Cronache del distanziamento

di AA. VV.

Tutto era vicino, luoghi, persone, cose. Arrivavano dalla Cina le navi portacontainer; le agenzie di viaggio proponevano esperienze in ogni Paese del mondo. Per non parlare dell’Erasmus.
Prima.
Dopo, e il dopo si è realizzato in pochi giorni, la distanza ha trionfato: almeno a un metro dai corpi degli altri, irraggiungibili i territori oltre confine, inutili i visti. La paura del contagio ha dilatato lo spazio. L’unico movimento ammesso ha ormai i limiti del nostro comune.

Epidemia del dubbio
Piccole decisioni,
minuscoli margini di scelta,
poco rimane delle libertà di ieri.
Vado? Esco? Cosa consiglio?
Tossicchio incerto.

Primavera?
Le giornate si allungano.
Bene, giusto.
Ma è il tempo che rallenta,
e quasi si ferma il respiro.

Nomadismo interno
Ci si muove in casa come i nomadi nel deserto:
insieme, attorno ai pozzi, per l’acqua, per lo scambio di parole,
cose e attenzioni;
poi si riparte per i grandi spazi della solitudine, per i magri pascoli
lontani, in cerca di libertà.
Così ora, fra le mura del nostro appartamento:
insieme per cucinare, pranzare, fare una partita a carte, per chie-
dersi come va.
Per guardarsi, almeno.
Poi ognuno ha bisogno di spazio, della sua stanza, delle sue letture
e della sua musica, di un grande silenzio interiore.
Di deserto. Di una misura di libertà.
Pur nella costrizione. Oltre la contingenza.

Venti freddi
La bora sferza gelida questa nostra, larga pianura,
fino a ieri paurosa per poco niente, oggi impaurita per davvero.
Trema.
Che il vento spazzi via i giorni terribili.
(ap)

 

Tempo di diario

Sabato 14 marzo.
Ho un taccuino speciale. Bordo ed elastico rosa copertina color carta-pacchi. Senza virgole un sol respiro.
Comincio ora, prima ci si adatta. Si aspetta. Qualcosa succede.
Succederà? Posso andare? Posso uscire? C’è latte in casa? Quanti gli infettati? Il volto sperduto, distante di Cristiano amore, no, per piacere no, vieni, facciamo cose, sporchiamoci le mani, troviamo spazi, troviamo un fiore, stiamo stretti, figlio mio, fai musica che ti piace, prova con Beethoven o con Heller, l’amico di Schubert e Chopin, ricordi? Ti piace tanto quel pezzo così potente. Heller amore mio, si suona.
Dalla finestra un sax. Mai visto quel signore, scambio due parole, il mio dirimpettaio di terrazzo, simpatico, sì, va bene, Cohen…
Etty, tu la chitarra, il vicino ti accompagna e io canto. Dietro di noi i miei bulbi sottoterra che aspettano il tempo giusto per applaudire.

Lunedì 16 marzo.
Una nuova settimana inizierebbe abitualmente con il lunedì di lavoro.
Oggi ho lavorato sì ma in un altro ufficio… ho impastato e ho prodotto cibo buono, avevo la musica che mi accompagnava, il tempo non c’è più anzi sembra che non sia abbastanza.
Arriva pomeriggio aspetto il sax, quella è l’ora che poi dopo si prepara cena.
I ragazzi vanno a scuola, una scuola diversa, da isolati, da reparto ospedaliero in isolamento, hanno chiuso anche gli argini, si esce solo per alimentari e detersivi o per la farmacia. Preferisco i primi. Ma oggi scendo solo a gettare spazzatura. Forse domani.
Sì, domani.

Giovedì 26 marzo.
Vento, amico mio, sì vento di bora oggi. Sotto terra troppo timidi ancora i miei semi. Ieri sera la spinta ha divelto la barriera divisoria fatta di arelle in bambù, messa in piedi l’anno scorso dai ragazzi.
Ha spezzato di forza i legami, ha messo in aria la terra rimasta, gli attrezzi leggeri, i sottovasi isolati.
Dobbiamo recuperare ciò che ci ha unito finora, trovare mezzi per continuare a essere insieme, appoggiandoci in reciprocità, individuando spazi di recupero dove far generare (ancora) la vita.
Spero nell’acqua piovana. Così pulisce lo sparso.

(ps)