Etica, economia e responsabilità sociale
Esiste un vaccino per le crisi economiche? Fabrizio Panebianco intervista Benito Boschetto
(Panebianco) Vorrei iniziare chiedendo che rapporto c’è stato, negli ultimi decenni, tra etica ed economia.
(Boschetto) A partire dalla fine degli anni ’80 ci fu un dibattito in Italia sull’etica della politica, dell’impresa e dell’economia, che stabilì il primato morale dell’economia sulla politica. Successivamente, Tangentopoli ha fatto vedere che non solo la politica era sporca ma che anche l’economia lo era, e anzi che le due erano intrecciate molto strettamente: si era perso il senso del bene comune, compito della politica, e l’economia aveva pensato solo a se stessa e non allo sviluppo economico del paese, alla responsabilità sociale. Questo è accaduto per due motivi principali: si è avuta una spinta alla deregolamentazione da una parte, e alla finanziarizzazione dall’altra, perché in quel periodo questo sembrava conveniente a tutti. La prima era concepita come un «liberi tutti» che includeva anche i principi morali, per cui tutto era lecito pur di far soldi: la corruzione, il prevalere di interessi particolari. La seconda invece era spinta dalla finanza speculativa.
(Panebianco) E in questo processo i comportamenti individuali e le responsabilità dei singoli che ruolo hanno avuto?
(Boschetto) I comportamenti individuali sono stati guidati dall’animal spirit dell’avidità, presa a modello di comportamento, e ciò si è aggiunto ai due fattori precedenti appena descritti. L’elemento fondamentale è stato che questo modello di comportamento era poi condiviso in primo luogo dalle élite che governavano i paesi. Dunque, i comportamenti individuali sono anche frutto di un clima, di un pensiero dominante e di un contesto in cui sembra che tutto sia legittimato. Dunque legittimo è tutto ciò che conviene, con la sicurezza che questo comportamento è condiviso e diffuso nella società. Questo vale fino all’ultimo operatore di banca che vende al risparmiatore i bond argentini pur sapendo che l’Argentina è a rischio default.
(Panebianco) Che ruolo ha avuto l’iperspecializzazione dei ruoli in questa deresponsabilizzazione individuale?
(Boschetto) Ha giocato un ruolo fondamentale, però stiamo attenti che a tutti i livelli c’è un principio di responsabilità che deve funzionare. Anche l’operatore che vende titoli argentini risponde a un principio di responsabilità che gli prescrive di fare gli interessi della propria banca, decisi dai vertici, un principio paradossalmente etico. D’altra parte occorre considerare che esiste una deriva più grande che ha le sue basi in aspetti strutturali del sistema economico: il fatto, per esempio, che oggi il capitalismo non abbia padroni ma solo manager e consigli di amministrazione, anonimi, e che dunque allentano il principio di responsabilità. Questo perché non si conoscono più i destinatari delle proprie azioni e decisioni.
(Panebianco) Dunque entra in gioco la moralità della classe dirigente. Questo è il secondo punto importate.
(Boschetto) L’assoluta mancanza dell’etica della classe dirigente, non solo della classe politica, è infatti cruciale. Prendiamo un dato: le banche italiane, per esempio, hanno fatto i bilanci migliori in tempi di scandali come Parmalat, Cirio, bond argentini e di recessione economica: come è possibile questo senza trovare dei meccanismi «particolari»? Certo, meccanismi motivati dall’interesse per la propria banca. Quando Profumo, considerato uno dei più progressisti banchieri italiani, dichiara, al meeting di CL a Rimini, che una banca non è speciale ma è un’azienda come le altre che risponde solo al mercato e agli interessi degli azionisti, dimentica il ruolo cruciale delle banche, specie in questo periodo: hanno privilegi, sono le uniche realtà su cui tutti i governi mondiali sono in accordo sul loro salvataggio pena un crollo generalizzato; questo chiamarsi fuori dalle proprie responsabilità sociali definisce chiaramente le qualità morali della classe dirigente. Quello che è accaduto trova delle precise responsabilità.
(Panebianco) Ma ciò non è accaduto solo in Italia. Quindi ci deve essere anche altro.
