Alla tua salute, Manuel
Piglio deciso e passo malfermo
Manuel è entrato nell’androne della stazione bassa dell’Elevador da Bica con piglio deciso e passo malfermo. D’altra parte gli ubriachi sono così: riassumono la fragilità di un corpo indebolito e barcollante con la sicurezza di convinzioni granitiche, pronte a passare non appena passerà la sbronza. Sbandano pericolosamente al di fuori e consolidano le loro certezze nel di dentro. Vedono il mondo senza censure né misure, si appropriano di una verità chiara, limpida e lineare, una verità detta a gran voce e senza paura, come se l’alcool avesse spazzato via ogni incertezza e ogni remora, ogni dubbio e ogni cautela. Emettono sentenze stupende.
Si è diretto verso il manovratore della funicolare, che stava compilando il suo ennesimo foglio di viaggio, e gli ha stretto vigorosamente la mano. In quella cordialità spinta c’era tutta l’effusione di affetti e di simpatia verso chi lo avrebbe riportato all’insù, lungo la Rua da Bica, quella strada così ripida che, a farla da sobri, spezza le gambe, ma che, a farla da ubriachi, spezza quella felicità transitoria di cui invece si deve godere. Poi ha riso fragorosamente, facendo rimbombare mezza Lisbona e sussultare tutta quella vecchia carrozza inclinata, già piena di gente pronta ad arrampicarsi silenziosa verso la Cidade Alta. Tutti in silenzio, quasi assopiti, ad ascoltare Manuel che rideva felice eàche irrompeva in quel funerale, in attesa di partire verso il cielo.
Gli esseri umani sono fatti per socializzare
Quando è entrato, si è avvicinato a due turiste francesi, presumibilmente madre e figlia, e ha iniziato un dialogo meraviglioso e irripetibile, a una sola direzione, adagiato tra il surreale e la poesia. Gli ubriachi portano sulle spalle l’elasticità intellettuale del pensiero filosofico, interpretano senza accorgersi di nulla, spiegano la vita senza averne coscienza, prendono per il culo senza lasciare possibilità di replica o di contrattacco. Sono dialetticamente invincibili e per di più a volte emanano una simpatia inattesa.
Aspettavo da anni di rivedere e di risentire un ubriaco come Dio comanda. Alzi la mano chi non ha mai assistito, da ragazzo o ragazza, alla metamorfosi di qualche colorito parente che, a un pranzo di matrimonio, all’antipasto conversava amabilmente a bassa voce, al secondo conversava gioiosamente ad alta voce e alla torta nuziale si alzava in piedi per fare un discorso. Alla salute degli sposi e dei loro genitori.
L’ho contemplato. Non so perché, ma l’ho contemplato.
«Le signore sono inglesi? No? Sono americane? Nemmeno? Allora sono francesi. Si vede dall’aspetto che sono francesi. Io non «spicco» inglese, non parlo francese, non parlo spagnolo. Io parlo solo portoghese. Português do Portugal… Grande Paese o Portugal… A Parigi e in Francia ci sono 150.000 portoghesi che lavorano per voi francesi. Lei lo sapeva, signora? Cen-to-cin-quan-ta-mi-la, eh? Mica pochi. E poi a Parigi ci sono i socialisti. Bello fare i socialisti con 150.000 portoghesi che lavorano…». Tre frasi e due colpi da maestro.
Agitava il braccio destro, infilandolo tra il naso della signora e quello della ragazza, ma senza nessuna malizia o violenza. Manuel sembrava come il nostro amico Trinchetto, a Castano Primo, quando agita il braccio con una sigaretta spenta tra le dita. Come gli Stoici che discettavano sotto la Stoá di Attalo nell’antica Atene.
L’imperturbabilità delle due donne lo stupiva e lo scandalizzava: «Ma perché non socializzate? Gli esseri umani sono fatti per socializzare». Proprio così: «Os seres humanos são feitos para socializar». Português do Portugal.
