Brasile, se le vene aperte si chiudono
Novantaquattro è un numero composto, difettivo e nontotiente; lascio a voi indovinare, scoprire la stravaganza di questo numero, che inizia con Giuseppe Stoppiglia che nel controcorrente, intitolato La cosa che non ti ho mai detto, scrive del linguaggio usato dagli adolescenti come gergo disaffettivo di non comunicazione e di non comprensione del mondo.
E poi si passa al monografico, che vorrebbe abbracciare tutto il Brasile, ma come si fa abbracciare un continente esplosivo come il samba e accattivante come il passo che lo traduce? Il Brasile oggi è in fermento e non è carnevale.
Introduce Egidio Cardini, che da anni lo frequenta, sul Brasile di oggi, che gode buona salute; e chiude con un interrogativo: di chi è il merito dello sviluppo attuale? A Rio de Janeiro ci accoglie Heymat con un Benvenuti nella cidade maravilhosa, e ci racconta dei grandi preparativi per i Mondiali di calcio, la pacificazione delle favelas, lo snellimento del traffico, il grande balzo economico, la corsa ai consumi.
Luiz Alberto Gómez de Souza ci riceve nel suo studio in centro, all’università Candido Mendes, per introdurci nella complessità del paese in Le contraddizioni brasiliane, perché se diminuiscono le disparità sociali, permangono le distanze; se si aprono le mani per un contributo all’agricoltura familiare, non si fa però la riforma agraria, e così l’incremento all’edilizia popolare non cancella la favela.
Arnaldo de Vidi racconta la Chiesa del Brasile: tesi, antitesi e sintesi, dove per tesi si intendono le comunità di base; per antitesi la Chiesa della grande disciplina, del centralismo, della romanizzazione, di Wojtyla; e la sintesi sarà la Chiesa di Aparecida, con la nuova evangelizzazione.
Continua Dilvo Peruzzo in Prospettive. Le sfide nella crescita, che racconta di un paese in grande evoluzione politica (dalla dittatura alla democrazia), sociale (l’espandersi di una classe media), con una varietà grande di partiti e di movimenti sociali.
Chiude il monografico il nostro amico Edilberto Sena, dall’Amazzonia, con Terra, acqua e foresta brasiliana, che eleva ancora una volta il suo grido di allarme per la foresta che continua a essere depredata delle sue risorse, in particolare dell’acqua dei suoi fiumi copiosi.
Adesso passiamo alle rubriche che come sempre sono più agili e dinamiche, non sei d’accordo? E allora leggi: apre Augusto Cavadi con All’armi, una lucida lezione sull’esercizio delle armi, un tempo privilegio di pochi, oggi, dopo varie fasi storiche, ivi compreso il servizio militare obbligatorio e l’obiezione di coscienza, passa nelle mani di liberi professionisti, ma richiede un ponderato, critico ripensamento.
Ora puoi fermarti all’angolo dei libri, prendere il titolo che più ti piace e leggere in tranquillità di Paolo Cognetti, Gustavo Zagrebelsky e di Jean-Franìçois Draperi, che gli amici hanno la gentilezza di presentarti.
Cambiare: con questa voce riprende Giovanni Realdi, perché è naturale cambiare le cose, ma bisogna cambiare anche sé stessi, fare la rivoluzione si può, ma bisogna rendersi degni della rivoluzione.
Continuiamo il nostro viaggio in Africa e incontriamo il Marocco, monarchia costituzionale, stato indipendente dal 1956; la scheda è curata da Toni Maraini.
Da Parigi giunge a mezzo TGV il pezzo di Fabrizio Panebianco per la sua rubrica economia|politica; ci parla del signoraggio e delle teorie complottistiche in voga in questo periodo un po’ cupo per il cammino della costruzione dell’Unione Europea.
Non manca alla sua promessa il nostro direttore responsabile, Francesco Monini, che da Ferrara ci regala un’altra pagina del suo diario minimo. Il titolo del suo pezzo è Salvate il mio piccolo calciatore che corre felice nei campi di periferia.
Chiudono il numero le notizie di Macondo e dintorni del cronista abbonato.
Le foto di questo numero sono dedicate al Brasile, opera di Federica Ghirardini. Senza servizio a commento, in quanto va a integrare – per immagini – il monografico.