(Boschetto) In altri paesi la classe dirigente è stata invece selezionata su performance di breve periodo, specie nel settore finanziario. Il paradosso è, per esempio, il fondo pensione alimentato dai soldi dei lavoratori che ottiene guadagni maggiori di breve periodo investendo in imprese che licenziano! Sono queste le contraddizioni che emergono: a prevalere erano i valori della speculazione e non della responsabilità sociale. E il processo imitativo ha portato all’espandersi di questi metri di giudizio in tutti i settori, anche della politica.
(Panebianco) Dati però gli incentivi materiali ad agire in questo modo, e data la struttura del mercato, è allora inevitabile che, nonostante le misure che si possano prendere, nel lungo periodo questi comportamenti si riaffermino nuovamente?
(Boschetto) Certo, ne sono convintissimo. Il capitalismo si rinnova sempre e l’avidità ne è il cuore. E l’avidità pervade tutti, diversamente dal cuore di altre ideologie.
(Panebianco) Esiste un possibile vaccino per questo? Una maggiore informazione dei processi, per esempio?
(Boschetto) Certo, il problema è quello del controllo, e in finanza questo è risultato evidente. Ed è qui che la politica, nella considerazione degli interessi generali (uno sviluppo economico sano, una crescita sana, la tutela dei risparmiatori, un’informazione trasparente, una norma condivisa di comportamento), deve riassumere il ruolo che le è proprio: stabilire dei paletti entro cui muoversi. Parlando di finanza, in questa deriva di deregolamentazione, la politica ha fatto anche perdere il ruolo positivo che ha la Borsa, la sua forza di coordinamento e di sviluppo. I prodotti finanziari derivati, per esempio, possono portare anche stabilità nel mercato, ma devono essere gestiti con criterio.
(Panebianco) Quando però, nel passato, sono state create forme di controllo sovranazionale si usciva da una crisi devastante, lunga e da una guerra mondiale. Oggi, oltre il primo periodo di paura, si ha la percezione di una crisi passeggera, seppur grave, e dunque si lascia spazio al pensiero che possa essere possibile non cambiare nulla e che tutto si autoregoli nuovamente.
(Boschetto) È qui che la classe dirigente deve giocare il suo ruolo. La classe dirigente è tale perché deve poter vedere un po’ più in là. Per esempio, non si può gestire una nazione con paure, illusioni e sondaggi, come avviene nel nostro paese. Quando generi paura, rischi comportamenti irrazionali, illusioni, che poi si rivelano infondate, chi poi ci perde è sempre la parte povera della popolazione. L’investimento finanziario è una cosa seria, che richiede fiducia nelle scelte fatte, ma non è un atto di fede nei confronti di un sistema di cui non se ne conoscono le regole. Non è criminale, per esempio, far credere che si possa creare ricchezza solo con transazioni on line anche da parte di cittadini inesperti che non hanno cultura finanziaria? Negli Stati Uniti succede la stessa cosa con chi è stato convinto a indebitarsi oltre le proprie possibilità. Non si ha il diritto di generare illusioni, è una grave responsabilità delle classi dirigenti.
(Panebianco) Quindi gli inviti all’ottimismo di cui sentiamo spesso parlare?
(Boschetto) Io faccio una distinzione tra ottimismo e speranza: l’ottimismo è un messaggio senza senso in contesto di forte difficoltà. La speranza è sperare che qualcosa cambi, dove c’è una classe dirigente seria, che sta cercando di agire e che ha rispetto dei miei problemi.
(Panebianco) Dunque: la politica è stata delegittimata dall’economia e si è tirata indietro. Chi rimane, al di là della buona coscienza dei cittadini, per indicare i paletti entro cui muoversi?
(Boschetto) Ricordiamoci innanzitutto che la politica è stata sempre asservita all’economia, ma ora si è passato il segno perché siamo in un contesto di asservimento assoluto. In aggiunta, ora risulta sempre più evidente che il pensiero dominante dell’economia liberista ha fallito, tanto che ora in tantissimi invocano l’aiuto dello Stato; il mercato deregolamentato non è capace di autoregolarsi, e quindi l’economia non può essere l’unico fattore per la gestione della società. Anche in un mercato libero ci devono essere delle regole condivise. Si sta, dunque, riaprendo uno spazio per la politica.