Socializzare è atto di rottura
Quando la funicolare è partita, arrancando su per quella dolcissima salita, si è mosso un mondo che ascoltava silenzioso e quasi affascinato le parole sapienti di un ubriaco chiamato Manuel. Manuel, come ogni cristiano che abita i vicoli sporchi e malinconici di Lisbona, con quei panni eternamente stesi al vento, tra una camicia e un paio di mutande, un lenzuolo e un reggiseno.
Ho pensato che fossimo tutti prigionieri di noi stessi e di un silenzio che Manuel aveva rotto con le sue certezze temporanee, pronte ad affermarsi per mezzo di un bicchiere di vino dell’Alentejo e subito dopo a disintegrarsi per mezzo di un sonno di qualche ora in quelle strade così unte e così accoglienti.
Davvero. Gli esseri umani sono fatti per socializzare. Essi si illudono di vivere mediante relazioni e solitudini dipinteàcon i colori delle parole vuote e degli incontri vani. Socializzare è invece atto di rottura della misura, del confine, della serratura chiusa a doppia mandata. Socializzare è disturbare con gioia e felicità. Proprio come Manuel stava facendo in quel momento.
Quando si è rivolto a me, ho finto di guardare distrattamente fuori dal finestrino e sono stato ripagato da un paio di mutande stese al vento, poi da una donna anziana vestita di nero sulla porta di casa e infine dall’ingresso stretto di un’«adega» buia e liquorosa.
Manuel mi ha ripetuto quella verità che riproponeva quasi con ossessione e con veemenza. Gli esseri umani sono fatti per socializzare.
Mentre salivamo con il vocione di Manuel nelle orecchie, Lisbona mi è passata davanti in tutta quella sua misteriosa umanità, in quel sapore che mi aveva portato laggiù per la terza volta. Lisbona parla sottovoce, canta il «fado» simile al suo vento intensamente affettuoso. Uno va a Lisbona per contemplare la bellezza di una sensazione indicibile, che è quella di scivolare su e giù dalle sue colline, sui tram e sulle funicolari, e alla fine contempla un vecchio ubriaco di altri tempi, che gli regala una sicurezza che viene da un bicchiere di vino dell’Alentejo: gli uomini sono fatti per socializzare.
Il coraggio rivoluzionario della parola
In questi giorni di solitudini affollate è salito in cattedra questo maestro sgangherato e squinternato per dichiarare, in una città malinconica per vocazione, che nessuno può compiere il suo destino o percorrere il suo itinerario senza il coraggio rivoluzionario della parola e della relazione che dalla parola discende, che nessuno può salire per i vicoli sinuosi e ripidissimi della vita semplicemente pagando il biglietto di una funicolare, restandosene poi in silenzio, e infine che nessuno può davvero morire in silenzio. Alla fine ci sarà sempre un Manuel che lo stana o forse ci saranno sempre una pletora di panni stesi al sole che, immersi nell’odore delle sardine fritte, gli richiamano l’ordinarietà sfrontata di ogni giornata da vivere tra le cose più semplici e immediate.
Scendendo, l’ho finalmente guardato in faccia. Volevo cedergli la primogenitura dell’uscita, sperando che non inciampasse nel gradino e che non rotolasse giù per la Rua da Bica. Signorilmente Manuel è sceso per ultimo, come un vero Comandante fa da una nave che sta per naufragare.
Si è guardato intorno, consapevole che gli esseri umani sono fatti per socializzare, malfermo sulle gambe ma solidissimo nello spirito, almeno fino a quando la notte e il vino dell’Alentejo non lo avessero portato a quel sonno che ancora una volta gli avrebbe sradicato quella certezza bellissima.
Sono andato via in quel magico odore di sardine fritte con il desiderio di vedere Lisbona dall’alto del Castelo de São Jorge e con la sottilissima felicità per avere strappato la certezza che gli esseri umani sono fatti per socializzare e per non morire in silenzio.
Alla tua salute, Manuel. Da uno che non socializza, ma che soprattutto non beve.