Fede è spingersi un po’ più avanti
Oltre la logica del compenso
«Sono vagabondo come il vento,
libertà è il mio tempio e casa.
Ad altri accumulare tesori che ladri
scassinano, a me basta la gioia
di cantare.
Almeno il povero sia un amico sicuro,
ogni zingaro un antico fratello,
ogni donna perduta un segno che Dio
è ancora vicino…».
David Maria Turoldo
«Dio mi liberi dalla saggezza
che non piange,
dalla filosofia che non ride,
e dall’orgoglio
che non s’inchina davanti
a un bambino».
Kahlil Gibran
Peter ovvero Michel Piccoli
Se passate lungo Viale De Gasperi, a Bassano del Grappa, e vi spingete un po’ più avanti fino a San Fortunato, vi capiterà d’incontrare un signore anziano, apparentemente sui sessant’anni (ma in realtà è già oltre gli ottanta), che arranca tirato al guinzaglio da un bel cane nero.
Guardandolo in faccia direte subito: «Ma io, quel signore, l’ho già visto!»; somiglia a Michel Piccoli. Lui, però si chiama Peter.
Conserva, delle tradizioni umanitarie anarco-tolstoiane, l’impianto di vita, la rigida coerenza e l’incredibile bontà. Ha lasciato alla famiglia, in Svizzera, tutte le garanzie del benessere e della sicurezza elvetica e ha scelto di vivere gli ultimi anni qui, solo, in un pianoterra del quartiere popolare San Lazzaro, a due passi dal fiume Brenta.
Si occupa del cane e del gatto (stupendo, rosso), anzi di tutti i cani e gatti randagi o abbandonati. È pronto ad accogliere chiunque si trovi in difficoltà, dà lezioni gratuite di tedesco, avrebbe bisogno di un portafoglio grande come il suo cuore per provvedere ai bisogni di tutti quelli che vorrebbe aiutare…
In casa tiene tante cassette di musica classica e il rettangolo del televisore per le sue solitarie malinconie: dissapori, delusioni, ingratitudini, opportunismi, pettegolezzi, malintesi, arteriosclerosi.
Nella sua grande anima, bella, severa e generosa, sta cogliendo l’ultimo sole del giorno che indora il profilo delle colline, splendide in questa primavera, di Sant’Eusebio, seduto sulla panchina, assorto. Quando rientra a casa, lo attende una copia artigianale del Canaletto, in sostituzione della veduta che gli manca – un muto sogno di bellezza – sulla parete.
Corina e lui
Quando lui fece gli esami per il concorso e seppe di aver vinto il posto – racconta Corina, asciugandosi nervosamente le lacrime che le sciupano il trucco attorno agli occhi – mi disse: «Sai cara, adesso anche se arrivasse un bambino non sarebbe più una catastrofe…».
Parlava della casa da comprare, dei tanti progetti per il futuro, e «magari ci sposiamo», aggiungeva. Non gli dissi nulla, neppure quando ebbi i risultati delle analisi. Temevo potesse dire che l’avevo fatto apposta per incastrarlo, mentre non avevo certamente cercato di restare incinta. Era successo e basta.
Non gli dissi niente, anche perché già cominciava a ripensare al posto di lavoro. Non si sentiva più sicuro di volerlo accettare. Non era, infatti, molto contento, una volta passata la prima euforia. Così tacqui perché lui potesse sentirsi libero nelle sue decisioni, non condizionato e obbligato. Nella peggiore delle ipotesi, pensavo, la creatura me la tengo io, sola, e l’idea mi faceva tenerezza.
Il linguaggio del corpo parla se lo ascolti
Malauguratamente andammo in vacanza. Appena arrivata mi sembrava un sogno, ma subito mi trovai a dover fare i conti con le nausee e i capogiri sugli strapiombi in salita. Non avevo nessuna voglia di arrampicare, ma a lui la montagna piaceva così, come un esercizio sportivo, il più intenso possibile,àe subito si irritava o si spazientiva se stentavo a tenere il suo passo.
Cominciai a sentirmi male. Avevo bisogno di riposo, di attenzioni e cercai di farglielo capire, anche senza parlare della creatura che tenevo in grembo.
Quel giorno, volle assolutamente partire con la macchina per andare a visitare i genitori che l’avevano invitato a vedere un’altra valle, dove loro trascorrevano le vacanze. Era già tutto programmato ed ecco che io facevo da guastafeste.
Cercai di dirgli che avevo un cattivo presentimento, ma lui protestò con veemenza. «Tu vuoi costringermi a scegliere fra te e i miei genitori!». Era semplicemente grottesco, proprio io, che tanto avevo fatto per riavvicinarlo ai suoi e non farlo litigare col padre, aiutandoli a capirsi e aiutarsi a vicenda!
La perdita e l’abbandono
Basta! Capii subito che non sarei mai arrivata impunemente, che dovevo fermarmi a metà strada. Quando mi decisi era già troppo tardi. Lui andò avanti ugualmente, arrabbiato, senza dare alcun peso al fatto che potessi sentirmi male, quasi che il mio fosse un capriccio o un dispetto o addirittura una mancanza di compiacenza.
