Giocarsi la vita, adesso. La favola e il sogno

di Stoppiglia Giuseppe

«Subito muore il rumore dei passi,
come sordi rintocchi.
Segni di vita o di morte?
Non è tutto un vivere e insieme un morire?
Ciò che più conta non è questo,
conta solo che siamo eterni,
che dureremo, che sopravvivremo».
p. David Maria Turoldo

La carta dell’enigma

Ho fatto un sogno. Ero in un deserto bianco, senza orizzonte. Un immenso terreno abbandonato, privo di persone. Dal fondo bianco saliva una statua altissima, che superava il tetto di casa mia: aveva i piedi di argilla, le gambe di ferro, l’addome verde di bronzo, il collo d’argento, la testa e i capelli giallo oro, gli occhi di diamante.

Poi d’improvviso la scena è cambiata. Ho visto avvicinarsi due giovani sposi, con un grande foglio di carta in mano, sullo sfondo una casa, comperata con quella carta e che non erano più riusciti a pagare. Non chiedetemi se c’erano entrati nella casa, i sogni non sono razionali.

Mi sveglio. Sul comodino tengo un libro. Un libro piccolo, leggero. Ne leggo alcune pagine, poi mi riaddormento e riprendo subito a sognare. Accade qualcosa di nuovo. La statua ora è là, per terra, crollata. È caduta sotto il peso, i piedi di argilla non hanno retto. Rumore e polvere. Gli sposi salvano la pelle, ma perdono la casa sotto le macerie. Cerco di dare un nome ai metalli che compongono la storia.

Le interpretazioni

Una prima interpretazione è questa: i piedi di argilla sono i due sposi che acquistano la casa, ma insensati come tutti gli innamorati e forse un po’ sprovveduti, non hanno pagato il mutuo. Sono insolventi. Il ferro, il bronzo, l’argento e l’oro sono gli istituti bancari e i risparmiatori che hanno venduto e acquistato i titoli. Infine gli occhi freddi e lungimiranti sono quelli della banca centrale.

Gli occhi sono freddi ma lungimiranti un po’ meno, perché le banche hanno rischiato il fallimento. La colpa è degli sposi sprovveduti?

Non so, ma quel libro sul comodino sembrava come illuminato a giorno e, sempre nel sogno, dalle pagine uscivano parole di un alfabeto sconosciuto, che fornivano una specieàdi dizionario con parole straniere e spiegazione in lingua indigena.

Una seconda interpretazione: l’oro sarebbero quelli che hanno acquistato i mutui. Hanno pagato una parte del mutuo, sono rimasti a secco, si sono ritirati, hanno lasciato casa e soldi alla banca centrale. Hanno perso tutto. L’argento sono i risparmiatori che hanno comprato i titoli gonfiati, ci hanno sperato, forse hanno anche speculato e sono rimasti con le pive nel sacco. Il bronzo e giù, fino all’argilla forse sono gli istituti bancari che hanno predisposto le trappole. Gli occhi? Beh, li lasciamo alla banca, perché almeno possa controllare i flussi e i conti, ma è solo una metafora.

E la statua? Sta ancora precipitando e se ne sente il rumore… e forse c’è una terza interpretazione, molto più complessa, che lasciamo al libro sul comodino.

Una conclusione? La banca forse ha perso credibilità assieme ai suoi istituti. I risparmiatori sono rimasti gabbati e gli acquirenti della casa, gli unici che avevano prodotto ricchezza, sono ancora al lavoro per tirare avanti, con la speranza di farsi una nuova casa, senza mutuo.

Disuguaglianza e risparmio

Ricordo quanto dichiarava un ministro dell’Economia brasiliano: la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è ciò che genera risparmio, risulta chiaro che nel nostro pianeta gli unici liberi sono i prezzi. Libertà d’investimento, libertà di prezzi, libertà di scambi: quanto più liberi sono gli affari, tanto più la gente è prigioniera.

I decreti del ministro dell’Economia si riferiscono ai tipi di scambio, al regime delle imposte, alla politica dei prezzi e perché non menzionano mai cose come la vita, la morte o il destino?

