Algeria

di Metref Karim

Ex colonia della Francia dalla quale ha ottenuto l’indipendenza nel 1962, l’Algeria conta attualmente circa 35 milioni di abitanti, per la maggior parte di religione musulmana; il 23% della popolazione vive sotto la soglia della povertà.

Linee generali

I 37.000 uomini del re francese Carlo X, che sbarcarono il 14 giugno 1830 a Sidi Ferruch, a una ventina di chilometri a ovest dalla capitale Algeri, non sapevano che la loro spedizione, ufficialmente punitiva per un’offesa arrecata dal Dey Ottomano di Algeri al console generale di Francia, era in realtà il primo passo per la conquista dell’Africa.

Per la sua posizione strategica, che fa di questo Paese la porta d’ingresso dal Mediterraneo verso l’Africa, fin dalla notte dei tempi altri imperi prima della Francia (i fenici, i romani, i greci, gli arabi, poi i turchi) usarono le sue zone costiere facilmente accessibili come base per tentare la conquista dell’entroterra nordafricano, protetto da alte montagne e da vasti deserti. L’Algeria continua a mantenere questo ruolo strategico nel continente e nella regione.

Oggi la Repubblica Democratica Popolare di Algeria, nata nel 1962 dopo 7 anni di guerra feroce per la conquista dell’indipendenza dalla Francia, con una superficie di 2.381.741 kmq, di cui tre quarti di deserto, è il decimo stato al mondo per grandezza. Si affaccia sul Mare Mediterraneo per 1200 km di costa. Ha circa 35 milioni di abitanti. La lingua ufficiale è l’arabo, accanto alla lingua berbera o tamazight (lingua originaria del Nordafrica), che è la seconda lingua nazionale.

La sua popolazione è in maggioranza musulmana sunnita. Esistono minoranze religiose molto esigue di musulmani non sunniti, cristiani ed ebrei ma stiamo parlando dell’1% del totale della popolazione.

Economia

L’Algeria è un paese molto ricco, anche se la sua popolazione in maggioranza ha un modesto livello di vita. La parte mediterranea (nord) del paese dispone di terre molto fertili con una disponibilità di fonti idriche sufficienti. Nei tempi in cui questa ricchezza era sfruttata razionalmente, l’Algeria era una vera potenza agricola: tra i primi produttori-esportatori mondiali al mondo di agrumi, di vini e carni ovine, era più che autosufficiente in latte, cereali, legumi, frutta e verdura, olio d’oliva, cui si aggiungevano molti altri prodotti agricoli di alta qualità. La parte desertica (sud) del paese invece ha una bassa densità di popolazione e le zone abitate e coltivabili sono molto ridotte, ma non per questo insignificanti. Per molto tempo le oasi del deserto hanno fatto sì che l’Algeria fosse il primo produttore al mondo di datteri. Ma il tesoro vero e proprio nascosto sotto le sabbie del deserto algerino si chiama gas e petrolio.

Petrolio e gas. Tale è il binomio della benedizione/maledizione del paese. Da una parte la nazionalizzazione delle risorse energetiche ha permesso di ricostruire un paese e una società distrutti da 130 anni di colonialismo e 7 anni di guerra spietata. Nei primi 20 anni di indipendenza le rendite del petrolio hanno permesso di costruire città, scuole, università, ospedali, strade. In pochi decenni l’elettrificazione del territorio è stata quasi completata e l’accesso all’acqua corrente assicurato alla quasi totalità della popolazione. In soli 20 anni l’Algeria ha formato tutte le competenze di cui aveva bisogno e ha potuto fare a meno della cooperazione internazionale in tutti i settori. Ha anche tentato una via verso l’industrializzazione, che si è rivelata fallimentare.

Ma dall’altro lato la disponibilità della rendita energetica ha poco a poco eliminato tutti gli altri settori. La politica del sostegno dei prodotti alimentari ha mano a mano ucciso l’agricoltura locale e incoraggiato l’importazione di prodotti agricoli che erano già sovvenzionati nei paesi d’origine. L’agricoltura, schiacciata dall’importazione, ha presto abbandonato le produzioni strategiche per coltivare solo prodotti ortofrutticoli che richiedono poco investimento e rendono in poco tempo.

Oggi l’Algeria importa l’80% del suo cibo. Anche se negli ultimi anni, con la fine delle sovvenzioni a molti prodotti, c’è stata una ripresa della produzione, non riesce a recuperare il ritardo accumulato in tutti questi anni.