Neppure quando telefonai alla madre per scusarmi, alla sera, e mi scappò detto che avevo perso tanto sangue, a nessuno passò per la testa di domandarmi se per caso… Allora capii quanto poco contavo come persona, per lui e per la famiglia.
E intanto avevo perso il mio bambino. Dio mio, quanto ho sofferto quella notte! Da allora non sono più la stessa, miàsento in colpa come se avessi fatto apposta ad abortire. Mi chiedo in continuazione dove fosse Dio in quel momento. E se per il bambino era meglio venire al mondo? Perché non bisogna confondere il coraggio con l’irresponsabilità o con l’incoscienza. Sono sicura che mi sarei fatta carico del bambino con tanto amore e tanta dedizione… e più il tempo passa, più diminuisce la mia rassegnazione.
Un grido dal profondo
La fede non è un dono gratuito, mi fa osservare Corina con malinconia, fissandomi negli occhi. Poi continua e insiste con energia: non siamo noi a decidere se appartenere ai credenti o ai non credenti. La fede ci prende e ci folgora o ci abbandona. È uno stato di grazia.
«Noi possiamo compiere atti di volontà, opzioni, scelte relative al nostro essere nel mondo, ma non possiamo comandare ai nostri sentimenti e ai nostri pensieri. Vorrei poter credere, vorrei pregare con tutta l’anima, ma non ci riesco proprio.
Ho cercato Dio per tutta la vita, l’ho perso sui banchi di scuola, l’ho inseguito in tutte le religioni e filosofie…, ma non è col pensiero, col ragionamento, neppure con la volontà che si trova Dio. Sarebbe troppo bello! Si ha tanto bisogno di questo sostegno, di questo appoggio, che nessun surrogato lo può sostituire! La solitudine, il male, la morte, la malattia, la vecchiaia, l’assenza di senso che ci angoscia, tutto trova risposta e quiete nella fede.
La pace interiore, quella vera, profonda e durevole, si ha solo con la fede. Il messaggio di Cristo è il più accessibile a tutti, un messaggio carico di misericordia e di amore, maànon riesco a riagganciarmi alle certezze della mia infanzia.
Il dubbio ha lavorato nel mio cuore, anche se a volte mi sembra di sentire vicino il soprannaturale. Ho paura però di lasciarmi andare, avendo disgusto e un rifiuto consapevole della mania mistico-religiosa di certe mentecatte…».
Intrepidi e fragili
Corina è come un fiume in piena, inconsolabile nella scoperta dolorosa di vivere uno stato di abbandono totale. Si sente straziata nelle viscere dell’anima, con la paura di schiantarsi contro la propria debolezza, non accorgendosi che è proprio nella scoperta della propria fragilità che inizia il percorso che porterà a essere resistenti e forti nel cambiamento.
«Quando l’anima è colma d’amore – rispondo, senza retorica, mentre fuori la nebbia si addensa lentamente – riusciamo a fare tutto senza sforzo e senza pena. L’amore è intrepido. Spinge l’anima oltre l’ostacolo e ci si trova le mani piene di quanto si dona senza compenso.
Non c’è altra ricetta per essere felici. Dobbiamo essere forti in questa capacità espansiva, in questa intima ricchezza che nessuno ci può strappare».
Può sembrare teorico questo discorso? Certamente, perché siamo fragili, sensibili alle incomprensioni, alle umiliazioni, alle ingiustizie, alle ingratitudini, ma senza alcun cedimento alla nostra impotenza o al senso di rancore e di rivolta, piuttosto cerchiamo di vivere un sentimento di pietà e di compassione verso chi ci ferisce o ci offende. Leàrisorse dell’anima sono infinite, la vitalità dell’amore è in questa inesauribile produzione di energia pulita, per cui, più se ne dà, più se ne ritrova nel nostro spirito.
Una zolla di terra libera
Personalmente non ho nessuna idea di dove sto andando. Non vedo la strada che mi sta davanti. Non posso sapere con certezza dove andrò a finire. Veramente non conosco neppure me stesso e il fatto che penso di seguire la volontà di Dio non significa che lo stia davvero facendo. Sono però sinceramente convinto che in realtà a Dio piaccia il mio desiderio di piacere a Lui e spero di averlo in tutte le cose, e di non fare mai nulla senza tale desiderio. So che, se agirò così, la Sua volontà mi condurrà per la giusta via, quantunque io possa non capirne nulla.
È una logica diversa da quella del mercato, dalla logica del dare e dell’avere, che regola i rapporti nel mondo. Porsi fuori della logica del mondo è indispensabile per conservare un’inalterabile serenità, per non sottostare ai condizionamenti negativi, alle frustrazioni e agli smarrimenti. Certamente ci sono le pietre e i sassi, c’è la zizzania, ma c’è anche il terreno fertile, una zolla di terra, un angolo dove il seme si nasconde e dà frutto, perché la tenacia dell’amore è invincibile come la vita e oltre la vita.