Viaggiare è partire senza arrivare, mai

di De Luca Alessandro

Un lungo processo educativo

Quando qualcuno mi chiede il perché della mia scelta di studiare all’università in Brasile, ancora oggi non so cosa rispondere. In realtà non ho mai saputo cosa dire perché penso che la domanda sia posta male. A chi, incuriosito, mi chiedeva chiarimenti, probabilmente ho giustificato questo viaggio con qualche bella spiegazione sulla mia voglia di scoprire, di capire, di aiutare… Cose non false, ma che sono solo alla superficie della mia scelta. Ma penso, come dicevo, che ci sono due errori nelle domande che mi vengono rivolte per sapere il perché del mio viaggio: Brasile e università.

Limbiate, scoprire le radici

L’aspetto più importante del mio viaggio non è nella sua meta ma nel suo luogo di partenza, in Italia e in particolare a Limbiate dove sono nato e dove vive la mia famiglia. È un paesotto anonimo, incastrato nella periferia a pochi chilometri da Milano, il cielo è frequentemente grigio e l’aria è abbastanza inquinata a causa della vicinanza della grande città. Limbiate è l’inizio del mio viaggio, ed è molto più importante della sua fine perché sostiene tutti gli eventi che mi hanno portato fino a qui. Ho cercato di nascondere a me stesso questo fatto semplice ed evidente forse perché non era il momento di affrontarlo, forse perché non ero pronto per capire che intraprendevo un viaggio non per la voglia di venire dove sono ora, ma per il bisogno di allontanarmi da dove stavo prima. Sono riuscito a capire tutto questo solo poco tempo fa e mi sono reso conto che in Brasile o in qualsiasi altro posto del mondo sarei arrivato alla stessa conclusione per il semplice fatto di aver deciso di partire.

Oggi, dopo tre anni dall’inizio del mio viaggio, posso dire con sicurezza che la prima parte di questa avventura, che si è svolta fuori dalla mia terra, non è stata altro che un lento ritorno a casa, un progressivo riconoscere e accettare le mie radici.

Penso che la parola «radici» sia un modo efficace per richiamare nell’immaginario di tutti qualcosa di importante ma poco definito che non è descrivibile con una sola parola o frase. Quando parlo di radici mi riferisco a molte cose, alcune razionali e mentali, altre emozionali e viscerali: i ricordi di infanzia, il luogo dove sono nato, i cibi che mi hanno nutrito, le emozioni che mi hanno guidato, tutto questo è l’inizio del mio legame con la vita. Esiste poi un’altra dimensione più profonda e complessa che potrei descrivere come l’accettazione dei miei ancestrali, di tutte le generazioni di uomini e donne che hanno reso possibile la mia esistenza. Detta cosi sembra una cosa semplice, quasi scontata, ma in realtà credo che ricevere la vita sia il compito più difficile in assoluto; non saprei come spiegarlo a parole, ho imparato tecniche e rituali che mostrano, a chi vuole, come entrare in contatto con questa dimensione e mai mi è capitato di conoscere qualcuno che accetta completamente la vita che ha ricevuto.

Questo processo di riscoperta e riaffermazione delle mie origini non è finito e probabilmente non finirà mai, è un lento movimento interno della coscienza che durerà per tutta la vita. Ma all’improvviso mi sono reso conto che avevo chiuso un cerchio, che, nonostante fosse necessario continuare a scendere sotto terra, era giunto il momento di far crescere rami e foglie. È come se il viaggio che ho fatto dentro di me, scoprendo cose che non sapevo e accettando altre che non volevo, abbia reso possibile l’apertura autentica verso l’esterno, lasciandomi entrare in contatto sempre di più con la realtà di questo paese. Ho imparato che posso avanzare nel mondo e scoprirlo autenticamente solamente nella misura in cui sono entrato e ho scoperto una parte in più di me.

Il mondo accademico, strumento di dominio

Veniamo all’università. Anche questa è una mezza verità, anzi, per essere più precisi, è vero che studio sociologia e antropologia, ma questo è solo l’inizio. L’opportunità di iniziare gli studi universitari in un altro paese è innegabilmente stimolante e, sotto molti aspetti, una sfida continua. Tuttavia, per me, studiare in Brasile ha assunto il significato di confrontarmi con un’altra parte delle mie radici, è stato un modo di fare i conti con la mia eredità culturale, che non ho mai accettato e condiviso. Pensavo di incontrare un’università diversa, prodotto di un’altra cultura e capace di andare incontro alle esigenze della società che l’ha creata e invece ho scoperto una riproduzione del rigido modello di conoscenza scientifica che viene usato non per creare benessere e pace, ma per aumentare l’ingiustizia che caratterizza il nostro mondo.

