Un tribunale per la storia futura

di Fabiani Barbara

Come un avamposto ai confini della galassia, il palazzo della Fao si è trasformato in uno spazioporto in cui hanno attraccato 160 delegazioni diplomatiche di altrettanti mondi. Impossibile, per un appassionata di fantascienza non fare questo accostamento per le migliaia di uomini e donne presenti nelle cinque settimane di lavori della Conferenza delle Nazioni Unite per la creazione di una Corte Penale Internazionale, e a cui ho potuto assistere tra i membri della stampa accreditata.. Centinaia di tratti somatici oggettivamente molto diversi e diversamente composti su centinaia di volti. Interpretazioni delle personalità culturali esibite nell’abbigliamento. Camminavo attraversando il flusso di lingue inafferrabili sussurrate al di sotto delle lingue ufficiali, e mi sentivo un po’ fuori posto, perché “fuori posto” era il posto giusto.
Tutti questi popoli si sono riuniti sotto la convinta appartenenza comune al genere umano, nel tentativo di difendersi dalla crudeltà che questa stessa umanità è capace di infliggersi. Col Trattato di Roma, per la prima volta nella storia, i crimini di guerra, il genocidio e i crimini contro l’umanità sono riconosciuti come avvenimenti lesivi dell’intera comunità umana e non traumi solo per la nazione che li subisce. Eppure, questo obiettivo che sembrerebbe indiscutibile ha sollevato forze contrarie e interessi così forti e particolari che, veramente, viene da pensare di appartenere tutti a mondi lontani.

Un difficile lavoro di tessitura
Come dicevo, ho assistito ai lavori della Conferenza tra la stampa accreditata. Ogni mattina l’ufficio stampa forniva tutta la documentazione aggiornata, comprese le bozze degli articoli del trattato che erano stati provvisoriamente negoziati, e il programma quotidiano delle conferenze stampa. Ogni giorno i giornalisti erano messi al corrente dal portavoce ufficiale sui lenti progressi dei lavori; un incontro tecnico spesso deludente, che veniva compensato dalle conferenze stampa di alcune delegazioni. Poche cose sono tanto istruttive sulle potenzialità del linguaggio come l’osservazione dei minuetti dialettici tra i diplomatici e i giornalisti. Dopo di che, sia i primi che i secondi si immergevano nell’altra dimensione parallela della Conferenza, quella determinante, cioè il livello degli accordi a latere e dei contatti informali. I membri delle organizzazioni non governative (oltre 250 ong rappresentate delle 800 della coalizione delle ong a sostegno della Corte), sostenuti da una determinazione impressionante, continuavano il loro estenuante lavoro di convinzione su tutti i fronti, e con grande professionalità e organizzazione fornivano quotidianamente alla stampa i resoconti dei lavori da un punto di vista del tutto diverso.

Gli ostacoli delle società degli interessi
A tre giorni dalla scadenza della conferenza le negoziazioni erano ancora tutte da giocare.
Gli Stati Uniti non hanno smesso per un attimo di ostacolare la creazione di una Corte su cui essi non potessero esercitare un controllo diretto attraverso il Consiglio di sicurezza dell’Onu in cui hanno il diritto di veto; inoltre, il mandato politico dato alla delegazione Usa dall’ala più conservatrice del congresso americano, a maggioranza repubblicana, diceva chiaramente che nessun cittadino americano doveva correre il rischio di comparire davanti ad un tribunale internazionale. I soldati americani in missioni sparsi per il mondo devono restare al di sopra di un’indagine internazionale sul loro operato. Un’arroganza sostenuta da un realismo politico di ferro, che ribadiva l’indispensabilità del sostegno americano affinché le azioni della Corte potessero avere effetto. Dandoci ripetizioni sullo statalismo più che sulla sovranità nazionale, la Cina ha sostenuto tutte le obiezioni degli Usa contro una Corte realmente indipendente dal Consiglio di sicurezza e dall’autorità degli Stati. Una strana coppia davvero, che però non ha stupito chi aveva intuito già da prima che le tirate d’orecchie di Clinton a Jiang Zemin sui diritti umani in Cina, si riferivano più a porre i presupposti per l’esportazione di un modello di “società degli interessi” che non di una “società dei diritti”. La Francia, come al solito molto convinta del suo ruolo, ha avuto le stesse obiezioni da superpotenza degli Stati Uniti, dimostrandosi solo in ultima istanza più ragionevole ma contribuendo sensibilmente a condurre le negoziazioni verso la costosissima mediazione dell’opting out, per cui i paesi firmatari del trattato potranno chiamarsi fuori dalla giurisdizione della Corte sui crimini di guerra per un periodo di sette anni. Tra i rimanenti membri del Consiglio di Sicurezza, il Regno Unito, da buon gentleman, si è tenuto lontano dalla mischia, e l’orso russo, indebitato fino al collo, ha fatto il pesce in barile per tutta la Conferenza.
Oggigiorno nulla stimola la vanità dei governi più di una bella Conferenza internazionale sui diritti umani, e l’India – “la più popolosa democrazia del mondo” – dopo aver allarmato il mondo con i test nucleari ha pontificato sulla criminalità dell’uso delle armi atomiche. Altri paesi, come Turchia e Srilanka, sono venuti alla conferenza con i loro incubi affollati di terroristi curdi e tamil, e non ritrovando il terrorismo elencato tra i crimini contro l’umanità hanno deciso che la Corte non fa al caso loro (il terrorismo è incluso insieme al traffico di droga in allegato al Trattato, in attesa di una possibile evoluzione della discussione). Israele, che tanto ha patito il crimine di genocidio, invece, ha ritenuto lo Statuto fin troppo “personalizzato”, criticando l’inclusione tra i crimini di guerra della “deportazione e trasferimento di civili nei territori occupati” e non ha pertanto aggiunto la sua firma al Trattato. Una decisone che aggraverà la profonda dissonanza cognitiva che la metà della popolazione israeliana deve affrontare quando confronta la sua storia punteggiata dalla persecuzione con la cruda ragion di stato del suo presente. Molti paesi arabi e altre democrazie deboli hanno duramente contestato l’assenza della pena di morte tra le pene considerate, e pur se sostenitori di un tribunale libero dalle ingerenze del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, si sono dimostrati ben più rigidi riguardo ad una reale indipendenza dell’azione del procuratore dagli Stati.