Un altro potenziale trascurato dall’Algeria è quello turistico. Il paese dispone di risorse naturali rare: coste meravigliose, montagne, altipiani, foreste e deserti, stazioni termali in abbondanza, vestigi storici, tradizioni, costumi, artigianato… Tutto questo è lasciato nell’abbandono. Sfruttate soltanto per il turismo locale, le strutture d’accoglienza sono rare e spesso mal gestite. In cambio il turista coraggioso, che accetta di rinunciare al comfort dei resort di lusso dei paesi vicini, trova in Algeria un rapporto veramente genuino con la popolazione che non guarda al turista come a un’opportunità per realizzare affari ma semplicemente come una persona da conoscere/scoprire.

Politica

Anche a livello politico, la rendita del gas e del petrolio ha fatto molti danni. Il regime, nato da una costola del Fronte di Liberazione Nazionale che aveva guidato la guerra d’indipendenza, ha sempre usato le ricchezze provenienti dalle vendite per assicurarsi i due strumenti più importanti per il mantenimento del potere: la carota e il bastone. Da una parte la distribuzione parziale della ricchezza è sempre stata usata come arma per aumentare il consenso, dall’altra la ricchezza ha anche permesso la militarizzazione del paese e la formazione di uno dei più potenti sistemi repressivi del continente.

Lo stesso regime è al potere in Algeria da 50 anni. I presidenti della repubblica sono cambiati spesso. L’Algeria è l’unico paese arabo ad avere degli ex presidenti della repubblica ancora in vita e liberi. Ma questo non è perché c’è una vera alternanza al potere, ma perché il regime algerino non ha, contrariamente alla maggior parte dei paesi arabi, una struttura di potere piramidale. È un regime che ha vari centri e la figura del presidente è, almeno dall’inizio degli anni ’80, soltanto una figura diàmediazione tra i vari poteri.

La permanenza della stessa squadra dirigente da 50 anni non vuol dire che non ci sia opposizione. Il popolo algerino è sempre stato molto ribelle e le lotte per la libertà e per i diritti sono costanti. Ma il regime ha sempre saputo giocare sulle divisioni sociali, culturali e regionali per uscire sempre vincente.

Negli anni ’90 il paese era scivolato in una sanguinosa guerra civile che è durata 15 lunghi anni. Oggi il paese ne è (quasi) uscito ma è profondamente segnato. La società è molto divisa. Il territorio è ultra militarizzato. Ci sono ancora sacche di terrorismo e di banditismo armati che seminano terrore in alcune zone rurali. Ma l’impatto più terribile della guerra è stato sul morale della popolazione. Dopo la guerra si è diffuso l’individualismo e la corruzione ha toccato livelli mai conosciuti prima. Il divario tra ricchi e poveri si è allargato sempre di più e sempre più poveri optano per la criminalità per tentare di passare dall’altra parte della barriera sociale.

Primavere arabe

Durante l’inverno del 2010 i ragazzi algerini erano tra i primi a scatenare il fenomeno conosciuto ormai come primavera araba. Le sommosse erano iniziate a Tunisi e Algeri quasi contemporaneamente. Ma mentre la Tunisia è andata avanti fino alla fuga del Rais, la strada algerina si è poco a poco interrotta e la calma è tornata. Questo è dovuto a vari elementi. Il primo è che in Algeria non c’è un simbolo così forte come il dittatore Benali da abbattere. Tutti sanno che il presidente Bouteflika, anche se potente, non tiene tutto il potere in mano. Da un’altra parte, la paura del ritorno della guerra civile continua a paralizzare l’algerino. I ragazzi che sono usciti per «spaccare tutto» sono nati verso la fine della guerra. L’hanno conosciuta solo per sentito dire. Ma quando doveva uscire allo scoperto tutto il resto della società, le cose sono andate sempre più lentamente. Quando è iniziato il conflitto libico, tutti sono rientrati a casa.

Ma forse è solo questione di tempo. Di possibilità per uscire dal marasma l’Algeria ne ha moltissime. Un popolo composto da una grande maggioranza di giovani, una economia bloccata ma che non chiede che di ripartire, una grande disponibilità di competenze, un movimento operaio dinamico e attivo che negli ultimi anni ha ottenuto molte vittorie, una scena culturale molto dinamica che produce pensiero, letteratura, arte, musica e teatro in quantità ridotta ma con un’altissima qualità, premono per il rinnovamento.

Il rientro progressivo di molti intellettuali, artisti e musicisti in patria, che erano andati via durante la guerra civile, è segno di un paese che si sta riprendendo poco a poco e si lecca le ferite. Non si sa quanto tempo durerà il travaglio, ma è sicuro che l’Algeria ha tutte le forze e le capacità per ritornare a essere un giorno, come lo è stata negli anni ’60, un simbolo della liberazione dei popoli.

Karim Metref
Nato in Cabilia (Algeria),
vive in esilio a Torino.
Insegnante, educatore, attivista politico e culturale.