Economia delle percezioni e populismo
«Urge trovare modi per fare amare la complessità, invece di averne paura». Wu Ming
Qualche mese fa è uscito un interessante rapporto del Censis che descriveva l’Italia come uno dei paesi nei quali la percezione dei più svariati fenomeni è la più distorta tra tutti i paesi occidentali. Dalla quota di persone con diabete al numero di minorenni che rimangono incinte, fino alla quota di stranieri residenti, gli italiani tendono a sovrastimare enormemente la prevalenza nella società di ciascuno di questi e altri fenomeni; questa percezione distorta è presente non solo per questioni, come quelle legate alle migrazioni, per le quali l’attenzione mediatica è alta e il racconto nazionalista, purtroppo prevalente, narra di invasioni a fronte di numeri più contenuti. Avviene anche per fenomeni totalmente fuori dal dibattito pubblico (il numero di minorenni incinte è sovrastimato di circa 100 volte). Questa percezione distorta, inoltre, non è collegata alla mancanza di informazioni accessibili. Anche nei casi, come quello dei migranti, per i quali le informazioni oggettive sono facilmente accessibili a tutti, rimane una visione del fenomeno molto distorta. In maniera ancora più interessante, la visione dei fenomeni è più distorta proprio dove il fenomeno è meno presente. Le popolazioni che sovrastimano di più la percentuale di stranieri residenti sono quelle che abitano nelle province con minore popolazione straniera residente. Nelle grandi città, dove il fenomeno migratorio è più consistente, la percezione è più simile alla realtà.
L’economia, ancora prima di avere a che fare con la distribuzione della ricchezza e del lavoro, ha a che fare con la distribuzione delle informazioni, per mettere le persone nella condizione di effettuare le scelte che reputano migliori. Informazioni sbaglia
te portano a scelte di cui, solitamente, ci si pente. Informazioni asimmetriche, dove l’informazione corretta è appannaggio di pochi, creano disuguaglianze e rendite di posizione. Una corretta informazione ben distribuita è uno degli obiettivi migliori che un policy maker possa avere per il benessere dei cittadini.
Gli economisti hanno a lungo pensato che le persone volessero davvero avere le migliori informazioni per ottenere il meglio dall’ambiente circostante. L’attualità ci pone di fronte all’evidenza che tutto ciò può essere falso. I costi cognitivi che le persone devono affrontare per poter avere una visione oggettiva della realtà e superare la loro comfort zone nella quale continuano a credere ciò che si conforma con la loro ideologia iniziale, possono essere tanto alti da rendere il processo frustrante e preferire una informazione errata ma più «confortante» perché in linea con quanto sempre creduto.
Fino a qualche decennio fa, in un mondo dalle regole economiche più semplici, la generalità delle persone apprezzava chi le aiutava a riconoscere la (gestibile) complessità per affrontare al meglio il mondo. Oggi questo meccanismo non funziona più. La gestione della complessità del mondo richiede un’educazione a superare costantemente quei costi cognitivi che, se non superati, ci fanno rinchiudere nelle nostre convinzioni.
Un leader potrebbe avere lo scopo di far sì che le persone non abbiano paura della complessità, accompagnarle a leggere correttamente il mondo, fornire strumenti alle istituzioni educative per formare cittadini consapevoli. Ma per essere essere ascoltato deve richiedere fatica. Oppure potrebbe prendere la strada opposta, come avviene oggi.