Il Brasile e il colpo di Stato senza carri armati
Una pagina già inscritta da tempo
In fin dei conti quanto sta accadendo oggi in Brasile è una pagina già inscritta da tempo nella storia di questa terra sconfinata e paradossale, come per un destino ineluttabile dal quale periodicamente non si può sfuggire.
Il Brasile, dal giorno dell’insediamento alla presidenza della repubblica di Luiz Inácio Lula da Silva il 1° gennaio 2003, ha attraversato una delle fasi più felici e promettenti della sua storia, pur evidenziando le contraddizioni e i vizi di sempre.
Il Paese è cresciuto e quindi possiamo credere che sia contestualmente cresciuto anche il suo popolo. Nel mio ultimo viaggio del giugno 2015, il primo dopo sei anni e mezzo di assenza, ho scrutato nei dettagli ogni possibile evidenza, cercando affettuosamente anche ogni segnale di cambiamento.
Numerosi sono stati i dati che mi hanno confortato: un miglioramento visibile delle condizioni socio-economiche generali, un contenimento provvidenziale di tutte le forme di insicurezza collettiva, che invece nel passato spaventavano lo straniero ancora prima che vi mettesse piede, e infine un quadro complessivo di fiducia nel futuro, associato alla vocazione di Paese giovane e dinamico.
Certamente restavano inalterate le debolezze caratteriali di un popolo che manifestava i difetti della propria natura, a partire dall’incapacità di uscire da un senso, dichiarato a sé stesso, di provvisorietà eterna e di precariato, senza progetti forti e duraturi.
Tuttavia il vero anello debole della società brasiliana restava il sistema politico, che era diventato finalmente sì democratico dopo i lunghi anni della dittatura militare, ma che aveva conservato, dentro una certa farraginosità nel funzionamento delle istituzioni, due gravissime patologie strutturali: la subalternità ai grandi interessi economici e una corruzione endemica e capillare.
E sono state proprio queste due patologie mai sanate ad affossare il lungo governo della sinistra di Lula e di Dilma Rousseff.
Una sinistra con il governo e senza il potere
Di fatto la sinistra, che ha consentito ad alcune decine di milioni di brasiliani di uscire dalla miseria, in questo favorita anche da una congiuntura economica favorevole, e che ha elaborato interessanti progetti sociali, non ha potuto e forse nemmeno voluto scalfire i poteri forti del Brasile: un sistema industriale, concentrato prevalentemente nello Stato di San Paolo e ultraprotetto da privilegi quasi di casta, un latifondo pressoché padrone incontrastato in molte aree rurali e nemico dichiarato di qualsiasi riforma agraria, un sistema politico privo di forme efficaci di garanzia e di controllo, una rete infrastrutturale arretrata e difficilissima da modernizzare, una distribuzione ancora carente e inefficiente di un’energia proveniente da fonti pressoché illimitate (petrolio, acqua, miniere), ma gestiteàdisordinatamente.
Alla fine, approfittando del logoramento inevitabile del governo del Partido dos Trabalhadores, il PT, e dei suoi due presidenti con tutto l’apparato di governatori e di sindaci «petisti», la destra brasiliana ha compiuto un’operazione quasi perfetta di riappropriazione sul sistema politico e di governo.
Va detto, per onestà intellettuale, che per questa destra eterna il potere non era mai stato perso in un Paese che, più degli altri, può affidare transitoriamente il governo a forze svariate, ma non affida mai il potere a soggetti diversi da coloro i quali purtroppo lo detengono da qualche secolo.
I giorni e i protagonisti della caduta
Alla fine il PT è caduto nello sprofondamento tra le spire della corruzione, che ha portato in carcere, anche attraverso giudici locali non sempre obiettivi, una pletora di ex-governatori, exparlamentari ed ex-sindaci. Il discredito della sinistra di governo è stato associato a un uso sapiente, da parte delle destra eterna, dei mezzi di comunicazione sociale, che hanno ricominciato a soffiare su un fuoco che aveva già cominciato ad ardere da sé, acceso dalla fine lenta di un pur felice sistema di governo.
Dilma Rousseff è naufragata apparentemente nel nulla.
Di fatto è stata sottoposta a una sospensione con relativo processo parlamentare sulla base di accuse generiche e confuse. È accusata di avere occultato deliberatamente i dati economici che cominciavano a mostrare una crisi latente e soprattutto di avere falsificato il bilancio pubblico.
In realtà non ci sono prove contabili o comunque documentali di queste accuse, ma queste ultime sono bastate per inscenare un triste e teatrale processo di messa in stato d’accusa, culminato con una memorabile e teatrale seduta della Camera dei Deputati, che ha compiuto il primo passo per la sospensione della Presidente, lasciando la decisione definitiva al Senato Federale, che è riuscito nell’intento di giustiziarla politicamente.
