei libero, tu sei l’attore e io il tuo servitore». Quindi oggi possiamo avere le conoscenze che in passato erano raggiunte faticosamente in biblioteche sacre e mitiche, luoghi di culto per addetti, bandite ai comuni e ai neofiti. Oggi abbiamo tutto, subito, ma non abbiamo globalmente la chiave per capire il vero dal falso, per scegliere ciò che è importante da ciò che è inutile. È questo tipo di forma mentale che ancora manca, che ancora ci pone in svantaggio. Non sappiamo scegliere e, se scegliamo, lo facciamo senza la veraàlibertà, ma seguiamo il gregge. Appena qualcuno alza la testa per annusare l’aria, per vedere l’orizzonte, per capire la traccia del cammino secondo le stelle e il cuore che ti spinge al cammino, subito ti danno in mano un navigatore che ti dice non usare la bussola interiore: segui me. E noi come Pinocchio seguiamo il gatto e la volpe.
Dai motori del web: condizionati in parte
Al comune internauta è davvero concesso scegliere, o la sua scelta è guidata, sottilmente manipolata, sottilmente condotta là dove un potere forte vuole che lui sia?
Sarebbe bello che si avesse il diritto di accesso al web, non per farsi tracciare il profilo da Google, ma per avere un approccio libero e senza restrizioni all’informazione, alle opinioni e alla formazione culturale. I nostri governanti (mi riferisco ai lavori del G8 sui nuovi media dell’estate del 2011) organizzano un summit per parlare delle nuove frontiere dell’informazione prescindendo dall’utente e chiamano a chiarire gli esperti (che magari non hanno mai fatto un biglietto ferroviario su internet perché hanno la segretaria): un nerd1 e un amministratore delegato scafati che vogliono continuare a fare i miliardi. Viene da pensare che se il nostro «diritto», ovvero il nostro grado di libertà, si riduce a vedere in gmail la pubblicità di prodotti in qualche modo legati al contenuto delle nostre mail, e se questa è la nuova civiltà, preferiremmo rimanere barbari.
Dunque se internet fosse solo ed effettivamente governato da Dioniso, il suo caos, il suo continuo rimestio, potrebbe effettivamente permettere a noi di esercitare democraticamente libere scelte. Purtroppo non è vero, il prezzo dell’accesso al server del sapere planetario è la perdita di un po’ di individualità, di privacy. Una perdita apparentemente minima, rispetto al beneficio, ma una perdita significativa sul piano della qualità e dei principi. Sarebbe come dire: «Entra nel nostro supermercato e prendi dagli scaffali tutto quello che vuoi, gratuitamente o con il 2×3, ma lasciami guardare nel tuo secchio dell’immondizia. In fin dei conti cosa te ne fai, è roba che butti!». Ma è in quel secchio che il grande fratello troverà i nostri talenti e i nostri vizi, le nostre malattie, le nostre tentazioni. E così orienterà meglio ciò di cui ho «bisogno», quel che cerco e non ho il coraggio di dire, quel che mi permette di annegareànel non senso dell’immenso mare virtuale. Avrai tutto questo come Pinocchio, ma sarai cieco, senza odore, senza tatto, senza gusto, senza voce, ma che importa di fronte al grande slam che con noi vivrai, con il tuo carrello virtuale potrai spaziare ovunque, usarmi come meglio credi, essere libero sempre di acquistare l’ultimo software, l’ultimo hardware, scaricare l’ultima app e, possedendo l’ultimo download, avrai il tuo orgasmo.
In parte no! I nostri sensi ci salveranno
Eppure, non sarà così, a internet manca ancora qualcosa, per fortuna. Al computer manca il senso dei sensi. L’uomo ha elaborato nel corso dei millenni un sofisticato macchinario percettivo e il modo in cui riceve, seleziona, trasmette e integra gli stimoli sensoriali, in un processo che va dai recettori cellulari fino al cervello, è ancora insuperabile. Nel caos di Dioniso, nel disordine e nell’ambiente multitasking il computer può scegliere solo replicando modelli noti, prefissati. Il computer anche più evoluto non supera il test di Turing, può dire quanti amici ho, ma non può dire perché. I computer hanno raggiunto una capacità di analisi straordinaria, di gran lunga superiore a quella degli esseri umani in specifici compiti. Ma l’evoluzione ci ha fornito di sensi che ci permettono di percepire l’ambiente che ci circonda in un batter d’occhio e, senza all’apparenza fare nessun calcolo, la capacità di reagire agli eventi secondo le esigenze. Se vedo un bambino annegare, io mi tuffo. Il computer nel soppesare i pro e i contro di questa azione illogica mi rimanderebbe una schermata azzurra e mi direbbe «per motivi imprevisti il sistema è andato in crash».
I sensi dunque ci salveranno? Sì, è così. Ogni computer, ogni rete web, ogni motore di ricerca, ogni apparato industriale o commerciale, ha bisogno di innovare a una velocità crescente. Ha bisogno di guru (umani, umanissimi) che ribaltino il paradigma corrente e che esercitino una creatività fuori dalle regole. Non sono le conoscenze che formano i guru, ma le intuizioni, i sensi, le emozioni, la poesia, l’arte, i sentimenti e le utopie, il pensiero laterale. C’è ancora uno spazio e un dio per gli umani di internet. Parola di Steve Jobs!
1 È un termine della lingua inglese usato per connotare le persone che hanno competenze tecniche di un certo livello, tralasciando ogni implicazione riguardo alla socialità e socievolezza.