(Panebianco) Ma allora, chi ispira ora la politica?
(Boschetto) Ora entreremo in una fase di rifondazione della politica che deve però essere gestita su basi diverse dall’utilitarismo individualista. Questa è una grande sfida, in cui entrano in gioco le varie agenzie educative come, per esempio, le scuole e le Chiese. Nelle prime un’attenzione all’educazione civica, alla Costituzione, alla lotta contro la criminalità e la mafia sono necessarie. Se fai nascere un interesse per queste tematiche, poi i ragazzi cominciano a ragionare e a capire se c’è sintonia tra principi professati e praticati nelle varie parti politiche. Le ultime non possono più essere religioni civili, ma religioni morali, legate alle persone.
(Panebianco) Ma le Chiese, per far ciò, non devono essere indipendenti dalla politica? Per evitare evidenti cortocircuiti.
(Boschetto) Il ruolo della Chiesa non è quello di supplire alla libertà di scelta individuale, che in politica è, per esempio, la scelta su chi votare. Il suo compito è altro. Ma oggi la Chiesa ha perso quello spirito conciliare che le permetteva di evitare un rapporto simoniaco con il potere, che invece è ricomparso. La religione cattolica, poi, avendo uno Stato, ha una tentazione ontologica verso il temporalismo. Ai tempi del Concilio si sentiva e si respirava un senso di liberazione della Chiesa, che non rispondeva ai poteri temporali, pur con tutti i limiti del caso. Ora invece siamo tornati all’accordo della Chiesa gerarchica con le forze conservatrici di destra, e dunque la Chiesa è uno degli attori di tutto lo scenario descritto e ha finito per coprire gli interessi forti.
(Panebianco) A proposito di ciò, forse come reazione all’individualismo economico, o come internalizzazione di questo principio, nelle scuole e nelle Chiese ci si è focalizzati sulla morale individuale, e si dimentica il «peccato sociale», come lo definisce il card. Martini, e le responsabilità verso la società.
(Boschetto) Certo, è proprio per coprire gli interessi forti di cui abbiamo appena parlato che la Chiesa deve spostare l’attenzione su storie individuali su cui cerca di recuperare credibilità, ma su cui poi, lo si è visto su altre battaglie, fallisce e si allontana dalla realtà della gente: come il caso delle unioni di fatto o il modo in cui è stato trattato Englaro definito boia, mancando addirittura di pietas. Si dovrebbe tornare a testimoniare un umanesimo cristiano, in cui l’uomo è più importante del Sabato, tornando a farsi carico della condizione umana, e non seguendo una religione che diventa ideologia o religione civile. Stanno invece prevalendo nuovamente sempre più le convenienze sulle convinzioni. È un rapporto, ripeto, quasi simoniaco. Bisogna sapersi fermare di fronte alla coscienza dell’uomo che deve, alla fine, prevalere.
(Panebianco) E quindi che speranza c’è? Economia e politica sono da rifondare, e le agenzie che dovrebbero guidare moralmente questa ricostruzione sono parte integrante del problema.
(Boschetto) La prima cosa è prenderne coscienza. La cosa più grave oggi è la mancanza di consapevolezza che sul piano politico c’è una deriva, che sul piano economico una rigenerazione diventa improbabile avendo sempre la stessa classe dirigente che ci ha portato al disastro, e che sul piano morale abbiamo una chiesa anestetizzata. Capire questo è il primo passo. Per questo i giovani devono cercare di essere meno corrotti, perché la nostra generazione è ormai fatta e drogata da questi processi. La crisi può essere perciò un’opportunità formidabile di rigenerazione, specie per far capire alle persone che quando, per esempio, vanno a votare, votano non per interessi particolari, ma per una visione complessiva del mondo. Ed era proprio su queste visioni generali e sui dibattiti su di esse che la politica aveva l’autorità di porsi come guida: pensiamo, per esempio, all’elaborazione che fece La Pira su Firenze come nuova Gerusalemme. C’era progettualità, totalmente diversa da chi pensa che il politico debba essere come un buon amministratore di condominio. Occorre dunque lavorare per costruire visioni complessive nuove per poter vincere questa sfida.
Benito Boschetto
già segretario generale Camera Commercio
e direttore generale della Borsa Valori, Milano