La regia di questa operazione ha due nomi noti a tutti: il vicepresidente Michel Temer e il presidente della Camera dei Deputati Eduardo Cunha.
Il primo è un discusso avvocato paulista con una lunga serie di procedimenti penali a proprio carico, leader del Partido do Movimento Democrático Brasileiro (il PMDB), alleato centrista del PT e classico partito «ago della bilancia», con tutti i vizi e nessuna virtù di chi è ago di una bilancia politica tanto delicata.
Temer è un arrivista e un corrotto, ma è di fatto nelle mani del secondo, Cunha, esponente carioca (di Rio de Janeiro) della destra religiosa brasiliana e vero tirafili dell’operazione, anche se a sua volta invischiato in una valanga di inchieste penali.
Sul ruolo delle libere Chiese evangeliche andrebbe aperta una lunga parentesi. Basti solo dire che esse rappresentano il vero braccio armato, quello che invade le coscienze popolari, a disposizione dei poteri forti di cui sopra.
Non a caso queste Chiese sono al momento il soggetto più scatenato e sulla prima linea di una battaglia che intende penetrare capillarmente le aree più facilmente condizionabili del Paese.
Di esse abbiamo già detto in passato, ma oggi possiamo constatare amaramente che il loro ruolo è determinante per il lavoro sporco in atto.
La doppia tragedia dell’invasione religiosa dell’America Latina da parte delle Chiese nordamericane e dell’indebolimento negli ultimi decenni dei settori più avanzati socialmente della Chiesaàcattolica ha prodotto questa stortura pericolosa e apparentemente irrefrenabile, quasi cancerosa.
La destra religiosa occupa spazi, apre centri di preghiera e di indottrinamento, diffonde massicciamente un sistema radiotelevisivo organizzato quasi militarmente. Insomma, essa apre varchi ovunque, dilagando nelle coscienze della gente semplice e soprattutto facendo il gioco dei padroni di sempre.
La fine della sinistra e i colpi di Stato senza carri armati
In questa crisi la sinistra è caduta rovinosamente dentro le proprie contraddizioni, si è lasciata corrompere proprio dal sistema che aveva combattuto lungamente e adesso è affonnosamente in difesa di sé stessa. Il popolo l’ha lasciata e si sta consegnando nelle mani di chi lo aveva sempre sfruttato e manipolato.
L’analisi di Leonardo Boff, ripresa generosamente dal progressista «Jornal do Brasil», rivela impietosamente il dramma politico-sociale presente e oggi la sinistra si riscopre afasica e senza strategie. Non a caso sta tentando la carta, dopo la destituzione di Dilma, di elezioni anticipate, a seguito di una disperata modifica costituzionale, con un voto nel prossimo ottobre e con la ricandidatura di Lula.
La destra sta pensando di arricchire questa modifica con il divieto alla rielezione degli ex-presidenti, affossando in questo modo anche l’ormai stanco Lula, addirittura umiliato da un oscuro giudice paulista, Sérgio Moro, e tradotto obbligatoriamente in un commissariato della polizia federale per rispondere di presunti abusi finanziari di suoi familiari.
D’altro canto la candidatura di Lula è il segno di una disperazione elettorale di una sinistra che sta affogando in un sistema politico, che sta a sua volta affogando e che corre il rischio concreto di restare senza la prima, la seconda e la terza carica della Repubblica Federativa.
Come è facile comprendere, in altri tempi un colpo di Stato militare avrebbe rapidamente risolto ogni instabilità, con tanto di carri armati per le strade, mentre oggi il sistema neoliberale si è affinato e non ha bisogno di «putsch» cruenti. Può tranquillamente organizzare e mettere in atto colpi di Stato senza carri armati.
È ormai tutta l’America Latina a essere attraversata da questo vento di rivincita delle «destre eterne».
Un insegnamento radicale
Da tutto ciò traggo un insegnamento radicale, che mi comunica alcune verità profonde: il neoliberalismo è un sistema di morte, la democrazia rappresentativa ha subìto un attacco sanguinoso da parte di questo capitalismo innamorato della morte e soprattutto la tanto agognata rivoluzione ha bisogno di nuovi processi, che non sono più quelli delle lotte di liberazione romantiche di un tempo e dei loro linguaggi stantii, ma di un’educazione politica collettiva e di partiti politici che, dopo avere elaborato progetti di sviluppo, li attuino in profondità e non si nascondano dietro una pur lodevole e semplice iniziativa sociale.
Tutto ciò non è più sufficiente e il sistema delle destre eterne va sconfitto sul serio.