I padri sono ancora necessari?

di Bruni Alessandro

Oggi è difficile «essere» padre. Non è un problema di biologia, ma di costruzione individuale e psico-sociale. Viviamo un tempo senza età, nel quale allo scorrere degli anni non corrisponde l’assunzione di ruoli e di responsabilità individuali. Tra maternità e paternità esiste una grande differenza in termini di senso del tempo e dell’età. La donna ha il limite temporale della menopausa, mentre l’uomo ha una andropausa lenta, per cui si illude di essere sempre il ragazzo di un tempo e che non c’è fretta per assumersi la responsabilità di un figlio. Inoltre, il desiderio di paternità degli uomini deve fare i conti con quello di maternità delle donne, che è e rimane prioritario rispetto alla disponibilità maschile sia sul piano dell’intimità di negoziazione della coppia, sia legalmente.

Dunque, biologia, relazione di coppia e società non aiutano certamente il desiderio e l’assunzione del ruolo genitoriale da parte maschile, tanto che Lacan parla di paternità «evanescente» come tratto caratteristico della società occidentale contemporanea. Questa evanescenza ha origini lontane. I padri, in genere anche oggi, non si occupano dei bambini piccoli quanto le madri e, quindi, non influiscono più di tanto nelle loro reazioni formative. Pochi si occupano attivamente del neonato, altri non lo fanno affatto; possono giocare con il figlio come farebbero con un cucciolo per poi trascurarlo quando sono stanchi di giocare; possono anche nutrirlo, cambiarlo, fargli il bagno. Generalmente sono attività che svolgono per il piacere di farlo e non per responsabilità di cura che lasciano quasi totalmente alla madre, tanto che quando lo fanno esercitano la libertà di farlo o non farlo, il libero arbitrio di decidere di farlo quando ne hanno voglia e non quando il bambino ne ha bisogno.

Essere padri significa essere presenti nella vita dei figli, essere disponibili nella cura costante, almeno con la parola, nel gioco, nel racconto, nell’ascolto, del donare il proprio tempo connaturato con il tempo del bambino e non viceversa. Giocare con il figlio, guardarlo mentre gioca, offrirgli il tempo e la disposizione per le coccole non è tempo perso, è fare il padre, divenire per lui persona di riferimento. Non si diventa padri esercitando l’autorità, ma costruendo l’autorevolezza di essere riferimento nella diade madre-figlio.

Nasce quindi la necessità di rompere questo cerchio di isolamento e di essere padri in modo diverso dal passato, per darne un senso compiuto adattato alla società contemporanea, soprattutto nella formazione dei figli. È questo un passaggio complesso e spesso difficile per molti padri, che devono imparare a «essere» padri, dato che questo ruolo non si acquisisce con la donazione di uno spermatozoo, ma con l’interesse attivo nella crescita del figlio e con l’esercizio della parola di persona di riferimento educativo.

Come popolarmente si dice, la madre dà la vita al figlio, ma il padre gli dà il senso della vita e del suo limite: è la connessione tra questi estremi che permette al figlio l’acquisizione dell’identità e dell’autonomia, ma non la sua felicità. Dunque, nella società contemporanea, molto più che in passato, la paternità responsabile è una assunzione di ruolo formativo, di modello imitativo e di confronto per i figli. Un ruolo che, se il neo papà non si impegna a costruire, rischia di diventare rapidamente e irrimediabilmente secondario agli occhi della madre e dei figli. La funzione paterna esige di essere l’elemento di equilibrio nel rapporto madre-figlio e di essere il vero motore dell’indipendenza e dell’autonomia dei figli, soprattutto durante l’adolescenza.

In senso lacaniano la relazione tra padre e figlio si costruisce sul rispecchiamento di due figure, quella del padre reale e quella del padre simbolico. Mentre il primo è una entità fisicamente presente (ma non necessariamente), la seconda è costruita dal figlio sulla base della tipologia del padre reale (anche mitizzato, se assente). La presenza del padre reale agevola la costruzione nel figlio del padre simbolico, attraverso l’uso della parola e del riferimento referenziale. Il padre simbolico è fondamentale nella costruzione identitaria del figlio, nella sua umanizzazione, soprattutto nella nascita e costruzione del desiderio, inteso in senso lacaniano, quale determinante che porta all’emancipazione del figlio dalla famiglia di origine, che educa il figlio alla sua autonomia creativa verso la vita, verso una nuova relazione, verso una nuova famiglia.

Senza la funzione simbolica del padre viene a mancare nel figlio la capacità soggettiva dell’esercizio di consapevolezza. Se manca la funzione simbolica, anche se il padre è presente e reale, il figlio sarà incompleto, più legato alle sicurezze del porto materno che alla navigazione nel mare sconosciuto. La relazione padre-figlio è però anche biunivoca dato che sarà il figlio a completare la genitorialità paterna dandone la vera dimensione umana e rendendo il padre diverso da quello che era prima di generarlo. Un lungo cammino ancora inconcluso e permeato di stimolanti orizzonti di speranza.

Sì, i padri sono ancora necessari, ma devono diventare diversamente abili rigenerando e reinventando il loro ruolo sulle caratteristiche dei «figli» che nella vita incontrano. Ciascuno di noi ha avuto molti padri e ciascuno di noi si dona a molti figli. Non è una retorica cosmica, ma la risultanza psicostorica evolutiva della condizione umana.

Quindi il proposito che deve guidare ogni padre nel sentiero formativo è la propria trasformazione, per aiutare i figli a essere consapevoli nella libertà di scegliere.