I “sovranisti” hanno torto, i “sovranisti” hanno ragione
Qualche mese fa, su queste stesse pagine, cercavo di spiegare le ragioni che rendono l’uso del termine «sovranismo» poco opportuno. Si tratta, in Italia e in altri paesi, di partiti o movimenti populisti che reclamano una sorta di ritorno della sovranità al popolo e, allo stesso tempo, di movimenti di stampo autoritario che portano, in alcune sue declinazioni, a politiche di stampo nazionalista. Nazionalismo e populismo sarebbero i termini opportuni da utilizzare poiché le scelte economiche di questi movimenti, nei fatti, tendono ad avere come effetto una riduzione della sovranità economica nazionale.
Da un punto di vista economico aumentano l’esposizione di una nazione alle turbolenze del mercato, facendo sì che una nazione come la nostra diventi più fragile. Anche nelle contrattazioni in ambito europeo si diventa più fragili. Il giro di nomine europee ne è stato l’esempio: l’aver aumentato la quota di seggi cosiddetti «sovranisti» ha avuto come conseguenza l’aver reso indispensabili i voti dei liberali (di idee diametralmente opposte ai sovranisti), con il risultato di ridurre considerevolmente il peso del nostro paese. Ma questi sono discorsi razionali, dati o fatti che tendono a provare che i sovranisti hanno torto, ma che in tempo di populismi e sovranismi valgono il tempo di un «ma questo lo dice lei», o il tempo di creare un nuovo diversivo su una barca di disperati che arriva da sud.
I sovranisti, però, hanno ragione, perché sono la risposta a un tema che, da decenni, abbiamo messo sotto il tappeto e ora ritorna prepotente: la disuguaglianza. Prima del 2007 la quota di persone a maggior rischio di povertà assoluta in Italia erano le persone con più di 65 anni. Ora queste persone hanno visto l’incidenza della povertà assoluta diminuire (sono oggi le persone meno a rischio in Italia), mentre le giovani famiglie con figli hanno un rischio di povertà assoluta di oltre il 10%. Tutte le categorie demografiche in Italia hanno visto l’incidenza della povertà assoluta aumentare di circa 5 volte, a parte le persone oltre 65 anni, che hanno visto questo rischio diminuire. Mentre tutto questo avveniva, si magnificava la pur piccola ed esistente ripresa economica.
Ma non è solo disuguaglianza nei redditi, bensì di prospettive di vita. Vivendo a Milano si ha la netta percezione di essere in un Paese diverso, ma che evidenzia la disuguaglianza nei sogni delle persone. Le università cittadine devono, ogni anno, respingere migliaia di domande di ragazzi fuorisede che vedono il laurearsi qui come unico riscatto familiare, e questa disuguaglianza territoriale genera risentimento. Le opportunità di lavoro e vita, tra centri metropolitani e «periferie», hanno raggiunto un divario ormai molto forte e anche questa è causa di risentimento.
Ormai anche le aspettative di vita, a livello europeo, sono tali per cui chi vive in grandi aree metropolitane ha una aspettativa di vita più alta, con migliore accesso a servizi di ogni tipo. Anche questa disuguaglianza genera risentimenti.
In questo risentimento, in questa esclusione, che genera impossibilità interiore di credere agli esperti, ai tecnici, ai discorsi razionali, risiede la «ragione» dei sovranisti. Una ragione disperata e che occorre combattere con tutte le forze, ma che sta riuscendo a far sentire uguali agli altri chi si è sentito escluso. Occorre combattere questa ideologia, tornando a occuparsi di una questione considerata novecentesca perché, dai movimenti sociali degli anni ’90 e del 2000-2001, nessuno se ne è più occupato, ma che è la questione: la disuguaglianza, di reddito, di prospettive di vita, di progetti, di salute, di accesso all’istruzione, di etnia, cultura, origine, orientamenti personali.