Quest’ultima osservazione può essere una denuncia indiretta al sistema di valori che consacra le cose e disprezza le persone e al gioco sinistro della competizione e del consumo, che induce gli uomini a sfruttarsi, a schiacciarsi gli uni con gli altri. Il colonialismo visibile ci mutila apertamente. Ci proibisce di dire, ci proibisce di fare, ci proibisce di essere.

Il colonialismo invisibile, viceversa, ci convince che la servitù è il tuo destino e che l’impotenza è nella nostra natura. Ci convince che non si può dire, non si può fare, non si può essere.

Tornare sotto terra

Sempre nel sogno mi sono trovato dentro a una metropolitana. Il treno usciva dai binari e avanzava, schiacciando la gente sulla banchina. Riuscivo a scansarlo, correndo salivo le scale, ansimante. Sono uscito all’aria aperta, felice di essermi salvato. A quel punto, però, mi sono reso conto di aver dimenticato qualche cosa là sotto, dovevo tornare sotto terra.

Quella notte non ho più dormito, e mi sono trovato sveglio quando ha suonato la sveglia del mattino.

Un servizio scomodo

La svolta operata da Papa Francesco (per credenti o non credenti, alcuni entusiasti e altri delusi) si declina tutta nella rivoluzione interiore e non intende modificare l’aspetto esterno delle cose prima di un cambiamento interiore in ciascuno di noi. Per questo il popolo di Dio non può pretendere o sperare che il Papa sia il Dioàin terra, ma è l’uomo che celebra la gioia di Dio, mistero gratuito in mezzo a noi. Prendendo a prestito il titolo del periodico di don Mazzolari, per lui c’è l’«adesso» dell’uomo, e per questo è sempre «adesso» l’ora della chiamata e dell’impegno.

A don Primo Mazzolari è stato riconosciuto il suo servizio, scomodo in quanto profeticamente era in anticipo sui tempi, ma decisamente fecondo. La sua profezia si è realizzata nell’amare il proprio tempo, nel legarsi alla vita delle persone che incontrava, nel cogliere ogni possibilità di annunciare la misericordia di Dio.

Non è stato uno che ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l’amore appassionato e la dedizione incondizionata all’uomo.

Ho conosciuto tanti altri preti così, pronti a giocarsi la vita per seguire la luce vera, che porta a Cristo, che dà senso al cammino e non è una gioia effimera: sono preti, che hanno visto e guardato lontano. Cambiare la propria vita è stato il primo passo. Il costante invito del vangelo alla conversione non consisteva per loro soltanto nel rimuovere i peccati passati, ma sradicare, ogni giorno, dal proprio cuore, le comode certezze, i falsi idoli, gli atteggiamenti non orientati a cercare sinceramente Dio e il suo Regno di giustizia.

La rivoluzione interiore

Non è mai la tranquillità superficiale ad appagare il nostro cuore,àma la vera pace che è dono di Dio. Mai va cercato il compromesso facile, né vanno praticati facili irenismi. Solo il discernimento ci salva dal vero sradicamento, dalla vera soppressione del cuore, che è l’egoismo, la mondanità, la perdita del nostro orizzonte, della nostra speranza che è Gesù.

Non è con le parole, ma con gli atti, non con le sottili elucubrazioni del pensiero, ma con la concretezza semplice delle opere buone, che la fede irradia luce e si fa sale della terra.

Confidando non nelle proprie forze, ma nella misericordia e nell’aiuto di Dio, si procede decisi nell’impegno di portare con fierezza i valori della propria tradizione (senza essere per questo tradizionalisti), senza lasciarsi abbattere dalla precarietà, dalle sfide e dai condizionamenti sempre più pressanti delle situazioni nazionali e internazionali, lasciandoci paralizzare da un pessimismo sterile, prigionieri della paura e rassegnati nella tristezza.

Il cristiano, quindi, può portare a tutti la radicale novità del vangelo. Senza questa rivoluzione interiore non può esserci alcun reale mutamento o cambiamento.