Efficienza ed equità

di Panebianco Fabrizio

Da qualche anno a questa parte le amministrazioni pubbliche, sulla scia di quanto già fatto dai privati, hanno adottato una nuova parola d’ordine: efficienza. L’efficienza sembra essere diventata la soluzione che cura bilanci disastrati, finanze pubbliche sull’orlo del collasso, dipendenti pubblici fannulloni e, soprattutto, il criterio in base al quale operare per mantenere una sostenibilità di lungo periodo di ogni progetto. Va detto che l’efficienza ha molti dei meriti che le si attribuiscono e che è un elemento essenziale per ogni politica di lungo periodo. Dato però che sembra essere una nuova medicina miracolosa, vediamo che cosa è in realtà, che cosa nasconde e che cosa implica se inserita in un ragionamento economico. Nel linguaggio comune, «efficiente» è un processo che permette di raggiungere il miglior risultato date le risorse scarse. Questo concetto, però, non definisce quali siano i criteri da seguire per determinare il «miglior risultato»: l’efficienza presuppone, dunque, la determinazione di una scala di valori attraverso la quale valutare i processi e i risultati per definirli, appunto, efficienti.

Inoltre, quella che sembra essere la definizione comune di efficienza non corrisponde alla definizione che se ne dà in economia e che poi determina le scelte politiche ed economiche.

Efficienza economica ed efficienza di senso comune

L’economia è di per sé la disciplina che permette di raggiungere il miglior risultato date le risorse scarse: efficienza dunque deve essere qualcosa d’altro e di più specifico, altrimenti staremmo parlando di un semplice criterio di uso economico delle risorse. Immaginando di avere un mondo in cui gli agenti economici producono, lavorano e scambiano beni, gli economisti definiscono efficiente una qualsiasi distribuzione di risorse tale per cui uno qualsiasi degli agenti può incrementare il suo benessere solo a discapito del benessere altrui. Questa definizione è molto lontana da quello che ci saremmo aspettati. Supponiamo di avere un mondo di sole due persone: uno prende il 90% della ricchezza e l’altro il 10%. Ora questa distribuzione può essere definita efficiente perché il povero può stare meglio solo a discapito del ricco. Questo però vuole anche dire che una distribuzione efficiente sfrutta tutte le possibilità di benessere presenti nella società, dal momento che nessuno può stare meglio senza incidere sul benessere altrui, e dunque non ci sono sprechi. È una definizione che è assolutamente indipendente da una qualsiasi relazione con l’equità. Gli economisti, a questo proposito, riescono a dire solo che se il mercato viene lasciato libero di agire, senza frizioni di alcun tipo, raggiungerà una allocazione di risorse efficiente, ma non necessariamente equa.

Intervento della politica necessario

Una distribuzione equa può essere raggiunta solo con la partecipazione attiva della politica che deve ridistribuire le risorse. Ecco dunque che il dilemma si fa più marcato: solo un mercato libero può raggiungere una situazione efficiente e dunque libera da sprechi, ma se vogliamo introdurre una nota di equità allora dobbiamo far agire la politica che potrebbe allontanarci dall’efficienza. In questo caso, quali pesi dare a ciascuna delle due componenti è una precisa scelta politica. Ecco dunque che il consenso pressoché unanime su «l’efficienza prima di tutto», oltre a produrre effetti talvolta palesemente iniqui e discriminatori, rivela una omogeneità negli obiettivi e priorità politiche molto pronunciata. Decenni fa, era l’equità a essere parola d’ordine, ora è la seconda della diade. Entrambe sono desiderabili ma esiste una contraddizione irrisolvibile tra le due. La scelta su quale delle due debba avere la priorità non è per nulla naturale e ovvia, come oggi sembra, ma è (dovrebbe essere) frutto di una scelta politica di fondo. In secondo luogo, ogni volta che sentiamo dire che solo un mercato libero produce efficienza dobbiamo ricordare che l’efficienza a cui ci si riferisce non corrisponde a quella di senso comune.

Fabrizio Panebianco
laureato in Economia politica a Milano,
sta svolgendo il dottorato in
economia all’Università
Ca’ Foscari di Venezia