Arance rosse
Sono fresche nella memoria le immagini di quanto avvenuto a Rosarno all’inizio di quest’anno: braccianti agricoli stranieri che si rivoltano per le condizioni di vita in cui sono costretti e che rendono evidente lo sfruttamento a cui sono sottoposti da parte di un caporalato mafioso molto radicato nel territorio. Ne abbiamo visto i volti, abbiamo visto la loro rabbia esplodere, li abbiamo visti caricati su autobus e mandati altrove. Ma chi sono questi lavoratori? Quanti sono? E come è il mondo del lavoro visto con i loro occhi? Espongo qualche dato, per aiutare la riflessione: la situazione è complessa, non adatta alle notizie da telegiornale o agli scoop dei quotidiani, ma senza complessità si fa solo populismo.
La popolazione non italiana è il 6,5% degli abitanti dell’Italia, ma rappresenta l’8,3% dei lavoratori totali, segno di una popolazione giovane, e con un tasso di occupazione più alto rispetto alla popolazione italiana. Partiamo da un dato riguardante le abilità professionali dei migranti: dai dati Istat emerge che il 43,2% ha un titolo di studio comparabile alle medie inferiori, il 45,2% ha un diploma superiore mentre l’11,6% una laurea, esattamente lo stesso valore osservato per la generalità della popolazione italiana. I titoli di studio sembrano però inutili: solo il 23% ritiene di avere un lavoro in linea con le competenze ricevute durante gli anni di istruzione, contro il 65% degli italiani. Diversamente da altri paesi, l’Italia non è in grado di attrarre un gran numero di migranti con alte qualifiche. Questo è dovuto a due fattori: da un lato una mancanza di innovazione e di mobilità tipica del nostro paese, dall’altro una legge sull’immigrazione sempre più restrittiva che non fa altro che attrarre solo i più «disperati», disposti a vivere in condizioni precarie.
Una volta arrivati in Italia, quasi tre quarti dei migranti fanno uso di reti informali (parenti, amici, connazionali) per trovare lavoro. In questo modo è inevitabile la creazione di intere comunità dedite a una determinata attività: non sono quindi solo le donne dell’Est Europa a curare bene gli anziani, ma, conoscendo prevalentemente connazionali che fanno le badanti, finiranno per fare il medesimo mestiere, alimentando il pregiudizio sulle loro abilità lavorative.
Se andiamo ora a osservare le possibilità di guadagno dei lavoratori stranieri, la situazione di forte disuguaglianza viene alla luce in maniera potente. Guardando innanzitutto i settori di impiego, vediamo come in agricoltura i lavoratori stranieri guadagnano circa la metà degli italiani. Considerando la generalità dei settori, il differenziale si situa intorno al 40%. Analizzando la distribuzione geografica delle medie salariali si nota come più ci si sposta a Sud più i salari scendono (questo vale anche per i lavoratori italiani) ma soprattutto le disuguaglianze tra italiani e stranieri aumentano. Due delle regioni in cui questo differenziale è maggiore sono Calabria e Campania (in entrambe un differenziale del 41%). In maniera non del tutto casuale queste sono state le uniche due aree in cui si sono avute delle rivolte significative di lavoratori stranieri (a Castelvolturno e a Rosarno). In queste regioni, nel settore agricolo, solo il 30% dei lavoratori ha un contratto di lavoro regolare, mentre i lavoratori più richiesti sono proprio i clandestini, in quanto accettano salari bassissimi e condizioni di lavoro pessime. In particolare si stima che, fra i braccianti stranieri del Sud Italia, il 64% abita in case senza acqua, oltre il 90% non ha il riscaldamento e oltre il 60% non dispone di servizi igienici. In questo contesto, una legge così restrittiva sull’immigrazione, introducendo il reato di clandestinità, oltre, come già detto, a far arrivare solo i più disperati, crea un esercito di clandestini e quindi di manodopera a basso costo. Questi lavoratori sono costretti quindi a vivere in condizioni igienico sanitarie inammissibili. Il cerchio stava per chiudersi con l’obbligo gravante sugli operatori sanitari a denunciare gli irregolari. La coerenza di tutte queste proposte legislative non può certamente essere considerata casuale.