Berlino, capitale di un’Europa che deve ancora nascere
Qualcosa è cambiato
Spagna oppure Olanda. Le richieste per le mete del viaggio di istruzione dell’ultimo anno di scuola superiore potrebbero essere tranquillamente vaticinate nella stesura del primo verbale del consiglio dell’anno, a settembre, ancor prima di incontrare la classe. Le monarchie iberica e olandese rappresentano la gita ideale, l’equivalente di Disneyland per una bimba di sette anni o un nano di Biancaneve. Sono la massima espressione del fatto che in gita ci si va per ripetere coattivamente lo sballo notturno vissuto in patria, ma fuori casa e apparentemente senza limiti. Sono il motivo per cui gli insegnanti si rifiutano di salire in pullman o in aereo, accampano le scuse più bislacche o semplicemente si trincerano dietro la decisione irrevocabile del collegio docenti. E spesso fanno bene. Tuttavia, in questi anni, la mia esperienza è stata molto positiva: fortuna? caso? terrore? No, non ho applicato mai, durante il viaggio, disposizioni da Gestapo. Con i miei colleghi, di volta in volta, abbiamo cercato di dare fiducia o, meglio ancora, di istituire semplici pratiche di lealtà, con l’intenzione di riuscire a vivere con i ragazzi e non per loro i giorni di trasferta. E così, dopo brevissima discussione, è parso normale a tutti scegliere Berlino come meta, città storica e meta culturale. In fondo, hanno concluso, di birra ce n’è anche là.
Strade di polvere
Capire una città leggendone su di un libro è come imparare a nuotare sul manuale, senza aver toccato acqua. Non si può. Eppure, in obbedienza all’impostazione astratta dell’insegnamento italiano, e in previsione di questo viaggio, ho cercato per lo meno di intuirne il mood, o per dir meglio la Grundstimmung, attraverso tre testiccioli. Ve ne dò conto a viaggio ultimato, così da poter anche misurare l’efficacia dell’operazione.
Ho iniziato da un agile tascabile della Unicopli, Berlino. Piccolo manuale di viabilità letteraria, datato 2009, nel quale Elena Agazzi traccia alcuni percorsi nella capitale tedesca a partire dalla produzione letteraria degli ultimi due secoli. Il basso continuo, suo e degli altri autori, nonostante gli oltre 750 anni di vita di Berlino, è la divisione che ha dominato il cuore del Novecento. La Berlino prussiana e la sua parte monumentale si trovano nel settore est, lungo il viale Unter der Linden, i cui tigli spogli affrontavano, giorni fa (scrivo di fine febbraio), con scostante fermezza, il vento freddo che pareva soffiare le gelide memorie della storia direttamente da dentro la Porta di Brandeburgo, su fino alla Alexanderplatz. De Bruyn, ricorda la Agazzi, inizia uno dei suoi libri ricordando le 2264 (duemiladuecentosessantaquattro) tonnellate di bombe sganciate dall’VIII flotta aerea americana sul passeggio federiciano e guglielmino. Ai piedi del Fernsehturm, in Alexanderplatz, domina il «sinistro fascino» dell’edilizia sovietica, pur confusa con la recente modernizzazione, incomparabile con l’altra piazza, con la quale essa è da sempre in competizione, Potsdamerplatz, teatro di posa delle odierne, come si dice, «archistar», Renzo Piano tra tutte. Qui acciaio e cemento (e mercato) siglano una delle cifre di questa metropoli, cioè la ricostruzione, anche coraggiosa, senza il timore di dimenticare un passato devastato dalla guerra, prima che dalle ideologie.
