Il profumo della parola

di Egidio Cardini

Il senso di una mancanza

Ci manca ancora moltissimo. E dicendo moltissimo non rendo ancora l’idea della profondità di questa mancanza.

Molti di noi hanno attraversato gli anni salienti della propria vita con la figura straordinaria del Cardinale davanti, anzi, accanto. Esiste una generazione milanese che ha avuto in Carlo Maria Martini un punto di riferimento fondamentale per l’interpretazione e per l’indirizzo della propria fede. Con lui proprio questo duplice dinamismo non poteva mai scindersi, perché non era un moralista né un predicatore e quindi ogni indirizzo che la fede in Gesù Cristo potesse dare al credente per lui doveva essere sempre accompagnato da un atto interpretativo, da una comprensione, da una lettura attenta e sicura, dal più semplice e comune «rendere ragione».

Oso proporre un’intuizione che discende dalla mia personalissima visione della paternità. Per me il Cardinale non è mai stato un padre, perché uno solo è il Padre ed è quello che sta nei cieli e, per il tramite del mistero della vita, quello che sta anche sulla Terra. Nessuno può mai essere padre se non due persone: il Dio al quale si crede, se vi si crede, e il proprio padre storico. La sua paternità invece è stata qualcosa di diverso e di più intenso e probabilmente non è mai stata veramente tale.

È stato maestro, questo sì.

Lo è stato nel modo più puro e immediato che si potesse immaginare, nella sua capacità straordinaria di offrire una strada verso la Verità senza imporla mai, di leggere e di spiegare senza invadere la vita, di ascoltare e di capire senza mai avere dato una risposta previa ed escludente.

Il senso di una profezia incompiuta

Non era un profeta in senso classico, perché non tutti devono essere per forza profeti e perché non tutti ricevono da Dio il dono della profezia, quella virtù che fa gridare con veemenza per la giustizia del Regno di Dio, che fa compiere gesti coraggiosi e forti, che scaraventa in mezzo agli uomini con la trasparenza dei bambini e con l’incoscienza dei puri.

Come tutti i profeti, parlava proiettato sul futuro, elaborando e giustificando nei fatti quel «pro-femì­», che è appunto il discorso di chi si protrae in avanti, scrutando il domani, senza affogare nel passato e nella nostalgia. Come tutti i profeti, parlava esclusivamente nel nome di Dio, senza timori né censure. Era uomo di Dio in tutta la sua finitezza, ma gli mancava ancora qualcosa per riconoscerlo come profeta per il suo popolo.

Ho conosciuto profeti. Pedro Casaldáliga potevi abbracciarlo senza nessuna vergogna, sporcandoti con la polvere rossa della sua gente e annusando gli odori acri della sua foresta. Mi ricordo ancora il suo abbraccio, in mezzo a contadini senza denti e a «indios» sradicati: «Sii benvenuto nella terra della rivoluzione».

Sono andato da Tonino Bello, portando nella memoria la sua dolce poesia che profumava di popolo, il popolo più reietto ed emarginato. In questa radicalità veemente ho percepito la profezia. Carlo Maria Martini invece aveva un carisma ancorato al profumo della Parola, quella con l’iniziale maiuscola e con la voce di Dio che echeggiava dal profondo. Questa era e resta per molti di noi la vera passione trascendentale, quella sulla quale siamo stati modellati, e oggi questo ci basta.

La profezia è sempre stata un ideale simbolico e lontano, da avvicinare e da conquistare con l’emozione dell’incontro con i profeti e con i poveri di Dio, ma non tutti devono essere per forza profeti. Quindi egli era non profeta, ma uomo della Parola, testimone innamorato diàDio, che cercava tutte le sfumature e le aperture che dalla Parola si intravedevano. Non per niente era un esegeta, cioè uno scandagliatore di verità, un ricercatore dei dettagli più nascosti, uno che passava cercando. Non per niente in greco «exeghéomai» significa «io dò spiegazione». Si cerca per amore e per una sfida al mondo e, cercando, si passa dalla polvere del mondo all’Eterno.

Il senso dell’Eterno nella modernità

La sua passione silenziosa per la modernità è stata, in fin dei conti, il desiderio di adagiare un briciolo di eternità nella storia umana e ha descritto splendidamente la parabola del cristiano che cerca Dio nel mondo e, dopo averlo trovato, lo riporta al mondo e qui lo depone.

Ha agito come vescovo in un momento complesso per la Chiesa, dove gli orientamenti pastorali emersi dal pontificato di san Giovanni Paolo II parevano contraddirne lo spirito. Probabilmente era davvero così. Tuttavia la sapienza del Cardinale è sempre emersa per il tramite della sua capacità di affermare una credibilità intrinseca e strutturale nella pratica evangelica, senza umiliare o appesantire nessuno.

Progetti come la cattedra dei non credenti o iniziative pastorali per l’affermazione della carità e della giustizia nella Milano del suo tempo sono sempre passati dentro due ali di rispetto e di intenso ascolto. Non a caso, quando parlava, tutti mostravano un’attenzione fuori dal comune, indipendentemente dalle ragioni che potessero portarli davanti a lui.

I suoi detrattori hanno sovente perso ragioni significative per contestarlo e assai spesso hanno taciuto imbarazzati, ma ciò che conta sapere è che il Cardinale se ne è andato in silenzio senza un solo nemico e con tanta gente che, dopo averlo visto, ascoltato e incontrato, ha imparato a fare tesoro degli interrogativi che lui lasciava. Da uomo di Dio non affermava; tutt’al più interpellava.

Il senso di un Dio che parla sempre

Il Cardinale è passato come il segno marcante della fede intesa come libertà e come adesioneàalla storia, all’oggi, al quotidiano e come mediazione tra l’originalità dell’uomo e la tenerezza di un Dio che parla.

Il suo funerale, così maestoso e immenso, è stato paradossalmente un inno all’intensità di ogni Parola che viene da Dio. Splendida la scelta dei due vangeli della Passione, secondo Luca e secondo Matteo, per una sintesi finale quasi escatologica con Giovanni e con l’immersione nel cuore di una risurrezione che rappresenta il senso di una vita che noi viviamo giorno dopo giorno, consapevoli che il «Logos» dello stesso evangelista Giovanni è solo il Dio che, esistendo, parla.

Si vive, si muore e si risorge dentro un mondo dove Dio parla, parla, parla in continuazione e alla fine tutto acquista senso perché questa risurrezione viene da un Dio che parla sempre. Se Dio non parlasse, che cos’altro avrebbe da fare?

Allora il Cardinale ci manca non tanto perché chi è venuto dopo di lui ce lo ha fatto mancare, ma perché sentiamo l’assenza di uno che ci ha fatto capire che il senso di Dio può essere indagato anche e soprattutto nella dialettica con la modernità, senza condanne né conflitti ingiustificati.

Gli siamo grati di avercelo comunicato e poi di essersi ritirato in silenzio come uno che ha fatto quello che doveva fare ed è stato come se ci avesse detto che gli uomini a un certo punto smettono di parlare, mentre Dio invece parla sempre.