Ci sono tante considerazioni che dovrei fare per affrontare degnamente l’argomento della produzione di conoscenza nelle società di oggi, ma mi limito ad affermare che percepisco il mondo accademico come uno strumento di dominio, dove si coltiva la falsa illusione del sapere come bene in sé, ignorando che a ogni sapere è associato un potere specifico e che, quasi sempre, questo potere è nelle mani di pochi. All’inizio ero deluso e disilluso, ero partito pensando di poter imparare qualcosa di autentico e mi sono ritrovato a studiare libri scritti da persone che guardano l’uomo e la società come una grande macchina scomponibile e analizzabile.

Lentamente mi sono reso conto che nella sua essenza il mondo accademico, e qui mi riferisco in particolare alle scienze umane, crea verità, ossia idee su noi stessi e sulla nostra vita, che servono per riprodurre e giustificare la società di cui è espressione mascherando la realtà. Vero e reale sono due aspetti molto distinti e svelarne le differenze è un compito proibito nelle università. Voglio fare un esempio: oggi è facile riconoscere che l’affermazione «la terra è piatta» è una verità, ossia un’idea, reale o no non importa, sul mondo o sull’uomo che viene accettata dai più. Sappiamo ugualmente bene che quando si riesce a infrangere socialmente questa verità se ne crea un’altra, generalmente più vicina alla realtà. Allora io devo chiedermi: «Come mai in Brasile studio le stesse cose che studierei in Italia o negli Stati Uniti? Qual è la verità che maschera la realtà?».

La conoscenza può diventare servizio

Ecco perché ho deciso di imparare fuori dall’università, con persone che riconosco essermi superiori per conoscenze ed esperienze. Ho riscoperto la relazione maestro-discepolo, l’unica, secondo il mio vissuto, che permette di imparare veramente, di apprendere qualcosa non per la curiosità di sapere, che è come la stupida e pericolosa voglia di accumulare indefinitamente, o per la necessità di dominare. La conoscenza, quella vera, è intrinsecamente legata a un equilibrio tra il dare e il ricevere e, quindi, ha senso solo quando è al servizio degli altri. Finirò gli studi, imparerò ciò che mi serve imparare e sopporterò il resto, ma posso considerare la mia esperienza universitaria niente di più che una liberazione dalle verità ereditate per lasciare spazio alla realtà e a tutto ciò che non può essere scritto o detto.

Quando sono partito non ero completamente consapevole delle ragioni vere della mia scelta e percepivo il Brasile e gli studi universitari come mete principali del mio viaggio. Intuivo che, in qualche modo, avrei fatto i conti con le mie origini e che le attività che svolgo oltre allo studio sarebbero state un insegnamento necessario e non sostituibile dalle sole lezioni universitarie, ma come tutto ciò si sarebbe realizzato, era un mistero. Questo mistero si è risolto lentamente, quando ho iniziato a rendermi conto che, se volevo aiutare gli altri, dovevo prima di tutto aiutare me stesso, che avevo bisogno di equilibrio e forza e della capacità di rigenerare entrambe le cose per poterle offrire a chi non ne ha. Così ho iniziato il processo che ho descritto come «ritorno a casa» o «riscoperta delle radici» che mi ha permesso di chiarire il primo dei due errori della domanda iniziale. Le persone o, per meglio dire, i maestri che mi hanno aiutato in questo viaggio mi hanno fatto scoprire una dimensione del conoscere che non appartiene alla ragione, che non può essere comunicata a parole e che è impossibile divulgare a più di una persona per volta. Questo modo di vedere e sentire la realtà è sempre stato sotto la superficie della mia coscienza, ma non aveva mai incontrato il terreno giusto per fiorire. Ecco perché ho deciso di ridimensionare l’importanza della preparazione universitaria e di integrarla con altre fonti di conoscenza, nuove, ma in realtà antichissime, lontane dalla quotidianità, tuttavia molto vicine all’essenza degli esseri umani.

Una parte di questo viaggio prima o poi avrà termine, ma molti sentieri secondari che ho incontrato lungo il cammino avranno bisogno di altri viaggi per essere percorsi fino alla fine.