La condizione Kirsh: per una società di diritti
Eppure un Tribunale si è fatto. Durante l’ultima seduta del Comitato d’Insieme, presieduto dal canadese Kirsh, i tentativi di Usa, Cina e India di riaprire le negoziazioni sono state votate contro a maggioranza, e alla fine è stata accettata la bozza del trattato redatta proprio dal mediatore Kirsh, esprimendo il voto rigirando le targhette con il nome dello Stato, secondo un rito proprio delle assemblee delle Nazioni Unite. Il trattato poi è passato all’Assemblea Plenaria (ed ecco di nuovo prepotente la sensazione di essere ad un raduno intergalattico) dove il trattato è stato votato con 120 voti a favore, 7 contrari e 21 astensioni. Hanno tenuto duro le forze e le volontà di chi ha capito la portata di questa decisione, anche da un punto di vista politico delle relazioni internazionali. L’Europa, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda, per i paesi occidentali, molti paesi dell’America latina e dell’Africa, la Corea del Sud, coraggiosamente distante dalle posizioni di un Asia nel complesso diffidente, sono riusciti ad ottenere una mediazione che, seppure ben lontana dall’essere completamente adeguata (come hanno fatto notare le organizzazioni non governative), è riuscita a non consegnare proprio mani e piedi legati la Corte alle grandi potenze.

Per Ecuba: a difesa delle donne
Dal punto di vista dell’evoluzione della cultura giuridica, per la prima volta nella storia sono stati riconosciuti, sia come crimini di guerra sia come crimini contro l’umanità, i crimini a carattere sessuale. Lo stupro, la prostituzione forzata, la sterilizzazione forzata, la gravidanza forzata, anche per la legge dei governi non fanno più parte delle regole della guerra. Sono passati oltre duemila anni da quando, dalle pagine di Euripide, Ecuba piangeva con le figlie e le nuore il loro destino di bottino di guerra degli achei. Quel 17 luglio scorso tutte le Ecuba della storia sono state ascoltate. Anche i bambini, finalmente, vengono riconosciuti come particolari soggetti coinvolti dalla guerra, e con il diritto di non parteciparvi.
Firmato dalla maggioranza delle delegazioni, il trattato verrà trasportato in tutti i punti cardinali del mondo, esposto ai rispettivi organi legislativi per essere ratificato. Per entrare in vigore il trattato ha bisogno di 60 ratifiche. Si prevede che serviranno tre o quattro anni, dopo di che, come prevede lo Statuto stesso, passati sette anni dall’entrata in vigore si potrà aprire una nuova conferenza per eventuali cambiamenti ed emendamenti.
“Stiamo lavorando per un tribunale per il prossimo secolo” – ha detto William Pace, presidente della coalizione delle ong durante una conferenza stampa, come dire un tribunale per la storia futura.
L’obelisco etiopico di Axum quasi pronto ad essere rimosso dal piazzale davanti al palazzo della Fao – per essere restituito alla nazione africana alla quale era stata saccheggiato – si trasforma nella prua di questa astronave ideale, puntata verso un universo umano vasto quanto quello delle stelle.

Barbara Fabiani
Laureata in sociologia.
Giornalista pubblicista.
Risiede a Roma