Eppur l’artificiale non predomina
Sia la Agazzi, che Norbert Schürer, nel suo Berlino. Ritratto di una città (Odoya, 2014) dedicano un intero capitolo agli spazi verdi e acquatici di Berlino, che conta quattro volte i ponti di Venezia. Schürer prende proprio le mosse dalla geografia naturale della capitale, che nacque proprio dall’unione civile di due borghi separati dalla Sprea, affluente dello Havel. Seguire l’andamento del fiume significa scoprire l’immenso Tiergarten, che apre più in là lo spazio dedicato alla regina Charlotte (da cui prender le mosse verso il quartiere del mitico Stadio del 1936, immortalato dalla Riefenstahl). Il parco, uno dei polmoni cittadini (insieme al Tempelhofer Feld, già aeroporto passato alle cronache internazionali per il ponte aereo del 1948-49), ospita ai propri confini due luoghi simbolo, lo Zoologischer Garten della triste Christiane F (ma anche uno dei primi giardini zoologici europei) e, diametralmente opposto, il complesso del nuovo Reichstag. Schürer, dopo il primo capitolo topografico, traccia altri undici affreschi, percorrendo lo sviluppo storico, gli stili architettonici, l’evoluzione politica, le arti, l’intrattenimento, lo scenario religioso, le migrazioni, i consumi e il commercio e, prima di gettare un rapido sguardo ai dintorni (compreso il lager di Sachsenhausen), la Berlino noir dei crimini e misfatti. Lo stile è piacevole e immediato, pensato per chi non ami l’archeologia anche del contemporaneo, ma prediliga lo zaino sulle spalle e un approccio curioso. Di altro spessore, storico e riflessivo, infine, il volumetto scritto a due mani da Beda e Sergio Romano, Berlino capitale. Storie e luoghi di una città europea (Il Mulino, 2016). La prima parte, affidata al figlio, con una struttura simile al libro di Schürer, racconta la Berlino di oggi: ci fa comprendere che non si tratta di una ma di molte città insieme, i cui quattro milioni di abitanti fanno di essa un luogo non assimilabile al resto (e all’idea) della Germania. La seconda metà del testo, affidata alla sapienza diplomatica dell’editorialista del Corsera, costituisce un ottimo ripasso di storia, ma non tedesca o berlinese, bensì europea (e in parte dell’intero occidente). Perché se a Vienna la storia è monumentale e a tratti ammuffita; se a Parigi è trionfale e a tratti pretenziosa; Berlino, «povera ma sexy», suggerisce la capacità di gestire la complessità dei nostri tempi, precipitato di un insieme di vicende che solo ora iniziamo a comprendere e che fanno della Berlino la capitale di un’Europa che deve ancora nascere.
Lettere a Berlino
A conti fatti, Berlino non può essere trattenuta dai caratteri tipografici, ed è quanto vale per ogni cosa viva. L’ho costatato non tanto dal confronto tra il viaggio e questi volumetti, quanto dalle sfumature nei discorsi delle guide italo-tedesche che ci hanno aiutato a sciogliere nodi urbanistici e cronologici. Moltissime delle cose da loro raccontate, mentre la corriera rimbalzava tra i quartieri est/ovest – sono stati quasi tutti giorni di pioggia – sono facilmente reperibili nei testi letti. Ma si tratta di fatti storici o di pura cronaca, quegli avvenimenti capitali o quelle curiosità con cui si dimostra di essere buoni studiosi, forse attenti turisti. In fondo, anche Kant, noto per la sua avversione agli spostamenti, intratteneva i commensali sui particolari della Tower of London, stupendo i britannici che gli chiedevano quanti anni avesse mai passato nell’isola. Non c’era mai stato, ma leggeva e ascoltava molto. La differenza tra lui (e noi con lui) e i veri viaggiatori si è intuita dalle parole scelte da chi ci fece da accompagnatore e che riusciva ad abitare davvero gli spazi articolati della capitale tedesca. Solamente esperienza e buone gambe? No, piuttosto l’opportunità di stare con i berlinesi, nelle loro varie versioni; la normalità della coabitazione, l’intrecciarsi di accenti e di respiri, il bagaglio di racconti e vicende personali di sconosciuti intrappolati nella Storia. Materia vivente, che raramente s’incontra in una gita.